Cinque orfani e un Maestro per emozionare

Orfani
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La locandina di Orfani (photo: kronoteatro.it)
È uno squarcio in un’altra dimensione lo spettacolo di Maurizio Sgotti, capace di provocare strane inquietudini. Precipitati in un luogo fuori dal tempo da un mondo in rovina, cinque orfani armati di una vecchia valigia semivuota arrivano alla “casa”. Qui li attende il Maestro, personaggio ambiguo e incombente, seppure a tratti quasi invisibile sulla scena.
Il prezzo che i ragazzi pagano per ricevere riparo e protezione è alto: in cambio offrono se stessi, la propria devozione, la propria cieca e completa fedeltà, spogliandosi di tutto ciò che non sia che “puro respiro” per diventare “corpo teso al volo”, “arco pronto a scoccare”. Simbolo di questa nuova vita è un volume sacro da cui si leggono frasi ad alta voce: frasi arcane, oscure, a un tempo minacciose e rassicuranti. Nella “casa” si odono strane voci di donna, ma non ci sono figure femminili; non c’è un “fuori” – il fuori è solo “notte”, e “male”, dice il libro sacro – non c’è un passato e forse non c’è neppure un futuro. Nella “casa” la quotidianità è rito: il bagno nella bacinella comune, il pasto in piccole gavette di metallo, gli strani esercizi ginnici. Una simbologia rigida e fanatica che diventa l’humus perfetto per l’emergere dell’istinto alla lotta, alla soppressione del più debole, quando il diritto alla sopravvivenza e un remoto desiderio di essere amati non può conoscere altre strategie.

Gli orfani sono tutti uguali, tutti ugualmente senza ricordi, tormentati da vaghi incubi di un passato che non riescono a mettere a fuoco; ma sono anche profondamente diversi, come lati di una sola, complessa personalità. Immemori, si preparano ad un compito sconosciuto, una guerra contro l’incognito. Qualsiasi sforzo per acquisire individualità e capacità di discernimento è troncato sul nascere dal Maestro, che sottilmente manovra, spaventa e aizza il gruppo, che trova pace solo nell’ignoranza e nell’abbandono dell’irresponsabilità. Non c’è spazio per la pietà. Nel ricordo degli Orfani, solo la voce di una madre che canta una strana, ossessiva ninna nanna in una lingua sconosciuta, e una vecchia, logora bambola di plastica, simbolo di un’innocenza irrimediabilmente smarrita. I residui di dolcezza rievocati da un singolo sono vissuti dal gruppo quasi come oscenità e soffocati con violenza.

I meccanismi umani sono scandagliati, sviscerati, portati al parossismo: poco o nulla è lasciato all’immaginazione, col risultato di un interessante contrasto tra il contesto onirico-simbolico e l’estremo verismo delle emozioni che affondano, man mano che la storia procede, in gradazioni sempre più basse e vicine all’origine di un sentire più animale che umano.
Particolarmente curato il lavoro tecnico sui movimenti, inedito e interessante l’allestimento: un rettangolo di vera terra di campo ritagliato all’interno di un capannone industriale, dove il pubblico disposto sui due lati lunghi assiste così vicino alla scena da essere quasi coinvolto nelle azioni. Infine, le musiche di Monteverde, fortemente evocative, sottolineano l’atmosfera ossessiva e inquietante della rappresentazione.

Maturato all’interno di un laboratorio teatrale di giovani attori, durato tre anni e frutto di uno stretto rapporto di collaborazione con la drammaturga Fiammetta Carena, Orfani è uno spettacolo dal gusto raro, che unisce la maturità artistica di Sguotti alla freschezza e alla dinamicità dei cinque giovani attori.
Si lascia il teatro con un’acuta sensazione di turbamento e con la soddisfazione di aver veramente vissuto.

ORFANI – La nostra casa

di Fiammetta Carena
regia: Maurizio Sguotti
con: Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Gabriele Lupo, Nicolò Puppo, Maurizio Sguotti
scene e costumi: Francesca Marsella
luci e musiche: Enzo Monteverde
produzione: Kronoteatro
durata: 50’
applausi del pubblico: 1’ 05’’

Visto ad Albenga (SV), Complesso Polo 90, il 22 ottobre 2008

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