Asti 42 non ha rinunciato al grande teatro

La donna pesce (photo: Franco Rabino)|Soffiavento (photo: Franco Rabino)
La donna pesce (photo: Franco Rabino)|Soffiavento (photo: Franco Rabino)

Che gli astigiani siano tenaci è chiaro. Si legge bene in quel 42 che, quest’anno, ha campeggiato davanti al nome Asti Teatro. Il festival ormai si è fatto uomo e, come tale, si vuole prendere le sue responsabilità.
Una su tutte, di questi tempi, lo svolgersi inderogabilmente. E non è poco. Basti pensare che, nel raggio di meno di 50 km, più della metà delle manifestazioni culturali è stata spazzata via all’insegna di una problematica Covid più o meno reale.

Il numero di spettacoli così come i giorni sono stati meno, il programma ripensato diverse volte, le location soltanto tre, ma il festival “si riprende il suo spazio” e questo gli fa onore.
Ci sono poi, nella proposta complessiva, diversi spettacoli che guardano al sociale in molte forme, di sicuro i più interessanti tra quelli a cui abbiamo assistito.

E’ così per la prima nazionale de “La montagna vivente”, spettacolo scritto e interpretato da Lorenza Zambon, accompagnata dal vivo da Marco Remondini. Un’invito a vivere la natura non nuovo per la storica attrice astigiana, più che mai vicina ai temi del rispetto ambientale.
La performance è una lettura teatrale di un viaggio quasi mistico che la protagonista compie in montagna con un’amica. Un’avventura costellata da piccoli incontri inattesi e apparentemente superficiali, trasformati in accadimenti rari dal racconto.

Anche lo spettacolo che vede come grande interprete Lino Musella nasconde al suo interno un particolare elemento sociale. Si tratta di “The night writer. Giornale notturno” e raccoglie gli scritti di Jan Fabre durante le sue tormentate notti insonni. Una fotografia intima del geniale artista belga “spiato” nella sua intimità più profonda e inconscia. Un’altra “faccia” dello stesso filone è rappresentato anche dallo spettacolo di Mario PerrottaIn nome del padre, della madre, dei figli”, dove spiamo dalla serratura tre padri alle prese con tre adolescenti con i quali non riescono a comunicare.

“La donna pesce” di Rosario Sparno è invece tutt’altro. Porta con sé il fascino del “cunto” siciliano. In scena l’autore, accompagnato da Antonella Romano, dà vita ad un racconto misterioso e ironico sull’amore di un uomo semplice per una donna che ha bisogno dell’acqua per essere felice. Il tutto espresso in un linguaggio estremamente difficile per chi non abbia dimestichezza non tanto con il siciliano quanto con il vocabolario ormai abbastanza noto di Andrea Cammilleri.
Sul palco i due narratori sono intenti a lavorare una enorme scultura di coda di sirena in rete di ferro, “ricamata” in piccolo dalle agili mani di Antonella, e lucidata con l’acqua marina da Rosario. Un contesto scenografico semplice ed efficace.

“Soffiavento” di Paolo Mazzarelli, in anteprima nazionale, ci riporta al tema. Ritorniamo dal nostro buco della serratura, stavolta dichiarato. Stiamo assistendo allo svolgersi del Macbeth quando un imprevisto costringe Pippo Soffiavento ad una deriva incontrollata all’interno della quale cerca di riaggrapparsi al “salvagente”, allo spettacolo, alla trama. Ma lo sforzo non gli riesce, e non gli resta che abbandonarsi al racconto di sé stesso per concludere la serata. Con l’avanzare del monologo, però, si assiste ad una curiosa collisione del Re di Scozia con il suo interprete, anche grazie ad un impianto scenotecnico particolare.

Soffiavento (photo: Franco Rabino)
Soffiavento (photo: Franco Rabino)

Estremamente interessante “L’uno” della giovane compagnia Contrasto. Una commedia dai ritmi travolgenti che porta all’interno di una trama apparentemente banale, una serie di sfumature narrative con conseguenti stati d’animo contrastanti. Tre coppie si trovano a festeggiare insieme l’ultima sera dell’anno, ma è solo un pretesto per aprire una riflessione sul progressivo disfacimento di relazioni, affettive e familiari, più o meno consolidate ma prossime al collasso, che i giovani attori concretizzano sulla scena.

Sono giovani anche i tre interpreti di “Art” di Yasmina Reza, spettacolo prodotto dal Teatro della Tosse di Genova e firmato da Emanuele Conte, in prima nazionale. La trama è nota: due amici sono sbalorditi di fronte ad un’enorme tela bianca, acquistata ad una cifra da capogiro da un terzo amico comune, convinto che si tratti di un capolavoro assoluto.
Questo episodio funge da motore per un dialogo serrato, ben agganciato ad un testo particolarmente interessante, del quale lo spettacolo si fa forza apportando però un contributo positivo, possibile soprattutto grazie al lavoro degli attori: Luca Mammoli, Enrico Pittaluga, Graziano Sirressi di Generazione Disagio.

Berardi – Casolari portano ad Asti Teatro 42 “I Figli della Frettolosa”, esito di un laboratorio con attori non vedenti condotto dalla compagnia. Una riflessione amara, ironica, a tratti pungente sulla condizione di chi non vede, con un’attenzione particolare al fuggire dai cliché che tutto questo comporta. Toccante il momento in cui Gianfranco Berardi si offre come guida ad uno spettatore volontario che, bendato, viene invitato a fidarsi e, mano sulla spalla all’attore non vedente, a seguirlo nei movimenti.

“Muro trasparente” è invece una scommessa tecnologica. Allo spettatore, prima di accomodarsi, viene dato un paio di cuffie attraverso cui potrà sentire il monologo di Paolo Valerio. L’attore, mentre recita, continua senza sosta a giocare realmente a tennis contro una parete trasparente montata su tutto il boccascena; dietro di lui scorrono immagini.
Il testo è composto dalle esternazioni di un campione sportivo rispetto all’amore per una donna. Una scommessa riuscita solo in parte, visto che gli stimoli (visivi e uditivi) da seguire e da cogliere sono troppi e distraggono dall’azione. Straniante la scommessa finale (vinta dall’interprete) ovvero il far giocare a tennis, in autonomia e sul palco, il pubblico.

Il festival si conclude con due spettacoli che declinano il tema del “sociale” a modo loro, trasformandolo in qualcosa di più vicino alla denuncia. E’ sicuramente così per “Tutto quello che volevo. Storia di una sentenza” con Cinzia Spanò nei panni della giudice Paola Di Nicola, alle prese con una vicenda ancora non del tutto risolta, ossia lo squallido giro delle baby squillo romane di qualche anno fa; mentre il gran finale nella sala grande del teatro Alfieri è riservato al pluripremiato Davide Enia e al suo “Abisso” lampedusiano.

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