Ricorderemo per sempre quando riuscimmo a vedere per la prima volta Pina Bausch al Palazzo dei Papi di Avignone. Lo spettacolo era “Nielken”, di cui custodiamo gelosamente il ricordo non solo nella mente e nel cuore, ma anche conservando nel nostro studio un garofano di quell’epico primo incontro.
Lì, per la prima volta, il nostro occhio fu sconvolto da una nuova visione del mondo, non solo teatrale, che abbracciava tutto il palco: il nostro sguardo doveva cambiare ogni volta prospettiva davanti a un teatro che vedeva fondersi insieme tutti i linguaggi della scena.
E la danza non fu più danza.
La stessa cosa accade per gli spettacoli di Dimitris Papaioannou, di cui abbiamo visto a Reggio Emilia “Transverse Orientation”, nuova creazione dell’artista greco che seguiamo da diversi anni con grande interesse.
In scena sei uomini e solo due donne (Damiano Ottavio Bigi, Šuka Horn, Jan Möllmer, Breanna O’Mara, Tina Papanikolaou, Łukasz Przytarski, Chritos Strinopoulos e Michalis Theophanous), provenienti da Paesi assolutamente diversi tra loro.
“Transverse Orientation” si ispira nel titolo alla naturale attrazione delle falene per le fonti di luce, ponendo in scena, come rimando, un fulcro importante di metaforizzazioni riguardanti il perdurante anelito dell’essere umano, teso sempre alla sua autodistruzione, e nel contempo desideroso di rinascere attraverso nuovi stimoli che possano dare forma alle sue conoscenze.
Non tutto quello che vediamo è immediatamente decifrabile ma, come sappiamo, ciò non importa né al coreografo greco né in definitiva a noi, perché abbiamo l’assoluta e nitida consapevolezza che il nostro vicino di posto, osservando l’avvicendamento degli stessi accadimenti che popolano il palco, individuerà mondi diversi dai nostri. Ad ogni modo, sia lui sia noi avvertiamo di trovarci davanti ad una specie di compendio della storia dell’uomo occidentale, rappresentata attraverso visioni che si interrompono e si rinnovano continuamente, spesso pervase da un’ironia corroborante.
L’uomo occidentale con la sua storia, le sue vittorie e le sue sconfitte, attraverso il movimento perenne dei performer, accompagnati dalle musiche di Antonio Vivaldi, vi è rappresentato in grande e netta difficoltà, sia nel tentare inutilmente di accendere una luce al neon, che puntualmente si spegne, sia nello sbattere la testa contro un muro che continuamente lo respinge.
Ma subito dopo lo vediamo imperturbabilmente intento a costruire con fatica una torre di Babele che poco dopo gli si abbatterà contro, inesorabile.
E’ l’aspetto iconografico che interessa soprattutto a Papaioannou, ed ecco quindi i riferimenti all’arte rupestre, a Bosch, Botticelli, Leonardo e a Matthew Barney, a cui ad un certo punto rimanda una Madonna in una conchiglia da cui cola della bianca placenta.
A giganteggiare in scena per molto tempo è invece un grande toro di cretese memoria, dalle cui viscere esce una donna che vedremo più tardi essere l’unica àncora di salvezza di un mondo in disfacimento, governato da uomini uno dei quali verrà addirittura evirato.
Bellissima poi l’immagine di un’altra donna che, versando dell’acqua sui suoi piedi, come una statua di sabbia piano piano sparisce nel nulla, anche lei consunta dal suo stesso agire.
Nell’ultima parte dello spettacolo, davvero straordinaria, il puzzle delle immagini precedenti sembra ricomporsi e apparire più chiaro e dirompente. Così, ad un certo punto, tutti ma proprio tutti i performer si affannano letteralmente a sradicare le assi che compongono il palco, lasciando posto ad una specie di acquitrino che un inserviente cerca di pulire.
È in quel preciso momento che ci accorgiamo con meraviglia che l’orizzonte scenico si è trasformato in un paesaggio marino, attraversato da una piccola montagnola, da cui un uomo nudo osserva, non riusciamo a capire se il tramonto o l’alba, ma poco importa. Perché abbiamo assistito ad un teatro estetizzante. E’ fine a sé stesso?, potrebbe domandarsi qualcuno. Abbiamo visto una profonda analisi sul fallimento della nostra civiltà?
Forse non è neppure questo il punto nevralgico da affrontare. Davanti a noi il teatro, prendendo forme diverse e inaspettate, ha catturato in ogni istante i nostri occhi, e sovente anche cuore e cervello, facendoci navigare per mondi sconosciuti che a un certo punto ci sono sembrati fortemente nostri, come se ci appartenessero da sempre.
Transverse Orientation
ideazione, visualizzazione e concezione Dimitris Papaioannou
con Damiano Ottavio Bigi, Šuka Horn, Jan Möllmer, Breanna O’Mara, Tina Papanikolaou, Łukasz Przytarski, Christos Strinopoulos, Michalis Theophanous – musica Antonio Vivaldi – set design Tina Tzoka & Loukas Bakas – composizione sonora + design Coti K. – costumi Aggelos Mendis – collaborazione disegno luci Stephanos Droussiotis – supervisione musica Stephanos Droussiotis – sculture + costruzioni speciali + oggetti di scena Nectarios Dionysatos – invenzioni meccaniche Dimitris Korres – produttore creativo-esecutivo e assistente di direzione Tina Papanikolaou
assistenti di direzione e prove Pavlina Andriopoulou & Drossos Skotis – assistente set designer Tzela Christopoulou – assistente composizione sonora Martha Kapazoglou – assistente costumi Aella Tsilikopoulou – assistente costruzioni speciali e oggetti di scena Eva Tsambasi – fotografia e cinematografia Julian Mommert – direttore tecnico Manolis Vitsaxakis – assistente del direttore tecnico Marios Karaolis – stage manager, sound engineer, costruzioni oggetti di scena David Blouin – responsabile oggetti di scena Tzela Christopoulou – programmatore luci Stephanos Droussiotis – realizzazione costumi Litsa Moumouri, Efi Karantasiou, Islam Kazi
macchinisti Kostas Kakoulidis, Evgenios Anastopoulos, Panos Koutsoumanis – costruzione luci Miltos Athanasiou – bambola di silicone realizzata da Joanna Bobrzynska-Gomes – team oggetti di scena Natalia Fragkathoula, Marilena Kalaitzantonaki, Timothy Laskaratos, Anastasis Meletis, Antonis Vassilakis
produzione esecutiva 2WORKS in collaborazione con POLYPLANITY Productions – produzione esecutiva associata Vicky Strataki – assistente alla produzione esecutiva Kali Kavvatha – manager produzione oggetti di scena Pavlina Andriopoulou – relazioni internazionali + manager comunicazione Julian Mommert
una produzione ONASSIS STEGI – da eseguire in prima assoluta presso ONASSIS STEGI (2021)
coproduzione Festival d’Avignon, Biennale de la danse de Lyon 2021, Dance Umbrella / Sadler’s Wells Theatre, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia, Grec Festival de Barcelona, Holland Festival – Amsterdam, Luminato (Toronto) / TO Live, New Vision Arts Festival (Hong Kong), Ruhrfestspiele Recklinghausen, Saitama Arts Theatre / ROHM Theatre Kyoto, Stanford Live / Stanford University, Teatro Municipal do Porto, Théâtre de la Ville – Paris / Théatre du Châtelet, UCLA’s Center for the Art of Performance – con il sostegno di Festival Aperto (Reggio Emilia), Festival de Otoño de la Comunidad de Madrid, HELLERAU – European Centre for the Arts, National Arts Centre (Ottawa), New Baltic Dance Festival, ONE DANCE WEEK Festival, P.P. Culture Enterprises Ltd, TANEC PRAHA International Dance Festival, Teatro della Pergola – Firenze, Torinodanza Festival / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale – sostenuto da Hellenic Ministry of Culture and Sports
ll lavoro di Dimitris Papaioannou è sostenuto da MEGARON – THE ATHENS CONCERT HALL
Un progetto di Festival Aperto Reggio Emilia in collaborazione con Max Mara
durata: 2 h circa
Visto a Reggio Emilia, Teatro municipale Valli, il 3 ottobre 2021