Turturro riscopre Calvino e le Fiabe italiane

Prove di 'Fiabe italiane'|John Turturro
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John Turturro
John Turturro (photo: teatrostabiletorino.it)

“Io credo questo: le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna”.
(Italo Calvino, introduzione a “Fiabe italiane”, 1956)

Si è fatto annunciare, a Torino, da una serie di prove partite a dicembre; l’abbiamo poi visto ospite nel “salotto colto” televisivo del Fabio Fazio Show, e ieri mattina John Turturro è stato presentato ufficialmente alla stampa a pochi giorni dal debutto di “Fiabe italiane (Italian Folktales)”, spettacolo liberamente ispirato alle monumentali “Fiabe italiane” curate da Italo Calvino, ma anche alle favole di Giambattista Basile e Giuseppe Pitrè.

Un progetto scritto insieme alla moglie Katherine Borowitz, a Carl Capotorto e a Max Casella, di cui ha curato la regia, e che lo vedrà in scena insieme ad un folto gruppo di colleghi/amici: Jess Barbagallo, la stessa Katherine Borowitz, Max Casella (che la scorsa primavera ha interpretato accanto a Turturro la parte di Clov in “Finale di partita” di Samuel Beckett), Richard Easton, Aida Turturro (cugina del regista e volto noto della serie tv “I Soprano”), il piccolo Diego Turturro (figlio di soli nove anni di John e Katherine Borowitz), ma anche i meno conosciuti Erika La Ragione e Giuliano Scarpinato, attori diplomati alla Scuola del Teatro Stabile di Torino, e l’attrice palermitana Aurora Quattrocchi.

Acclamato attore e regista statunitense, interprete prediletto dai fratelli Cohen e da Spike Lee, dopo aver conquistato il pubblico, nel 2006, con una versione di “Questi fantasmi” di Eduardo De Filippo al Mercadante di Napoli, John Turturro ha deciso di firmare questo nuovo progetto teatrale con un adattamento drammaturgico originale. Ha scelto, per curare i costumi e gli oggetti di scena, la brava Daniela Dal Cin, scenografa ed immagine inconfondibile della compagnia torinese Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, mentre le musiche saranno eseguite dal vivo da La Paranza del Geco, altra scelta che si preannuncia interessante. Le scene sono di Carmelo Giammello, artista che, oltre a lavorare in teatro (premio Ubu 2004 per “L’avaro” di Gabriele Lavia), a Torino lascia da anni la sua impronta con un’installazione delle natalizie Luci d’Artista.

Uno spettacolo italo-americano, insomma, proprio come le origini di Turturro. Prodotto dalla Fondazione del Teatro Stabile di Torino e dallo Stabile di Napoli, debutterà martedì prossimo, 19 gennaio, al Teatro Carignano (per festeggiarne i 300 anni dalla fondazione) e resterà in scena nel capoluogo piemontese fino al 31 gennaio, per poi essere esportato a Napoli (dal 2 al 7 febbraio), Milano (9-14 febbraio) e New York.

«Ho scelto le “Fiabe italiane” perché sono state il primo regalo ricevuto da mia moglie Katherine, quando eravamo ancora fidanzati – ha dichiarato Turturro – Sono un grande estimatore delle opere di Calvino e proprio come lui, che aveva avuto difficoltà nel vagliare quali fiabe adattare, anche per noi è stato difficile selezionare favole che fossero in grado di coesistere e di supportarsi a vicenda. Alla fine abbiamo scelto “Ari-ari, ciuco mio, butta danari!”, “Salta nel mio sacco!”, “La scuola della Salamanca”, “Il principe granchio”, “Le tre raccoglitrici di cicoria” da Calvino; “Il racconto dell’orco”, “La vecchia scorticata”, “I due fratelli” da Basile e “La pupidda” da Pitrè. Poi Katherine, Carl Capotorto, Max Casella ed io le abbiamo adattate in una forma idonea alla messa in scena. Il nostro intento era quello di intrecciare le storie in un’unica sessione teatrale, e non di presentarle separatamente».

Prove di 'Fiabe italiane'
Da sinistra: John Turturro, Aurora Quattrocchi e Max Casella durante le prove (photo: Gianni Fiorito)

La celebre raccolta di Calvino uscì per la prima volta, edita da Einaudi, nel novembre del ’56. Il sottotitolo all’opera (oggi riproposta ad un prezzo accessibile in un cofanetto di tre volumi per gli Oscar Mondadori) è semplice quanto chiarificatore: fiabe italiane raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti da Italo Calvino. La mancanza di quello che Calvino definì un “Grimm italiano” o una grande raccolta delle fiabe popolari nostrane lo spinsero ad iniziare l’opera, che oggi viene in piccola parte rievocata teatralmente, offrendosi come spunto per una sempre valida riscoperta letteraria a livello individuale.

«Trovo irresistibili la parsimonia e la bellezza delle fiabe – prosegue il regista – Sono storie piene di grazia e al tempo stesso umili, sono lo specchio di un’Italia senza confini, un continente più che una nazione. Il loro è un afflato universale che trascende tempo e luogo. Sono l’espressione di una realtà dura e poverissima; cercano di ridare speranza a chi non ne ha, rendendo l’esistenza più sopportabile. Oggi essere il primo che riesce a mettere in scena “Fiabe italiane” è un onore che mi è difficile descrivere. Anche perché, prima di me, ci aveva provato il grande Federico Fellini. Negli anni Settanta lui e Calvino si erano incontrati più volte per discutere il progetto, mai andato in porto».

In occasione del debutto dello spettacolo, il Museo Nazionale del Cinema di Torino organizzerà, dal 23 al 26 gennaio, “Tra Palermo e Brooklyn. Omaggio a John Turturro”, una rassegna di film da lui interpretati e diretti.
Il Dams della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino dedicherà invece all’attore newyorkese, il 27 gennaio, “Ritratto d’autore”, una giornata di studi sulla sua opera volta a ricostruirne la carriera teatrale e cinematografica. Infine, il 26 e il 28 di questo mese, lo stesso Turturro terrà alla Scuola per attori dello Stabile di Torino un workshop rivolto ai nuovi allievi del triennio 2009/2012, offrendo una testimonianza sul mestiere di attore e regista.

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  1. says: Francesca

    Io sono andata a vederlo allo Strehler, a Milano. Dio mio. Magari ci fosse stato anche solo un grammo di quella delicatezza e di quella parsimonia di cui parla Turturro nelle interviste a proposito delle fiabe. Gli attori recitavano come se fossero stati in una sit-com, la calviniana leggerezza di cui sono intrise le fiabe è stata orribilmente fraintesa e restituita con una recitazione farsesca, falsa, e in molti punti anche volgare.

    Le fiabe rivelano con semplicità alcuni aspetti che riguardano l’uomo nel profondo: lo spettacolo di Turturro è tutto un ricalcare gli stereotipi superficiali dell’Italietta vista dagli occhi del figlio di emigranti. Una serie di clichè anni 50, poco interessanti e che hanno poco da dire all’Italia di oggi.

    O forse no, visto che è una delle più grosse produzioni di due degli Stabili più importanti del Paese. Dio mio.

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