Hangartfest: credere nei giovani dando loro la possibilità di sbagliare

O Solitudine|Accidentes gloriosos di Rosabella Teatro|Gli organizzatori dell'HangartFest in conferenza stampa
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Accidentes gloriosos di Rosabella Teatro
Accidentes gloriosos di Rosabella Teatro, per la regia di Giulio Stasi
L’edizione 2013 di Hangartfest, festival pesarese della scena indipendente, si è mostrata ancor più ricca di eventi degli anni passati, con performance, installazioni, video, laboratori, conversazioni sulla danza e due bei fuori programma che lo hanno collegato con Venezia e Macerata.

Ne abbiamo parlato con Antonio Cioffi, direttore e anima del festival.

Terminato il mese di attività – il festival è durato dal 1° al 28 settembre – qual è il bilancio?
Innanzitutto non ci aspettavamo così tanto pubblico. Il sistema delle prenotazioni ha funzionato bene, ma tante persone sono rimaste fuori perché era tutto esaurito. Poter contare su un pubblico numeroso fa piacere, ovviamente, ma merita anche una riflessione: è il segno che il pubblico ama percorrere sentieri nuovi, scoprire ciò che non conosce e partecipare ad esperienze che non siano codificate e prevedibili.
Non vogliamo essere né compiacenti con gli spettatori, né avere la pretesa di soddisfarli sempre, ma vogliamo stimolarli e far vedere cose che non vedrebbero mai in una normale stagione teatrale. L’importante non è che una performance piaccia o non piaccia, ma che lo spettatore sia stimolato e possa parlarne, magari con noi o con gli autori, che possa esprimere il proprio pensiero e confrontarsi. Anche agli artisti questo fa bene, un feedback dal pubblico è sempre utile, anche quando non è favorevole, poiché è preferibile una critica sincera ad un applauso formale. Ci piace offrire opportunità di incontro e di scambio tra il pubblico e gli artisti dopo gli spettacoli, in momenti informali e conviviali.

Come ti relazioni a questa città e al suo pubblico?
Credo che viviamo in una città ingessata e culturalmente monotematica. Sono pochissime le eccezioni, e questo mi spaventa: è come stare in una stanza dove manca aria. Sento costantemente l’urgenza di spaziare e nutrirmi di idee nuove che nascano dalle realtà meno convenzionali, dal lavoro di sperimentazione di nuovi linguaggi che ai nostri giorni sono necessariamente il linguaggio delle generazioni che guardano al futuro, i giovani.
Ad esempio, se prendiamo la musica, sembra che in questa città le energie siano tutte rivolte alle proposte cosiddette colte, lasciando un baratro tutt’intorno che non si colma mai nei decenni. Ci sono tanti giovani che hanno validi progetti ma che hanno bisogno di spazi adeguati ed attrezzati dove poter incontrarsi artisticamente e scambiare esperienze, dove poter sperimentare, ergo non solo salire su un palcoscenico in una grande piazza una sera d’estate e poi più nulla, tanto per dire che anche a loro viene data attenzione.
Il lavoro creativo va sostenuto con adeguate risorse e in maniera continuativa, cioè in modo strutturale e non con iniziative una tantum, né con bandi impossibili ai quali possono accedere solo in pochi, ovvero coloro che fanno già parte del sistema.
I giovani hanno bisogno che qualcuno creda in loro non solo a parole, ma con atti concreti e che investa nelle loro capacità, che li metta in condizione di crescere e fare ricerca, e anche di sbagliare. Ci vogliono quindi politiche culturali innovative e fondi strutturali. E’ questo il ruolo delle istituzioni.
Nel guardarmi indietro negli anni e nel tirare un bilancio di questa decima edizione, posso dire che siamo riusciti a realizzare un grande piccolo progetto che ha dato spazio a tantissimi artisti indipendenti, venuti spesso da lontano, ma anche dalle Marche, territorio al quale prestiamo sempre molta attenzione.

Gli organizzatori dell'HangartFest in conferenza stampa
Gli organizzatori dell’HangartFest (Cioffi, il secondo da sx) in conferenza stampa
Questa X edizione ha visto delle belle novità.
Soprattutto l’eterogeneità delle proposte. In verità non è la prima volta che sforiamo nella musica o nel teatro, ma mai in modo così smaccato come in questa edizione. Capisco bene il valore delle rassegne a tema o dei contenitori che trovano la loro forza proprio nella specificità, nell’unità artistica dei generi proposti, ma io sono un po’ stanco di tutto questo, e preferisco la leggerezza delle kermesse dove si dà più spazio allo spettatore, che può scegliere tra performance, video installazioni, conferenze e laboratori, dandogli la possibilità di attraversare generi differenti della contemporaneità. Mi piace che lo spettatore abbia la sensazione di sentirsi più partecipe e, se vuole, quando gli viene data l’opportunità, di prender parte all’azione, interagendo magari con l’artista o con gli altri partecipanti, una scelta di prospettiva insomma. La serata conclusiva è stata in gran parte così.
La danza, o meglio il linguaggio del corpo, rimane il filo conduttore, ma ci sono linguaggi performativi che si intrecciano in continuazione dando vita a forme che a volte generano codici ancora da decifrare. Credo che lo spettatore sia alla ricerca di impulsi e sensazioni in grado di offrirgli spazi più ampi nei quali volare. Per me questa non è confusione, ma apertura.

Cosa vuol dire essere un festival indipendente?
Significa tante cose. Ad esempio credere fermamente in ciò che si fa ed avere una grande tenacia, quasi un’accanita testardaggine, per portare avanti un progetto che è totalmente autofinanziato. Essere indipendenti ha un costo altissimo, ma ti offre anche la soddisfazione di non dover render conto a nessuno, se non al pubblico che ti segue e che ti appoggia. Viviamo grazie al fundraising, che quest’anno ha visto la Banca dell’Adriatico schierata in prima fila, poi grazie alle quote dei numerosi associati e infine grazie al sostegno di Hangart, la scuola di danza promotrice del progetto, che da sempre sostiene l’iniziativa, ritenendo che formazione e spettacolo dal vivo vadano di pari passo, che siano le due facce di una stessa medaglia.
Investiamo anche risorse personali, mossi dalla passione e dalla convinzione che ognuno debba fare la propria parte nel rendere sostenibili i progetti. E ci siamo riusciti in tutti questi anni, grazie anche all’aiuto di tanti volontari.
Oggi, essere indipendenti acquista un valore ancor più forte. La crisi economica di questi anni, che ha messo in ginocchio famiglie e aziende, non può più essere una giustificazione da parte delle istituzioni per penalizzare la cultura.
In tutti i settori, soprattutto in quello delle arti, la pluralità dei linguaggi e la diversità dell’offerta dovrebbero essere un volano di crescita e di arricchimento sociale. Le istituzioni dovrebbero porsi seriamente il problema se non sia il caso di pensare ad una ridistribuzione più equa delle risorse pubbliche, che tenga conto anche delle realtà più piccole, che incentivi la cultura popolare e che sappia riconoscere il fermento vitale del caleidoscopio di iniziative che animano il proprio territorio, che rappresentano un valore aggiunto e insostituibile per la collettività. Iniziative forse invisibili agli analisti, che ragionano solo coi dati macro economici, ma che spesso sono portatrici sane di quella sostenibilità alla quale gli amministratori fanno continuamente riferimento.

O Solitudine
O Solitudine (photo: Umberto Dolcini)
Che posto occupa Hangartfest nel panorama regionale e nazionale?
Rispondo con le parole di Gilberto Santini, direttore dell’Amat e del Consorzio Marche Spettacolo, usate in conferenza stampa: “…ringrazio Hangart per la passione con cui rinnova ogni anno il suo impegno a favore della danza, in un appuntamento che è ormai diventato un prezioso fiore all’occhiello della programmazione regionale e non solo. Ci sono molti ‘fuochi di passione’ in giro, che spesso si bruciano in un istante. Quando, come in questo caso, la passione rimane costante nel tempo, si sottopone alla fatica sempre più estrema che serve per portare avanti progetti, significa che è reale. Un ‘festival della passione’, questo è per me Hangartfest”.
A queste parole aggiungo solo che quest’anno, grazie a Proartis_produzioni artistiche associate, il festival è rientrato nel progetto “REFRESH! Lo spettacolo delle Marche per le Nuove Generazioni”, curato dal Consorzio Marche Spettacolo, riuscendo a sviluppare un progetto formativo e performativo sull’arte dell’improvvisazione destinato a danzatori, attori e performer.
Il progetto, realizzato in partenariato con Teatro Aenigma di Urbino e Associazione Nuovo Cinema di Macerata, ha visto il festival approdare il 15 settembre a Macerata con una performance urbana che ha coinvolto danzatori da tutte le Marche, diretti da Susan Sentler.
Hangartfest è stato inoltre sostenitore di un nutrito gruppo di performer provenienti da Italia ma anche Irlanda, Norvegia, Austria e Inghilterra, che si sono esibiti ai Docks di San Pietro di Castello a Venezia il 4 e 5 settembre nel contesto di ExExEx Extemporary Experimental Exibition, in collaborazione con Art Events.
In conclusione, non so dire che posto occupi Hangartfest nel panorama regionale e nazionale, ma lascio che a parlare siano le cose che facciamo. Ciò che so è che è un festival atipico, che non aderisce a sistemi riconoscibili e, finché possibile, vorrei che rimanesse tale.

In che rapporto siete con il territorio che vi ospita, sia da un punto di vista istituzionale che di comunità?
Nel corso degli anni il rapporto con il territorio si è sempre di più intensificato, intanto per il modo in cui esso si è posto nei confronti del pubblico, ma anche verso gli altri protagonisti della scena culturale marchigiana e infine verso le istituzioni.
Per nostra indole, abbiamo sempre mantenuto un profilo basso, preferendo lavorare in silenzio e puntare alla sostanza delle cose. Sappiamo di essere un piccolo festival, conosciamo i nostri limiti e quelli della nostra struttura, sappiamo che non ci rivolgiamo al grande pubblico o ad una massa indistinta di spettatori, ma sappiamo anche quali sono i nostri valori e che cosa cerca il pubblico che frequenta il nostro festival.
Nel tempo siamo riusciti a costruire una nostra identità che non ci fa assomigliare ad altri festival. Questo è un valore da coltivare.
Il nostro modo di agire corrisponde a ciò che pensiamo e credo che questo sia percepito anche al di fuori della nostra struttura.
Crediamo che ci sia bisogno, oggi più di prima, di condividere idee con altre persone, di cercare aperture e nuove prospettive. Questo non può che avvenire uscendo dalla nostra postazione e confrontandoci con gli altri.
Di recente abbiamo sentito la necessità di condividere le nostre idee di organizzatori e programmatori o editori culturali andando oltre lo stretto giro degli operatori del settore, e così ci siamo ritrovati ad essere tra i promotori di un network costituito da un gruppo di curatori, storici, ricercatori ed artisti provenienti da differenti approcci disciplinari (arti visive, danza, musica, fotografia, architettura e urbanistica), legati dalla stessa intenzione di mettere in comune esperienze e relazioni con l’obiettivo di realizzare progetti di riconnessione culturale, urbana e suburbana, intesi come processi di valorizzazione del territorio attraverso le arti.
Il Comune di Pesaro ha accolto con entusiasmo la nascita di questo network, che si chiama Ortopolis_arti in rete, e gli ha affidato la gestione della Chiesa di Santa Maria Maddalena, spazio monumentale destinato ad accogliere eventi culturali, conferenze, mostre e performance. Hangartfest collabora anche con la Fondazione Centro Arti Visive Pescheria e, in modo più stretto, con Amat, che partecipa alla selezione dei candidati del bando Essere Creativo.
Un altro modo per il festival di essere presente tra la gente, lasciando piccole tracce nelle persone, sono le incursioni di danza urbana che avvengono nelle strade e nelle piazze del centro storico. Con questi interventi offriamo letture sempre differenti dei luoghi nei quali gli artisti agiscono e interagiscono sia con il pubblico che con gli spazi.
Di recente, infine, è stato attivato un progetto di sensibilizzazione per il pubblico, ossia un percorso di avvicinamento guidato alla lettura critica degli spettacoli. E’ stato costituito un gruppo di lavoro, chiamato “esploratori”, coordinato da un esperto, che si è riunito nel corso dei mesi per visionare materiali video ed assistere a spettacoli dal vivo. I partecipanti esprimono liberamente la propria opinione su ciò che vedono, compilano schede che servono a monitorare il loro percorso e condividono le proprie idee con gli altri membri del gruppo attraverso una piattaforma virtuale online riservata ai partecipanti. Il coordinatore ha la funzione di stimolare le riflessioni e le discussioni, di attirare l’attenzione dei partecipanti sui vari aspetti dello spettacolo, e di annotare gli interventi che i partecipanti effettuano. L’esperimento è stato finora positivo, benché ancora da perfezionare.
 
Volgiamo allora lo sguardo al futuro. Quali prospettive per la prossima edizione?
Ci muoveremo su diversi livelli. Intanto il festival manterrà la linea di collaborazione che ha già attivato con gli altri soggetti del territorio citati prima, con l’idea di ampliare la programmazione anche in altri periodi dell’anno, pensando magari a nuovi contesti.
Allo stesso tempo, alla luce di quanto avvenuto in questa X edizione, pensando alle “escursioni” fatte a Venezia e a Macerata, cercheremo di consolidare questi canali e, comunque, vorremmo individuare partner a noi affini, non necessariamente italiani, con i quali attivare collaborazioni. Tra i nostri interessi c’è anche quello di continuare a mantenere uno stretto rapporto con il pubblico e per questo intendiamo porre la dovuta attenzione all’esperienza di sensibilizzazione già iniziata, creando magari gruppi differenziati per età ed interessi.

Possiamo già fare delle anticipazioni?
Tra le anticipazioni più salienti della prossima edizione posso dire che rinnoveremo il mandato a Masako Matsushita di indagare la scena degli autori indipendenti in Europa, in maniera tale da poterli poi invitare al festival in una serata a loro dedicata. La stessa Masako si occuperà anche di definire il calendario delle residenze che offriremo durante l’estate.
Infine, spero di riuscire a coinvolgere di nuovo i Fratelli Mangiagrigio, che hanno immortalato il festival con le loro illustrazioni e performance. A novembre pubblicheremo il loro catalogo “Cronaca di un moto perpetuo” e vorrei che questo segnasse l’inizio di un progetto editoriale che aprirà nuovi orizzonti ad Hangartfest nei prossimi anni.

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