Il Teatro Nudo apre con i turchi Hayal Perdesi Theatre Company

The Empire Builders (photo: Banu Ertok)
The Empire Builders (photo: Banu Ertok)

Potrebbe essere una metafora del successo illusorio, lo spettacolo “The Empire Builders”, che la pluripremiata Hayal Perdesi Theatre Company di Istanbul ha messo in scena allo Spazio Teatro NO’HMA di Milano. L’occasione è il Premio Internazionale “Il Teatro Nudo” di Teresa Pomodoro, che porta in Italia realtà artistiche di tutto il pianeta.

Protagonista della pièce è la famiglia Dupont, intrappolata in un irreale edificio a più piani. Impauriti da un rumore tanto sgradevole quanto misterioso, padre, madre e figlia scalano l’edificio da un appartamento all’altro. Insieme alla loro domestica, finiscono col doversi adattare ad ambienti sempre più disagevoli e claustrofobici.
Se i coniugi Dupont sembrano dimenticare in fretta gli agi precedenti, la figlia Zenobia, adolescente ribelle, non fa che recriminare. Rivendica una stanza tutta per sé. Da sei camere, infatti, i Dupont sono scesi a tre, poi a due. E al peggio non c’è limite.

Teatro italiano, compagnia turca, drammaturgia francese di Boris Vian, regia macedone di Aleksandar Popovski: “The Empire Builders” sembra realizzare attraverso l’arte quella coesione europea così difficile da costruire attraverso la politica.

Quando incontriamo per la prima volta i Dupont, la scena è spoglia. Solo una scala a pioli s’inerpica verso l’alto. In men che non si dica i protagonisti creano, con nastro da imballaggio, un perimetro e degli spigoli evocativi di un’abitazione. L’operazione si ripeterà, sempre preceduta da quel rumore misterioso. Ogni volta la casa perderà un vano, e forse un inquilino.

Una costante è però la presenza surreale di un’altra figura femminile, silente e anonima. Non fa parte della famiglia. Non interagisce. Languisce imbavagliata, brancolante nel dolore. Si desta solo durante i cambi di scena, con posture stranite e balli convulsi.
Con l’abito lacerato, ridotta lei pure a brandelli, Schmürz (questo il suo nome) subisce a turno dai coinquilini percosse, calci, umiliazioni varie. Se è vero che una donna non si tocca neanche con un fiore, qui è un intero mazzo che le viene frantumato sulla testa. Eppure Schmürz non azzarda difesa. Schmurz assomiglia al tedesco “schmuck” (ornamento) e allo yiddish “schmutz” (sporcizia). Schmürz, brulicante di piaghe e ferite, è qualcosa di entrambi. Alla fine, però, lei sola resterà faccia a faccia con il capofamiglia Leon. Che sia la resa dei conti?

Astratta è questa messinscena, che evidenzia la struttura contemporanea del teatro di Vian. Astratta è la scenografia, impostata su squadrature geometriche. All’immaterialità della pièce si contrappone lo stile recitativo iperrealista della compagnia, con personaggi ben caratterizzati e un senso d’angoscia di fondo. Alla grottesca implosione della famiglia, fa eco il controcanto molto più materiale della guerra, evocata dal fragore intercalante, dalla violenza gratuita su un capro espiatorio, da una divisa militare che si materializza verso l’epilogo. Il presente meschino è in dialettica con un passato non meno meschino. Danze nevrotiche, battute sagacemente irrazionali, enfatizzano l’arguzia surreale di questo mondo capovolto. I protagonisti sono metafore di un’umanità intirizzita, capace di glissare con spigliatezza sulla più selvaggia barbarie.

Gli attori recitano le nevrosi del vivere quotidiano. La conversazione a brandelli genera caos. Parole sconnesse invadono la scena. L’incomunicabilità tipica dei testi dell’assurdo qui si traduce in un ritratto bizzarro d’ordinaria disumanità.
Il testo si presta a varie interpretazioni. I Dupont, spinti da una paura irrazionale a scappare, costretti a cambiar casa, dimezzati, possono essere allegoria degli ebrei vessati dal regime nazista. Ma, alle prese con Schmürz, simboleggiano l’apatia politica e l’inattività degli intellettuali europei in seguito all’ascesa di Hitler.

Man mano che si sale in altezza, si riducono spazi e persone. E alla nostra mente affiorano le parole di Brecht: «Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare».

THE EMPIRE BUILDERS
scritto da Boris Vian
direttore artistico Selin İşcan
diretto da Aleksandar Popovski
con Reha Ozcan, Ayse Lebriz Berkem, Selin İşcan, Tuba Karabey, Selin Tekman, Nihat Alpteki
Premio miglior regia all’Afife Theatre Awards del 2015.
Premio miglior produzione ai Beşiktaş Lions Theatre Awards
Premio migliore attrice a Selin İşcan per il ruolo di Schmürz dal New Theatre Journal Awards 2015

durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 3’ 30”

Visto a Milano, Spazio Teatro NO’HMA Teresa Pomodoro, il 3 marzo 2016

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