Kitsou Dubois. In assenza di gravità alla ricerca della vertigine interiore

L'Espace d'un instant (photo: Quentin Bertoux)
L'Espace d'un instant (photo: Quentin Bertoux)
L’Espace d’un instant (photo: Quentin Bertoux)

L’edizione 2011 del festival Teatro a Corte, che porta le arti performative nelle dimore storiche del Piemonte sabaudo, si è rivelata anche quest’anno un interessante equilibrio di codici e, all’interno di ciascun codice, delle possibili declinazioni dello stesso.
Menzioniamo, ad esempio, il focus sul giovane teatro russo, dove dalla nuova danza al nonsense surreale vicino alla clownerie, si è potuto avere realmente uno spaccato dell’immaginario di una generazione che usa l’arte per deformare e manipolare il ganglo malato della società del nostro tempo.
A permeare tutto, il tentativo di rendere più leggero il vivere, di guardare ad un esistente possibile come a qualcosa che quasi scardini le regole dell’universo, da Newton ad Einstein, fino alle regole economiche che vessano il nostro quotidiano.

Una riflessione esemplare, da questo punto di vista, l’ha offerta Kitsou Dubois, esponente della “nouvelle danse française” e figlia della lezione di Merce Cunningham, che da tempo cerca la “sua” danza fuori dai palcoscenici tradizionali, lavorando sulle facciate degli edifici, sull’acqua, in spazi industriali o storici.
Ma quello che di questa amabile minuta signora dallo sguardo dolcissimo stupisce è la capacità di pensare in modo “sregolato”, alla ricerca di altre geometrie possibili.

Dal 1989 lavora per la NASA e per il centro nazionale francese per gli studi spaziali, CNES, un ente che avevamo già visto coinvolto in progetti di alto profilo artistico, come quelli presentati l’anno scorso a La Chartreuse.
La Dubois lavora con gli astronauti per fornire loro modalità ulteriori di controllo del movimento del proprio corpo, in situazioni “estreme” di movimento o sospensione.
E’ un po’ quello che si è visto in questo percorso da lei studiato negli spazi del Castello di Rivoli: videoinstallazioni ambientali sul movimento del corpo umano in acqua, sequenze al rallentatore di una performer non più giovanissima alla ricerca di posture equilibristiche con l’uso di una sedia; il tentativo di resa di una dimensione anti gravitazionale di una giovane trapezista nel totale controllo del suo spasmo muscolare, rallentato fino quasi ad una dimensione zen.

Di tutto questo, del gioco fra visibile e invisibile, fra tangibile e immaginario, si sostanzia il passo scenico di un’artista da sempre attenta a quel sistema di pesi e contrappesi che raccontano non solo il corpo ma anche lo spirito dell’uomo.
Un discorso quasi metafisico e sempre stupefacente, come già in arte aveva dimostrato Alexander Calder con le sue creazioni fatte di equilibri di peso calibrate al grammo.
Immaginare che la stessa levità di un’installazione di Calder possa aversi col corpo umano è la sfida di Kitsou Dubois, che infatti, nell’ultimo ambiente del suo percorso tematico rende omaggio al grande maestro scomparso ormai trentacinque anni fa, attraverso un’installazione intitolata “Peso piuma”, in cui il corpo umano e una piuma si bilanciano come in un’equivalenza non euclidea.

Alla fine del percorso abbiamo incontrato la coreografa, per un volo parabolico in caduta libera sul pensiero dell’arte.

 

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