
Composta nel 1828 da Daniel F. E. Auber su libretto di Eugène Scribe e Germain Delavigne, dopo il debutto a Parigi, per quasi un secolo l’opera conobbe in tutta Europa un grandissimo successo. E in un’epoca in cui la musica sapeva accendere le passioni politiche del pubblico, «La muette» innescò ben due rivoluzioni: quella parigina nel luglio del 1830 e quella che un mese dopo portò all’indipendenza del Belgio dall’Olanda.
Fino al 15 aprile quest’opera oggi misconosciuta (l’ultimo allestimento risale ai primi anni Novanta) torna in scena a Parigi grazie all’Opéra Comique, da tempo impegnata nella riproposizione del repertorio romantico francese.
A sancire il legame con la storia c’è la partecipazione del Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, lo stesso da cui partì l’insurrezione del 1830, che coproduce insieme al Palazzetto Bru Zane – Centre de musique romantique française di Venezia.
Dal Théâtre de la Monnaie, dove la «Muette» approderà solo tra due stagioni, vengono il coro e l’orchestra, diretti dalla bacchetta di Patrick Davin. La regia è affidata invece a Emma Dante, al suo secondo incontro con la lirica dopo la discussa Carmen scaligera del 2009.
«La muta di Portici è un’opera che parla di rapporti di forza e sopraffazione – ha spiegato alcuni giorni fa la regista palermitana durante un incontro all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi – Questo è l’aspetto che più mi ha interessato e che la rende secondo me ancora attuale». E certo la figura di Masaniello, pezzente reso folle dal potere e detronizzato dallo stesso popolo che solo pochi giorni prima lo aveva acclamato, risuona sinistramente con alcune situazioni contemporanee: quasi che, in ogni epoca e ad ogni latitudine, il popolo sia condannato alla sconfitta dalla sua stessa inettitudine alla leadership.
La muta protagonista dell’opera, personaggio completamente inventato dai librettisti, è proprio la sorella di Masaniello, sedotta dal figlio del viceré spagnolo che la abbandona per sposare una donna del suo rango. Mutilata della voce, Fenella (il nome è preso da un romanzo di Walter Scott) deve utilizzare il corpo per esprimersi: nel passato è stata interpretata attraverso la pantomima, facendo la gloria di celebri danzatrici dell’Ottocento come Louise Noblet, che la impersonò al debutto dell’opera.
Qui è incarnata da Elena Borgogni, giovane attrice che già da alcuni anni lavora con la compagnia di Emma Dante, che le conferisce quella gestualità esacerbata, a tratti animalesca, a tratti quasi da tarantolata, a cui il teatro della regista siciliana ci ha abituato fin dai tempi di «mPalermu». Una scelta che strappa questo personaggio al mero ruolo di vittima per conferirle una sua forza, ma che in alcuni momenti risulta talmente eccessiva in questo contesto da scivolare ahimè nel grottesco, nonostante l’indubbia bravura e l’intensità dell’interprete.
Emma Dante, da sempre attenta alla marginalità, non poteva non essere empatica con la rappresentazione che l’opera dà dell’altro grande protagonista dell’opera, ovvero il popolo napoletano: capace di grandi atti di generosità come di crimini efferati, defraudato dai dominatori non solo delle proprie risorse e della libertà ma anche della propria cultura e delle proprie tradizioni. In questa chiave, il mutismo della protagonista diventa chiara metafora della parola negata agli oppressi: nella potente e volutamente kitsch immagine finale, da vittima sacrificale Fenella è trasformata in un santino da tabernacolo, destinata a essere invocata dal popolo come una sorta di protettrice degli umili.
Per affiancare i personaggi principali, la regista ha selezionato dieci giovani attori italiani e francesi che, prima di iniziare le prove dello spettacolo, hanno partecipato a una serie di laboratori a Palermo per familiarizzare con il suo metodo di lavoro. Che impersonino aristocratici, soldati o valletti, il ruolo non è mai di semplici comparse, e a loro sono anzi affidati alcuni dei momenti visivamente più belli, come la tarantella che i soldati spagnoli danzano «rubandola» al popolo napoletano, e producendosi in spettacolari performance acrobatiche. Tanto più fondamentali in quanto la scenografia di Carmine Maringola è limitata a pochi elementi essenziali, e l’impatto visivo è affidato soprattutto ai bellissimi costumi di Vanessa Sannino (che fanno assomigliare gli artistocratici a inquietanti manichini) e ai movimenti scenici, spesso vere e proprie coreografie.
A proposito delle differenze fra il suo teatro e l’opera, sempre durante l’incontro all’Istituto di Cultura, Emma Dante ha aggiunto: «Non sono poi così distanti come potrebbero sembrare a prima vista. La parola cantata non è parola ma emozione: questo avvicina molto l’opera lirica al mio lavoro, dove il testo e la parola non hanno mai una funzione razionale. Ammetto però che affrontare l’opera è molto difficile per me: bisogna fare dei compromessi, perché ovviamente la musica e il canto restano comunque gli elementi principali. Ho molto rispetto per i cantanti, sono consapevole della loro fragilità e del duro lavoro che c’è dietro la loro voce: so bene che a loro non posso chiedere quello che chiedo ai miei attori. E poi ci sono le aspettative del pubblico, che spesso è molto tradizionalista, anche se quello dell’Opéra Comique è senz’altro più abituato alla sperimentazione di quello della Scala. Oggi mi rendo conto di aver affrontato l’esperienza scaligera con una buona dose di incoscienza e ingenuità».
Inevitabili infine, dopo il desolante ritratto di Palermo uscito su Le Monde alcune settimane fa, le domande sui rapporti con la Francia da un lato, e con la sua città dall’altro: «Devo molto alla Francia, per la precisione ad alcuni francesi che hanno creduto nel mio lavoro e mi hanno sostenuta» risponde Emma Dante, pensando evidentemente al soprintendente della Scala Stéphane Lissner, al direttore artistico del Théâtre du Rond-Point di Parigi, che programma regolarmente i suoi spettacoli (l’ultimo, la “Trilogia degli occhiali”, un paio di mesi fa), e alla stessa Opéra Comique.
«A Palermo, invece, non ho mai avuto nessun tipo di aiuto da parte delle istituzioni. Con la mia compagnia lavoriamo sempre nello stesso scantinato degli esordi, la Vicaria, e se non facessi ogni tanto delle prove aperte, i palermitani non potrebbero nemmeno vedere i miei spettacoli, perché nessun teatro cittadino li programma nella sua stagione. Storicamente, Palermo è come una madre che rifiuta i suoi figli: se da un lato questo obbliga a diventare autonomi in fretta, dall’altro provoca delle ferite inguaribili. In compenso posso dire che, senza Palermo, il mio teatro non esisterebbe: la città ‘scrive’ il mio teatro, è una fonte inesauribile di idee, immagini e situazioni».
La Muette de Portici
opera di Daniel-François-Esprit Auber
libretto di Eugène Scribe e Germain Delavigne
direzione musicale: Patrick Davin
regia: Emma Dante
con: Elena Borgogni (Fenella), Maxim Mironov (Adolphe), Eglise Gutiérrez (Elvira), Michael Spyres (Masaniello), Laurent Alvaro, Tomislav Lavoie, Jean Teitgen, Martial Defontaine
e con: Rémi Boissy, Ivan Herbez, Mauro Pasqualini, Luca Romani, Alaa Safi, Alessandro Sampaoli, Tewfik Snoussi, Valerio Tambone, Stefano Vona Bianchini, Francesco Zecca
orchestra e coro del Théâtre Royal de la Monnaie (Bruxelles)
produzione: Opéra Comique di Parigi
coproduzione: Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles
coproduttore associato: Palazzetto Bru Zane – Centre de musique romantique française di Venezia
applausi del pubblico: 8’
Visto a Parigi, Opéra Comique, il 3 aprile 2012
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aspettiamo con ansia di vedere il lavoro al Petruzzelli di Bari !!