Essere norvegesi. L’autoassoluzione di David Greig e Roberto Rustioni

Roberto Rustioni ed Elena Arvigo
Roberto Rustioni ed Elena Arvigo
Roberto Rustioni ed Elena Arvigo
Succede poche volte, ma tuttavia succede, che uno spettacolo ti ricordi ciò che non solo il teatro, ma tutta l’arte dovrebbe fondamentalmente essere: una vita in più. Un bonus d’esistenza. La possibilità di esperire l’altro da sé, e di tornare poi alla propria, di vita, con quel prezioso dono aggiuntivo. Che ti arricchisce o a volte ti sconvolge. Non succede spesso, però. Perché serve la serata giusta, oltre ad una serie di fortunate coincidenze.

Con “Being norwegian”, invece, testo del drammaturgo scozzese David Greig che ha chiuso la prima parte di Trend 2013 (quella dedicata al Regno Unito), ogni variabile si è sistemata proprio al posto giusto.

Prima variabile: la base di un testo intelligente ed onesto come quello di Greig. Un testo in grado di rischiare, di muoversi sulle ripe strette del parlato quotidiano, ovvero sulle frasi normali, ripetitive, superficiali, generiche con cui siamo abituati a comunicare per la maggior parte della giornata.

Ma, così come accade nella vita, sotto all’epidermide dei dialoghi facili c’è un mare inesplicabile di complessità. Quando si cerca di riprodurre artisticamente questa realtà, la maggior parte delle volte si finisce per afferrarne la superficie e lasciarsi sfuggire il mare sottostante: il mimetismo svuota la vita e ci si ritrova con un pugno di banalità. I più bravi, invece (e Greig è senz’altro tra questi), ti lasciano i primi dieci minuti dello spettacolo per essere scettico, per ascoltare le battute di un dialogo apparentemente privo di ogni ricercatezza stilistica, fin troppo simile ai dialoghi reali, aspettandoti da un momento all’altro la caduta, la rivelazione dell’artefatto.
Invece quei dieci minuti passano e tu, senza che sia dato di rendertene conto, cominci a credere a quel testo molto più di quanto ti succeda con la maggior parte degli altri.

Sean accoglie Lisa nel suo caotico appartamento: si sono conosciuti poco tempo prima in un pub. Le cose di Sean, appena trasferitosi, sono ancora tutte negli scatoloni; Lisa si siede sul divano. Nell’imbarazzo di quell’intimità non prevista, gli oggetti attorno diventano degli appigli cui legare le frasi, per evitare quei secondi di silenzio che, nella legge delle nuove relazioni, sembrano a volte pesare come ore.
Sean, che nel corpo di Roberto Rustioni è una sorta di allampanato e schivo asceta, commenta ad alta voce le sue stesse azioni, ciò che trova attorno, e anche se non lo dice sembra quasi chiedere scusa per non poter fare di meglio. Lisa, con gli occhi selenici ed il volto svampito di Elena Arvigo, è molto più intraprendente.

La credibilità del loro conoscersi è davvero avvolgente: il testo di Greig crea nel loro dialogo una sorta di trasparenza emotiva, di esposizione sincera che attira in un soffio l’amicizia e la muta confidenza del pubblico. In fondo sono entrambi dei guitti, estranei alle dinamiche e ai mutui riconoscimenti della società.
Se Sean ha costruito il suo spazio di silenzio, anche per elaborare un passato familiare doloroso, Lisa è la meravigliosa parodia di chi cerca conforto nel sentirsi superiore alla società cui appartiene; essere naif e muy spiritual significa allora rifugiarsi in stereotipi salvifici che poi non reggono alla prova dei fatti.
Tutto ciò che è bello e diverso dev’essere anche norvegese, dalle tivù spente al piacere del silenzio, e se Sean legge solitario un libro in mezzo al pub, anche lui dev’essere un norvegese eroicamente appassionato di letteratura, piuttosto che un uomo qualsiasi curioso di sapere chi è l’assassino nell’ultimo giallo best seller. È norvegese guardare la luna, è norvegese ascoltare buona musica, è norvegese fare l’amore.

Pian piano il testo osa di più, acuisce l’intensità parodica di alcune frasi, ma mai con l’obiettivo di stupire o di guadagnarsi per forza la risata (che proprio per questo arriva puntuale); sempre piuttosto un’umile aderenza ai personaggi e alla situazione, che diventa preziosa man mano che quest’ultima si sviluppa.
Si arriva, così, ad un’atmosfera capace di rendere alla perfezione il  grottesco quotidiano di tante situazioni comuni, di mostrare la complessità secondo cui si evolvono, nello spazio di un semplice dialogo notturno fra un uomo e una donna, le distanze e gli avvicinamenti, il magnetismo dei caratteri.

Da qui nasce con spontaneità sia l’affetto fra i due personaggi in scena, sia la partecipazione del pubblico: e, lo ripetiamo, saper rappresentare senza gonfiore di stilemi la piccola follia di ognuno di noi è un merito davvero molto raro.
È evidente che non potrebbe esserci tutto questo senza la maestria degli interpreti. Il lavoro di Arvigo sul personaggio è straordinario, e si vede per come l’attrice è riuscita a caratterizzare la sua linea vocale, nervosa come la retta tracciata su un foglio da una mano tremante, con certe sillabe che schizzano stridenti verso l’alto e poi subito vengono ricacciate in tonalità meno acute, più adeguate alla medietà della norma sociale. Arvigo si conferma insomma un’attrice di gran valore: già un paio d’anni aveva colpito per la sua recitazione tesa e mai affettata in una bella versione di un classico dello «in yer face theatre», cioè “4:48 psychosis” di Sarah Kane.

Rustioni, che ha anche il merito di una regia pulita e ben scandita, sa posizionare il suo Sean in una ritrosia mai statuaria, bensì scossa da vibrazioni interiori e da sempre meno sottili variazioni emotive: come capita spesso, la sua introversione si rivela più sincera dell’estroversione di Lisa, e i ruoli apparenti dei due finiscono per scambiarsi nel momento di maggior intensità scenica, quando il ritmo si spezza ed apre al finale.

La sezione britannica di Trend 2013 ci lascia con questo gioiellino d’ironia e tenerezza. Il testo di Greig e la messa in scena di Rustioni regalano al pubblico il racconto delicato di un incontro: e già questo, se fatto con cotanta asciuttezza e attenzione emotiva, non sarebbe poco.

Ma il vero interrogativo che ci lascia questa serata è un altro, e tocca molto più in profondità proprio gli appassionati, gli operatori culturali, i teatranti: nella crisi nera che stiamo vivendo, noi che, come folli, continuiamo ad andare a teatro, comprar libri, investire tempo e denaro nelle cose belle… saremo mica affetti dal morbo norvegese? Non sarà mica che facciamo tutto questo, criticando l’Italia che decade e ci fa soffrire, anche col segreto piacere di sentirci in fondo sani, incolpevoli, e ovviamente norvegesi?

Being norwegian

di: David Greig
regia: Roberto Rustioni
con: Elena Arvigo, Roberto Rustioni
compagnia/produzione: Associazione Teatro C/R, Associazione Olinda
traduzione: Valentina De Simone
durata: 60′
applausi: 2′ 10”

Visto a Roma, Teatro Belli, il 13 aprile 2013


 

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