Enzo Celli è la prova che la danza pura non è l’unico punto di partenza per l’espressione fisica di un corpo in scena. La sensibilità dei muscoli la si raggiunge percorrendo strade diverse e attraverso quelle stesse strade la si affina, rendendo via via più acuminata la lancia che colpisce nel segno di emozioni precise, puntuali, essenziali e insieme complesse. Partendo dall’atletica, passando per lo sport estremo, lo stile del tutto personale che Celli ha fatto confluire nella danza si basa innanzitutto sulla fisicità, sul fondersi di diverse consapevolezze del corpo in movimento, alla ricerca di una sinergia che dimostri gli ingranaggi inconfondibili della dinamica umana.
Attivo ormai da più di dieci anni, il gruppo Botega ha avuto occasione di incontrarsi e di abbracciare realtà davvero eterogenee, dalla danza classica all’hip hop, dall’acrobatica alla giocoleria, mettendo insieme breakers, stuntmen, artisti del balletto e saltimbanchi, verso una sorta di laboratorio di movimento scenico in continuo divenire.
Ora il Teatro di Roma, attraverso l’organo dei teatri di cintura, apre le porte dello spazio a Tor Bella Monaca per ospitare due esclusive anteprime che danno un assaggio dei prossimi lavori dei Botega. Abbiamo così incontrato Enzo Celli per sapere direttamente da lui di che si tratta.
“Paracasoscia”: è questa la locuzione che dà il titolo al nuovo spettacolo; fuor di dialetto, “pare che soffi”. Si parla di vento, dunque, e la parola è innanzitutto un’onomatopea, che offre in pieno il senso dello scorrere. Vento, e quindi aria. “E’ una rivisitazione di varie arie di opere liriche – spiega Celli – Abbiamo messo insieme brani famosi della lirica estrapolate completamente dal contesto e rielaborate a nostro piacimento”. Si tratta allora, precisa in un sorriso, di un “esercizio ballettistico” basato su un’intenzione principalmente allegra e autoironica.
Chiedendogli un esempio di un’opera utilizzata, Celli tira in ballo la gloriosa “Aida” di Verdi, opera tra le più solenni, nella quale sopravvivono di certo tra i brani più celebri della lirica di tutti i tempi. “Utilizziamo un brano musicale come pretesto per fare dell’autoironia”. E più sono famosi, più l’aria è conosciuta, più colpisce nel segno la rielaborazione.
L’idea principale è quella di “uno spettacolo non narrativo, ma fatto di situazioni. Di fronte all’esigenza di una qualche contestualizzazione, abbiamo immaginato la polvere che si deposita sulle quinte dei teatri. È così che si animano queste situazioni: come se quella polvere, una volta scossa, generasse una turba di folletti che intraprendono un viaggio tra un’opera e l’altra. La contaminazione è da sempre la nostra cifra stilistica. Mi riferisco proprio allo sviluppo della grammatica della danza”.
Per quanto riguarda la distribuzione delle energie sul palco, in questo spettacolo le donne, in linea generale, danzano contemporaneo mentre gli uomini hip hop e breakdance. Ma, proprio in virtù di quella contaminazione, il gioco resta nel tentativo di mescolare queste attitudini, unendole nelle sonorità della lirica: “Su ‘Una furtiva lagrima’ di Donizetti ho montato un passo a due tra una danzatrice sulle punte e un breaker”.
“Paracasoscia” non è la sola anticipazione offerta dai Botega, che mostrano anche i quadri finali di un altro lavoro in procinto di debuttare: “Sinan”: “È uno spettacolo narrativo, un ultimo spettacolo danzato per me”.“Sinan” è, tiene a precisare, una sorta di autobiografia. “Traendo ispirazione da ‘Sinàn Capudàn Pascià’ di Fabrizio De Andrè, brano che racconta di un brigante pirata che, rapito dalla marina ottomana e dovendo scegliere tra la morte e l’arruolamento, finisce per diventare Gran Pascià, racconto il curioso modo in cui io sono entrato nel mondo della danza. In un certo senso ‘dalla finestra’, con grande pazienza, lottando per uno stile il più possibile personale. E piano piano…”. Piano piano sembra che Enzo Celli abbia percorso molta strada, sia come artista solista che come guida del gruppo Botega, stendardo della propria estetica. La compagnia sarà infatti impegnata, ad aprile, in Giordania per un lavoro multientico tra danzatori italiani e palestinesi, per debuttare il 21 aprile a Gerusalemme, prima di effettuare, nella stessa Giordania, una tournée con gli spettacoli della scorsa stagione.
“Il mio è un lavoro di scultura direttamente con i danzatori, con i quali si lavora a vari livelli. Penso che l’hip hop abbia il valore aggiunto di essere molto verace e originale. Avendo a che fare con questo genere di danza, non sarebbe possibile omettere la componente fondamentale rappresentata dall’improvvisazione: un coreografo deve rispettarla in quanto, appunto, caratteristica e valore aggiunto. Io cerco di lasciar libero, per quanto posso, un breaker perché improvvisi, senza imporgli un lessico meno performante. La sua è una performance fisica, ancor prima che interpretativa”. Ci sono poi altri momenti in cui, creando danza, “si sente il bisogno del balletto, anche per l’hip hop, soprattutto in fase di scrittura, di montaggio della coreografia. Ma, un po’ come la differenza che corre tra un abito della tua taglia e un abito fatto su misura, secondo me il bello di ‘scolpire’ i danzatori è proprio che puoi montare su di loro le coreografie. Allora, se cambia un danzatore, per forza di cose cambiano anche le variazioni”.
Per quanto riguarda “Paracasoscia”, aggiunge poi Celli, “l’improvvisazione è tuttavia quasi assente. È uno spettacolo dedicato alla compagnia, abbiamo perso tantissimo tempo in sala prove, ci siamo dedicati di più a noi stessi. È vero che sono i ritmi di produzione che tendono a farti lavorare in fretta, circa 20 giorni di prove, ma per quanto mi riguarda, seppur scellerata, è anche in parte una mia scelta. Proprio perché voglio conservare quella veracità, quella fisicità. Quando vai al circo, dopo le foche ammaestrate, tutte paciose e addormentate, che fanno fare mille giri a una palla sul muso, quando arrivano i leoni vuoi vedere la ferocia”. I domatori li affamano proprio perché è lì e solo lì che si basa la loro supremazia sulla bestia: puoi mostrare la loro ferocia perché li hai tenuti a stecchetto. In un certo senso è lo stesso procedimento adottato da Enzo Celli nel provare poco: “Li affamo di danza. Così arrivano sul palco che non vedono l’ora di danzare, conservano quella veracità, quella ferocia. Si vede una performance, non puro perfezionismo ed elucubrazione del movimento. Una volta un critico mi disse: la gente verrà a vedere chi sei e non che cosa fai”.
Per il momento Botega ha lasciato alle spalle il grande lavoro svolto con circensi, acrobati e giocolieri, dai quali Celli racconta d’aver imparato molto soprattutto sul piano umano (“La danza è la globalizzazione del linguaggio, attaccato al quale c’è sempre un embrione di cultura che, una volta sprigionato, si fa stimolo per l’artista a rappresentare la visione di una personale bellezza”). Quella lezione, ora, è tutta al servizio dei due nuovi lavori, “Paracasoscia” e “Sinàn”, che debuttano rispettivamente l’8 marzo al Teatro Palarte a Fabrica di Roma e il 25 marzo al Teatro Eden di Treviso.