Perdersi per incontrarsi. Ferruccio Marotti si congeda dalla Sapienza con un laboratorio di Enrique Vargas

Photo: Guido Laudani

Certe volte il teatro ha una potenza indescrivibile. Proverò a mettere per iscritto l’esperienza che ho vissuto, consapevole che le emozioni provate sulla pelle, annusate e sfiorate restano talvolta dentro chi le ha vissute, senza possibilità di uscita. Ho detto “teatro” ma non sono sicuro che di teatro si tratti. Forse è meglio chiamarla performance, performance sensoriale.

L’occasione è il commiato del professor Ferruccio Marotti, docente di spettacolo alla Sapienza di Roma: un addio alla carriera accademica dopo 47 anni di attività. Ha voluto congedarsi organizzando un laboratorio condotto da Enrique Vargas, regista e antropologo colombiano, fondatore del Teatro de los Sentidos, insieme ad alcuni studenti non vedenti dell’università (Giovanni Ippolitoni, Fabiana Marrocco, Emanuela Musi, Hender Vinicio Orticosa, Valerio Sannetti e Antonio Selvaggi). Il risultato del laboratorio è stato presentato la settimana scorsa, in collaborazione con il Centro Teatrale Ateneo, negli spazi del Laboratorio Teatrale Univeristario Eduardo De Filippo.
Marotti ci accoglie all’ingresso sorridente e orgoglioso.
Si entrerà, uno alla volta, in un percorso itinerante di trenta minuti.

Il teatro diventa una serie di cunicoli bui. Mi addentro, vengo preso per mano. Sprofondo nel buio progressivamente; vengo bendato, cullato e portato in giro da non vedenti. Dopo qualche incertezza iniziale nei passi e negli spostamenti mi abbandono totalmente al gioco, annuso i profumi delle attrici e degli attori, rischio di cadere, sono invitato a tastare tessuti, annusare profumi, mi lascio toccare le spalle e la faccia. Entro in intimità con le mie guide, ci stringiamo le mani. Le sento calde. Penso che il buio non sia mai stato così bello, non voglio tornare là fuori, al freddo e alla luce. Sto bene qui, tra sconosciuti, e forse per questo così dolci.
Il teatro e la disabilità possono riuscire anche a farti innamorare degli estranei, che non solo non conosci ma neppure vedi, e mentre brindo e ballo con la mia compagna (che posso solo immaginare, ma mi sembra stupenda) questa mezz’ora di un pomeriggio lavorativo di fine ottobre pare un sogno, un dono, una manna dal cielo.

Finisco il percorso scrivendo commenti al buio e sorseggiando un buonissimo tè. Esito un po’ prima di uscire, consapevole di andarmene per sempre. Un po’ triste perché capisco che non ci sarà tempo per gli applausi; la maschera non verrà calata e non vedrò mai in faccia i miei compagni di percorso. E forse è per questo che non riesco a togliermeli dalla testa.

Teatro? Esperienza teatral-sensoriale interattiva? La definizione mi sfugge ed interessa poco. Il titolo della performance “Punti di vista. Il modo migliore per incontrarsi è perdersi” non può essere più esplicativo.
I bambini hanno paura del buio? Facciamo provare loro questo percorso. Potrebbero scoprire nuovi punti di vista. E rimanerne affascinati.

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