Cosa succede a Bologna. Stagione 2010/2011: ‘la rossa la grassa la dotta’ e il teatro contemporaneo

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Le due Torri, degli Asinelli e Garisenda, simbolo di Bologna (photo: skyscrapercity.com)

Gli ultimi mesi sono stati per la Bologna teatrale piuttosto tesi e disarticolati, a partire dalla chiusura dello storico Teatro Duse (chiusura che rispecchia la considerazione dell’Eti come “ente inutile” da parte del Governo), passando per una rassegna estiva ridotta (l’ormai tradizionale pecorella di Bé-Bologna Estate che tappezzava i muri della città è stata pensionata, visto anche il commissariamento del Comune che ha ridotto all’osso gli investimenti nella cultura) e giù fino all’annuncio ai primi di ottobre della non-stagione da parte del Teatro San Martino. Senza dimenticare gli scioperi e le proteste, durate molti mesi, degli operatori del Teatro Comunale, sul cui frontone da tempo capeggia il lenzuolo con la citazione (da Garcia Lorca): “Un popolo senza teatro è un popolo morto”. E ancora: interminabili riunioni di tutti gli addetti del settore per chiedere la ricandidatura dell’assessore regionale alla Cultura Ronchi (ricandidatura che non è avvenuta), incontri collettivi a mo’ di aperitivo con microfono aperto col responsabile Felicori, quindi gli Stati Generali della Cultura e ancora molto altro, in uno stato febbrile di allarme e di preoccupazione all’annuncio che “il re è nudo”.

Tutto ciò ha scatenato una serie di inchieste sulle pagine locali dei principali quotidiani, che hanno iniziato a parlare di cifre, con annesse polemiche e rivalse: quanto viene dato a chi, come viene speso ciò che è dato, cosa si può fare e – in definitiva – qual è lo ‘stato dell’arte’ nella città che, a quest’arte, deve parte della sua fama.

Persino Fofi si è messo a discutere sul senso di dipartimenti come il Dams teatro, la fucina che ha dato l’avvio a tanti studi e laboratori da cui sono usciti alcuni tra i più rilevanti studiosi dell’arte della scena contemporanea.

Ciò che colpisce, in questo terremoto, sono principalmente due fattori: da un lato, la volontà degli addetti del settore di resistere, di farsi quel ‘tafano sul groppone della città’ che un tempo era ruolo dei filosofi; dall’altro, una quasi siderale distanza del resto della cittadinanza dalla questione.
Il punto è proprio questo, e forse a ben vedere non è problema che coinvolga solo “la rossa”: le persone che non si occupano di teatro per lavoro e per la vita, sostanzialmente restano estranee alla questione. Non è propriamente disinteresse: è proprio un ignorare che possano esistere questioni di tale genere e che la cosa, in qualche modo, riguardi tutti.

La mancata offerta di una stagione teatrale, la chiusura di un teatro, la riduzione dei cartelloni, insomma, invece che essere percepiti come un grave venir meno di qualcosa facente parte della collettività, del diritto delle persone all’arte, viene semplicemente liquidato con la solita alzata di spalle in vista di “problemi più gravi”. E questo potrebbe essere punto su cui riflettere sul senso di ciò che si fa.
Proviamo dunque a vedere come, nei fatti, ci rifletteranno nei prossimi mesi i principali teatri cittadini, cosa proporranno, come si relazioneranno con il pubblico de “la grassa”.

Irradiamo la mappa, parziale per questioni di spazio e di affinità, dal centro alla periferia: i principali teatri del centro storico hanno reazioni diverse, dettate dalla loro natura. Il Duse, come detto, è chiuso e si aspetta la famosa “cordata” pubblico-privata per vedere che accadrà. Il Comunale, e il satellite Teatro Manzoni, propone un cartellone (opera, balletto, concerti sinfonici) piuttosto ridotto rispetto agli anni passati e continuano i malumori interni. 

L’Arena del Sole, con il satellite Teatro delle Moline, festeggia nel 2010 il bicentenario di attività. Sulla programmazione di questo teatro chi scrive pensa si possano spendere alcune parole di riflessione. La struttura, di certo tra le più capienti e attrezzate in città, è sostenuta da Ministero e Regione ed è in buona sostanza un bene pubblico. Per il bene pubblico ha da tempo adottato una politica, se così vogliamo dire, del “forse potrei, ma non voglio”. Potrei avere il coraggio di una proposta interamente di ricerca, ma non voglio perdere gli abbonati (e vai di Alessandro Gassman). Potrei produrre spettacoli militanti, ma voglio continuare con ciò che in qualche modo pacifica (quanti Molière e Pirandello ci siamo visti proporre in questi anni?). Potrei investire sullo studio e sugli incontri col pubblico, ma non voglio perdere la comodità di accattivarlo coi concerti di Ludovico Einaudi. La stagione, quindi, risulta piuttosto a singhiozzo, e in qualche modo un po’ schizofrenica. Branciaroli e Paravidino accanto a Scimone Sframeli, Teatrino Giullare e Massimiliano Civica, senza tralasciare la deprecabile nuova tradizione dei “giornalisti a teatro” con le ‘letture scenicizzate’ di autori come Roberto Saviano e Gian Antonio Stella. Come se la televisione non bastasse, ma tant’è.
Insomma, all’Arena qualcosa sarà possibile vedere, ma occorrerà stare attenti, calendario alla mano; e siccome parte di quei soldi con cui tutto ciò è reso possibile sono anche nostri, sarebbe bello pretendere un po’ di più.

Sempre in centro, il Teatro San Martino, come sopra accennato, dopo tre anni di programmazione di ricerca con oltre cento proposte, annuncia che – vista la disattenzione delle istituzioni – tornerà ad essere teatro privato, proponendo solo produzioni di Libero Fortebraccio Teatro e sospendendo al momento qualunque stagione, fino ad ora modulata su invito agli artisti a proporre spettacoli in libertà. Vista la carenza di fondi, e non volendo proseguire nell’offerta del solo incasso al 100%, possiamo al momento dire addio ai vari Socìetas Raffaello Sanzio, Artefatti, Favale e via dicendo che lì sono stati ospitati.

Così ci prova con più vigore quest’anno Teatri di Vita, già semi-periferico e come risvegliato da un torpore che ha visto negli ultimi anni proporre rassegne quasi fantasma in cui più la proiezione e il dj set tenevano banco rispetto allo sconcerto dei corpi in scena (a parte, va detto, un’attenzione alla danza che non trova molto spazio altrove). Stanchi delle polemiche sulle questioni dello stato del teatro in generale, come ci hanno commentato, preferiscono passare ai fatti e presentare nel concreto un cartellone questa volta sì incentrato su quei nomi che fanno – o hanno fatto – della ‘Romagna felix’ il Klondike del teatro italiano. Italiano anche nel celebrare il 150esimo anniversario: “Uniti d’Italia – il teatro contemporaneo che parla” è infatti il titolo della stagione, che ammette una certa ironia e una volontà propositiva di dire qualcosa su noi tutti. Ecco quindi non solo Motus, Albe e Fanny & Alexander, ma quegli Artefatti persi altrove, e Daniele Timpano, Compagnia della Fortezza e vari altri, anche giovani.

Sempre nel quartiere troviamo poi il Teatro Ridotto-la Casa delle Culture e dei Teatri, che da anni lavora in collaborazione con il centro Grotowsky e che lancia un’interessante iniziativa, di cui speriamo di avere anche altre occasioni di parlare: la realizzazione di una biblioteca dedicata alla memoria di Torgeier Wethal, che consentirà di prendere libri in prestito a chiunque visiterà il teatro. È possibile donare libri scrivendo una mail a teatroridotto@gmail.com. Qualcosa di cui “la dotta” potrebbe avere bisogno, visto anche lo stato di allerta generale in cui vertono le biblioteche cittadine (per maggiori informazioni su questo, si possono vedere le iniziative di Bibliotecari Necessari).

Altri due sono gli spazi in mano a compagnie, luoghi che da poco sono attivi e ancora non hanno una prospettiva tale da poterne indicare con chiarezza il percorso, sebbene si stiano definendo con sempre maggiore chiarezza le direzioni: lo Spazio sì, di Teatrino Clandestino, centro che dà grande attenzione alla musica elettronica e Dom-la cupola del Pilastro diretto da Laminarie, che dedica ampio spazio all’arte visiva. Se è la contaminazione ciò a cui vogliono aprire, lasciamoli lavorare e vediamo che accadrà.
Il Teatro delle Celebrazioni, appena fuori porta, ha una sua storia e una sua identità completamente privata, di cui va molto fiero, e che quest’anno porterà in città artisti del calibro di Michelle Hunziker, i comici di Colorado Cafè, e naturalmente gli immancabili giornalisti per darsi un tono: Travaglio e, tanto per essere vari, Saviano.

Una boccata d’aria e di coraggio arriva poi dall’hinterland bolognese. I medi, piccoli o piccolissimi teatri di provincia, con uno spirito battagliero e solido, si fanno avanti per affermare qualcosa di positivo.
Di certo il termine è adatto per l’Itc Teatro di San Lazzaro, che ha quest’anno scelto la parola dei giovani e meno giovani drammaturghi per dire dove siamo, per contrastare il chiacchiericcio dei mezzi di comunicazione e, tramite e sulla parola, fondare un nuovo modo di parlare. “Non basta parlare, bisogna parlare sul serio” è l’epigrafe shakespiriana che introduce un cartellone che vedrà sfilare sul palco Ascanio Celestini, Eleonora Danco, Cesar Brie, Sacchi di Sabbia e altri attori-autori.
Anche Zola Predosa, presidiata dall’associazione Cantharide, sceglie Shakespeare a sottotitolare la rassegna “Contronatura 2011- Mano al cavallo”: una citazione da Riccardo III per descrivere la “lunga cavalcata fuori dalla realtà” che riunisce artisti e pubblico in un viaggio capace di restituire nuove varianti dell’umano. In continuità con il percorso intrapreso negli ultimi anni, verranno proposti tra gli altri Maurizio Camilli del Balletto Civile, Claudio Morganti, Oscar De Summa e Francesco Pennacchia.

Per concludere questa incompiuta mappa arriviamo a Casalecchio, ultima frontiera dell’Ert prima di scivolare nella più dimenticata provincia montana, dove il Teatro Testoni cade a volte un po’ nella trappola dell’Arena (Ottavia Piccolo accanto a Antonio Tarantino e l’immancabile “nuovo testo” di Roberto Saviano). Almeno qui abbiamo la scusa che siamo lontani da Università, Accademia e scuole di teatro, e che la provincia deve, per sopravvivere, fare un occhiolino in più rispetto al centro-città (sarà…), fatto sta che avremo comunque l’occasione di vedere Baliani, Pirrotta, Battiston e Massini.

Tutto questo variegato e anche contraddittorio panorama è probabilmente lo specchio di una politica culturale e di una percezione dell’arte distorte e sconnesse. Una miopia di fondo che da un lato fa molto, forse troppo, affidamento sulla resistenza del singolo, e dall’altro abbraccia l’idea di cultura come semplice luogo di prestigio o puro ‘divertissement’.
Quello che possiamo fare è tenere alta la guardia, smascherare i finti sapienti, le mossette politiche, gli ammiccamenti della comunicazione, il meretriciato dell’economia e pretendere che si alzi il tiro. Il tutto a partire da noi stessi come spettatori, operatori, artisti, critici e – lasciando da parte i lamenti – avere la volontà e la forza di non essere conniventi.

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6 Comments

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  1. says: Paola

    I commenti finora postati si dividono in due categorie nettamente distinte, quelli che concordano con l’articolo e quelli che ne sono scandalizzati. Due categorie distinte proprio come lo sono quelle del pubblico e degli addetti ai lavori del sistema teatrale bolognese. Il quiz è indovinare quali dei commenti provengano dal primo e quali dal secondo gruppo. Il premio è un biglietto per il prossimo spettacolo del comico Vito all’Ipercoop… ops, all’Arena del Sole.

  2. says: Ivano

    certo è che ci sono dei begli elementi in giro, come quello che ha scritto quetso pezzo. Soloni che straparlano e che affiderebbero i teatri solo a sconosciuti attori che trascinano a teatro folle di…nessuno. Non si tratta di impedire ad attori emergenti di riuscire a farsi conoscere e a proporr loro opere e interpretazioni. Visto che abbiamo molti luoghi dove è possibile fare teatro, sarebbe più opportuno che venisse fatta una programmazione congiunta di questi luoghi, per dare spazio a personaggi famosi e meno conosciuti e così offrire al pubblico un ventaglio di opportunità il più vasto possibile. Fino a che ogni teatro di una città avrà la propia programmazione, è evidente che il fare cassa trionferà. Con questo comunque non è detto che la qualità stia solo negli spettacoli e nelle interpretazioni di gruppi emergenti, che spesso si rivelano poi come eterne promesse.In quanto ai vari Saviano e compagnia, così malvisti dall’estensore dell’articolo, posso solo commentare…ce ne fossero di più.. Grazie e cordiali saluti.

  3. says: Luigi

    A mio avviso la rassegna SGUARDI 2010-2011 del Teatro Biagi D’Antona di Castel Maggiore (BO) merita la citazione.
    Tra gli spettacoli in cartellone:

    Venerdì 12 novembre 2010
    Compagnia Katzenmacher presenta
    FARSA MADRI – Amlèt tu sùit

    Venerdì 17 dicembre 2010
    Nuovo Teatro Nuovo/Nuove Sensibilità
    presenta
    BRUGOLE

    Venerdì 14 gennaio 2011
    IL CORPO DI TOTÒ
    di e con Marco Manchisi

    Venerdì 11 febbraio 2011
    Teatro Sotterraneo presenta
    LA COSA 1

    Venerdì 25 febbraio 2011
    Teatrino Giullare presenta
    LA STANZA
    di Harold Pinter

    Venerdì 11 marzo 2011
    Centro Mediterraneo delle Arti
    presenta
    STORIE DI SCORIE
    Il pericolo nucleare italiano

    Venerdì 1 aprile 2011
    Compagnia Sandro Lombardi presenta
    L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA
    di Luigi Pirandello

    Sabato 9 aprile 2011
    E’ BELLO VIVERE LIBERI!
    di e con Marta Cuscunà

  4. says: nicola

    L’ho trovato un ottimo lavoro: preciso e puntuale; e soprattutto senza chiasso e polemiche gratuite, è un dato oggettivo e se fa paura (o peggio) bisogna solo migliorarsi e migliorare questa realtà in cui viviamo quotidianamente.
    Tutti.
    O dobbiamo fare gli struzzi?
    ciao

  5. says: urca

    a me l’articolo sembra l’elenco che il maestro ti faceva fare alle elementari quando ti metteva capoclasse: i buoni e i cattivi, questo non può stare accanto a quello, uno ci ha i numeri l’altro glieli abbiamo tolti, chi?
    fascisti! e pure sconfitti senza speranza. il teatro muore perchè non capite che il pubblico dovrebbe decidere, senza educatori e goffredi fofi o critici ipocriti e prezzolati!

  6. says: Paola

    Non potrei concordare di più con l’articolo. E da bolognese aggiungo che ciò su cui questa non-politica culturale fa più affidamento in città sono le “zdaure” e gli “umarell” ultra sessantenni che riempiono buona parte delle platee, in primis all’Arena. Alla faccia di ogni investimento sul pubblico giovane – e tutte le volte che vedo quanto lo Stabile di Torino ha fatto neglio ultimi anni per attirare i giovani a teatro mi viene da piangere.