Chi segue il teatro da oltre quarant’anni e ha visto diverse e bellissime versioni de “Il Berretto a Sonagli” di Luigi Pirandello, prima fra tutte la storica e leggendaria versione dovuta a Salvo Randone, non può non essere curioso di assistere a quella che Valter Malosti del Teatro di Dioniso, autore e regista capace di accompagnarci con sensibilità da Shakespeare a Heiner Müller, da Molière a James, sta presentando in giro per l’Italia, dopo il debutto a fine novembre ad Asti, con un cast ben amalgamato di ottimi interpreti.
Il testo, se pur scritto esattamente 100 anni fa, conserva ancor oggi una sua ragion d’essere per i modi e le tematiche che mette in campo. E lo fa interessando non solo un pubblico attempato, ma anche i giovani, presenti al Teatro Sociale di Como dove abbiamo visto lo spettacolo e chiacchierato con Valter Malosti.
Come spesso accade per le opere di Pirandello, la commedia riprende le tematiche di due sue novelle, “La verità” e “Certi obblighi”. Venne scritta nell’agosto 1916 in siciliano per l’attore Angelo Musco con il titolo “A birritta cu’ i ciancianeddi”; Musco la mise poi in scena l’anno successivo, a Roma, al Teatro Nazionale, in una versione accorciata di parecchio, dove il personaggio principale della commedia, per esigenze capocomicali, non era più il ruolo femminile affidato a Beatrice, ma quello maschile di Ciampa, cioè il suo antagonista.
Nell’estate del 1918 Pirandello terminò anche la versione in italiano, che fu rappresentata solo a fine 1923 a Roma dalla compagnia di Gastone Monaldi.
Malosti riprende qui nella sua totalità il testo originale in siciliano, così ricco di diverse sfumature andate perse nella versione di Musco.
La storia narrata sulla scena vede al suo centro Beatrice, moglie tradita e vilipesa del Cavalier Florica, che vuole denunciare al commissario Spanò, amico di famiglia, il tradimento del marito con la giovane moglie del suo scrivano Ciampa, anziano e a conoscenza dei fatti, che tollera la situazione purché venga salvata la sua rispettabilità.
Inutilmente Ciampa cerca di evitare la denuncia, facendo tacitamente capire alla donna tutti i rischi irreparabili della sua decisione.
Ricevendo la denuncia, il commissario Spanò deve indagare il Cavaliere cercando di coglierlo in flagrante, il che avverrà durante l’assenza di Ciampa, mandato per l’occasione da Beatrice a Palermo per una finta commissione.
Nonostante le apparenze, dalla madre al fratello fino alla serva di Beatrice e anche al pavido commissario Spanò, tutti cercheranno di far apparire che alcun rapporto c’è stato tra il cavaliere e la moglie di Ciampa, accampando soluzioni diverse rispetto a quello che è stato forse scoperto. Ma è proprio al Ciampa, al marito tradito, che la cosa ora non va più bene: offeso e ferito, ora che tutti sanno che porta “il berretto a sonagli”, rivuole la sua onorabilità.
Così, per annientare le conseguenze dello scandalo e salvare il buon nome del Ciampa, bisognerà far credere a tutti che Beatrice sia pazza e che il tradimento del cavaliere sia stato una sua montatura. La donna dovrà, suo malgrado, accettare di finire in manicomio… “ma sì, per soli due o tre mesi!”.
La storia, altamente simbolica, nasconde tutte le ossessioni care a Pirandello rispetto ai diversi ruoli che di volta in volta la società impone e pretende dall’essere umano.
Valter Malosti, riprendendo il testo integrale dello scrittore siciliano, non ha bisogno di attualizzarlo: gli basta sviscerare l’essenza di ogni personaggio, accentuando la farsa nera che questo capolavoro contiene in sé, utilizzando al contempo tutte le bellissime sfumature sintattiche che il dialetto gli permette, grazie anche a un testo che, nella versione originale, appare più duro e politicamente scorretto, a tratti antimaschilista.
In più Malosti concede a sé stesso la parte di Ciampa, nel medesimo tempo beffarda e dolente, che interpreta con misura; e alla furente e bravissima Roberta Caronia di proporci una Beatrice eroina e vittima di una società che etichetta ognuno, di volta in volta, a proprio piacimento, come in una gabbia da cui non si può uscire.
Onore al merito va anche a tutti i comprimari, da Paola Pace, in doppio ruolo, a Vito Di Bella e Paolo Giangrasso, da Cristina Arnone a Roberta Crivelli, fino alle scene di Carmelo Giammello, che simbolicamente racchiudono la farsa con specchi in cui i personaggi possono riflettersi e riflettere.
Dopo “La scuola delle mogli” di Molière, Valter Malosti procede il suo cammino all’interno dei classici con una nuova rivisitazione “d’autore”, ed è con lui che, dopo lo spettacolo, ci siamo intrattenuti per cercare di approfondire altri aspetti della messa in scena ma non solo.
In che modo hai voluto affrontare un classico scritto cento anni fa?
Sono intervenuto innanzitutto nel ripristinare tutti i tagli della versione originale, utilizzando così anche la bellissima lingua siciliana in tutte le sue vivide valenze, rendendo molto più corale e “saporita” tutta la messa in scena. Non solo il personaggio di Beatrice, la moglie tradita, risulta essere assolutamente centrale; ho cercato di scavare nell’umanità di ogni personaggio, che acquista così un suo ruolo ben preciso e autonomo.
Ognuno di loro porta in scena in modo magnifico tutte le sue particolarità, ognuno porta nell’animo ferite piccole e grandi che lo rendono vivo e significante. In questo modo “Il Berretto a sonagli” risulta nella sua essenza molto più duro, senza eccessi ma imbevuto di uno humor nero molto contemporaneo.
Facci un esempio.
Ho ripristinato, dandogli molto spessore, una delle prime scene, dove si contrappongono ferocemente La Saracena (donna che la gente del luogo vede di mal’occhio e che consiglia a Beatrice di vendicarsi, denunciando il tradimento del marito) e Fana, la governante, che ho voluto scegliere più giovane, che invita la donna alla calma e alla diplomazia.
Ti piace aver anche ripristinato il ruolo di capocomico, nel solco della tradizione…
Capocomico è qui inteso nel senso che ogni attore è stato scelto per le sue abilità e caratteristiche, adatte al personaggio che doveva interpretare.
Mi piace spaziare su testi assai diversi tra loro ma, pur essendo annoverato nel cosiddetto teatro di ricerca, non ho mai rifiutato la tradizione, soprattutto la nostra, quella italiana, dove la centralità dell’attore era, e per me rimane ancora, fondamentale. Per questo nella Scuola dello Stabile di Torino che dirigo voglio trasmettere ai ragazzi tutta la sapienza del grande attore ottocentesco, mescolata ovviamente con tutto quello che è venuto dopo, rispetto al corpo e alla voce. Ne è un esempio l’allestimento, con i giovani attori, di una nuova edizione dell’Arialda di Testori, dove possono misurarsi con un testo tanto complesso e pieno di sfumature.
In quali altri progetti sei ora impegnato?
Oltre a Pirandello e a “Thérèse e Isabelle”, tratto da Violette Leduc dove Isabella Ragonese è stata sostituita da Elena Serra, mia storica compagna di avventure teatrali, metterò in scena – nel solco dei miei spettacoli legati alla musica – “Giro di vite” di James, che ho presentato in forma di studio al Festival delle Colline Torinesi.
E gli attori senza microfono?
Lo spazio a Como me lo consentiva, e l’ho finalmente provato: cosa te ne pare?
Sfondi una porta aperta!
Lo spettacolo sarà al Teatro India di Roma dal 20 al 24 gennaio, il 30 a Lecco e poi dal 2 al 7 febbraio a Torino.
IL BERRETTO A SONAGLI
di Luigi Pirandello
adattamento e regia Valter Malosti
con:
Roberta Caronia Beatrice Fiorìca
Valter Malosti Ciampa
Paola Pace Donna Assunta La Bella, La Saracena
Vito Di Bella Fifì La Bella
Paolo Giangrasso Alfio Spanò
Cristina Arnone Fana
Roberta Crivelli Sarina Ciampa
luci Francesco Dell’Elba
scene Carmelo Giammello
costumi Alessio Rosati
macchinista e direttore di scena Gennaro Cerlino
assistente alla regia Elena Serra
assistente ai costumi Michela Pagano
realizzazione costumi Laboratorio Nuvia Valestri
sarta di compagnia Aurora Damante
parrucche Mario Audello
si ringraziano Alessio Maria Romano, Alessio Foglia
produzione TEATRO DI DIONISO
con il sostegno del Sistema Teatro Torino
Visto a Como, Teatro Sociale, il 13 gennaio 2016