Una seconda edizione un po’ affaticata, quella de La Festa delle Storie organizzata da Thalassia a Mesagne (in provincia di Brindisi) a metà settembre. Le minimali risorse economiche non hanno tuttavia impedito di confezionare un calendario di eventi significativi per il teatro di narrazione, che la manifestazione contribuisce a diffondere sul territorio.
Contravvenendo all’abituale ‘ladies, first’ parleremo prima delle voci d’uomo, ma solo perché (alcune) entrano cronologicamente prima nel programma.
Sono quelle di Fabrizio Saccomanno, Giuseppe Semeraro e Luigi D’Elia, attualmente impegnati insieme — e con l’ausilio drammaturgico di Francesco Niccolini — in un diversificato progetto di ‘guerrilla schooling’ pensato per Lecce 2019: un percorso essenzialmente didattico di incursioni nella scuola superiore dedicato all’esplorazione delle vite di tre autori abitualmente poco frequentati a livello curriculare e destinato ad entrare parallelamente anche nei teatri.
Solo due le anticipazioni in forma di studio in occasione del festival: quella dedicata da Saccomanno ad Antonio Gramsci dal titolo “Gramsci | Antonio detto Nino”, al terzo studio, e quella dedicata da Semeraro a Danilo Dolci da titolo “Digiunando davanti al mare”, mentre per il lavoro dedicato a Don Milani da Luigi D’Elia — qui impegnato come organizzatore — si darà certamente altra occasione.
L’urgenza di confrontarsi con la figura dell’educatore di origine triestina trasferitosi a Trappeto (in Sicilia) deriva per Semeraro prima dall’averne frequentato come lettore la produzione poetica, e solo in un secondo momento (con l’approfondimento professionale) il coinvolgimento sociale.
Da questo incontro nascono alla scena le due anime narranti: zu Mbrogi (il migliore amico di Danilo) e Dolci stesso. Lontane dal loro centro preciso promettono di definirsi teatralmente in altro quando corpo e poesia (a lavoro compiuto) avranno trovato il modo di interloquire con la narrazione.
Quanto alle voci di donna splende la straordinaria Daria Paoletta della Compagnia Burambò. Il suo “Amore e Psiche” arriva come un dono. Un lavoro ancora giovane (presentato a La Notte delle Favole di Casola lo scorso agosto) eppure già maturo per un’attrice che dimostra ogni volta di progredire in un nuovo modo del narrare ormai inconfondibile.
L’avevamo vista e ascoltata raccontare in un differente contesto (una caletta ionica) e già allora ci aveva colpiti il carattere di estrema centratura pur nell’amabile levità del suo teatrare. Un consenso (unanime) suggellato nel vederla sul palcoscenico di un teatro vero tenere da sola il discorso fra i molti sé narrati (da Venere agli esilaranti tritoni) e l’ideale conversazione con i molteplici sé del pubblico.
Un insieme tutto nero — abito e fondale — lascia brillare il corpo, quello fisico e quello intimo. L’interesse nei confronti del mito (insieme ad un’antica passione per le storie d’amore) ha nutrito il primo desiderio di confrontarsi con la nota vicenda. E su questa spinta iniziale l’attrice ha lavorato in armonia con il suo biografico personale e professionale per costruire il testo e le molteplici voci.
In questo processo di proiezione delle maschere interiori ha inciso in particolare la frequentazione del teatro di figura. E la consuetudine ad ‘ascoltare’ i burattini, sola con loro in una baracca, che tanta parte ha avuto nel suo storico attorale. Un po’ come accade alla protagonista del romanzo “Voci“ di Dacia Maraini — spiega Paoletta — che i vari dire descrive a partire da un unico mondo immaginario. Un modo dello stare e dell’esserci che risuona nel modo in cui l’attrice utilizza le sue voci e le ‘tira fuori’ dal corpo, «Se le parole sono cercate nella sincerità io sento che il corpo le traduce da solo».
Una memoria antica di donna del Sud (e del mare) abita i personaggi che vivono nel racconto. Eppure mai esso viene contaminato da questa o quella connotazione culturale e dialettale. Solo la storia di una fanciulla (sfortunatamente?) bellissima che cerca di difendersi dall’invidia di umani e divini.