
Effettivamente dev’essere abbastanza noioso per un talento esploso giovanissimo dover iniziare le interviste tutte con la solfa del giovane talento, del bambino prodigio, del supereroe in fasce.
D’altronde Fausto Paravidino ha poco più di trent’anni (Genova, 1976), e dal 1990 calca instancabilmente le scene sia come attore che come drammaturgo.
Se fra il ’90 e il ’94 lavora ad Ovada con la compagnia La Soffitta, diretto da Jurij Ferrini, dal ’95 torna a Genova per frequentare la scuola di recitazione del Teatro Stabile e l’anno dopo, come nei migliori romanzi d’appendice, fugge a Roma, per condurre mesi, se non anni secondo alcune leggende, di vita di bohème: anni durante i quali arrivano le sue prime drammaturgie come “Trinciapollo”, di cui firma anche la regia teatrale nel ’99, e la collaborazione con la compagnia Gloriababbi Teatro, con cui mette in scena il testo “Gabriele”, scritto con Giampiero Rappa e vincitore della 3ª Rassegna della Drammaturgia Emergente.
L’aggettivo emergente da questo momento gli sarà fedele compagno di viaggio, insieme al sostantivo talento, che ancor di più gli si attaccherà addosso quando con il testo “2 Fratelli” (1998, a soli 22 anni) vincerà il Premio Tondelli di Riccione Teatro, una tragedia da camera in 53 giorni che verrà poi prodotta dallo Stabile di Bolzano.
E siamo al 1999, quando mette in scena “Tutta colpa di Cupido”, scritto con Lello Arena e Giampiero Rappa. Sono gli anni in cui fa le prime apparizioni cinematografiche ne “La via degli angeli”, diretto da Pupi Avati, e in “Vuoti a perdere” di Massimo Costa.
Da quel momento inizia a lavorare anche alle fiction Rai (“Caro domani”), e decide di perfezionarsi all’International Residency for Playwrights del Royal Court Theatre di Londra. E’ di quell’anno “La malattia della famiglia M”, che vince il Premio Candoni Arta Terme 2000 – sezione opere commissionate, lavoro che dopo essere stato rappresentato con successo in altri paesi europei, debutta per la prima volta in Italia (lo scorso gennaio al Teatro Litta di Milano) nell’edizione diretta e interpretata dall’autore stesso.
E siamo agli ultimi anni, diciamo quelli poco prima della trentina, per tornare sul sorprendente dato anagrafico: nel 2005 ha scritto, diretto e interpretato il film “Texas”, opera prima prodotta da Fandango, e nel 2009 riappare su SkyCinema con la miniserie “Moana”, regia di Alfredo Peyretti, dedicata alla vita di Moana Pozzi, in cui interpreta il ruolo di Riccardo Schicchi.
A parlare con Fausto si hanno due strane sensazioni: una è che non sia mai stato bambino, la seconda che sia sempre stato prodigio.
Sulla scena di “La malattia della famiglia M”, sulla panchina che di lì a poco sarà punto di inizio dello spettacolo, cosa direbbe a chi vuole conoscere Fausto Paravidino? A lui la risposta, dalla sua voce così particolare, con quel modo di fare tutto suo.