La Presidentessa di Massimo Castri: tra vaudeville e sindrome di Photoshop

La presidentessa
La presidentessa
La presidentessa (photo: teatrocasalecchio.it)

Il Testoni di Casalecchio di Reno è un teatro ospitale e confortevole. La programmazione rientra nel circuito ERT, con un cartellone che presenta per questa stagione alcuni spettacoli interessanti fra cui “Le nuvole” di Latella e l'”Amleto” di Oscar De Summa. Assistiamo qui ad una delle prime repliche de “La Presidentessa”, nuova regia di Massimo Castri che, dopo il debutto del 12 novembre al Bonci di Cesena, inizia una tournée importante in tutta Italia.

L’opera è del drammaturgo Maurice Hennequin, celeberrimo ideatore, tra fine Ottocento e inizio Novecento, di commedie vaudeville, che a lungo hanno influenzato anche il teatro in Italia, dove l’autore soggiornò, vivendo a Roma, nei pressi di Piazza di Spagna. A lui deve molto Scarpetta e tutta la scuola napoletana, che faceva delle “situazioni” il cuore di drammaturgie leggere, ma in cui, non di rado, affioravano venature di satira politica.
E’ il caso de “ La Presidentessa”, rappresentato in diversi adattamenti e riscritture, fra cui in Italia due filmiche, una con Ave Ninchi del 1952 e l’altra, per la regia di Luciano Salce, con Mariangela Melato del 1977.

Castri, dopo “Le tre sorelle”, torna al gruppo di giovani con cui aveva affrontato il Pirandello di “Così è (se vi pare)”. La ricerca prosegue, anche su questo testo, sul lavoro della maschera, della caratterizzazione quasi animale dei personaggi, al limite tra il fumettistico e l’espressionista. E così il Giudice, o il Ministro della giustizia di questa commedia degli equivoci, potrebbero dirsi venuti fuori da una sequenza disegnata di Alan Ford come da un quadro satirico di Otto Dix. Il trucco degli interpreti, clownesco, fin dall’inizio porta la lettura sul tono dell’eccesso.

Certamente se nell’Ottocento questo era, per morale e sensibilità, un teatro senza compromessi con il gusto del tempo, dove vizi privati e pubbliche virtù erano messi alla berlina… vorremmo chiudere la frase dicendo che al giorno d’oggi il tema non è più d’attualità, se non fosse che la cronaca, imperitura fustigatrice dei rapporti fra politica, sesso e potere, continua a dare la stura a vicende che nella parodia trovano esatto specchio.
E forse qui ci si trova di fronte al nodo gordiano di questo genere di messe in scena: sicuramente la commedia degli equivoci, anche la più sofisticata da incastri ingegnosi, è ormai fuori dal gusto spettacolare dei giorni nostri.

Lo è, a nostro avviso, anche perchè, mentre in un’epoca priva di mezzi di comunicazione che non fossero i giornali (che infatti nella pièce vengono inesorabilmente individuati come unico potenziale mezzo di trasmissione dello scandalo), erano proprio i teatranti a rendere pubbliche storie à-la-Bocca di Rosa, diffondendo nel popolo senza radio, tv e social network, lo sberleffo del potente, oggi abbiamo ormai un binario di interazione con questa dinamica della satira che ha un connotato che supera la denuncia o la divulgazione di fatti boccacceschi, cui la cronaca ci abitua.
E se, da un verso, la satira da noi non ha mai sancito la fine di alcun politico, negli ultimi anni è diventata un fenomeno sociologico attivo e seduttivo, in particolar modo on-line, dove foto irriverenti manipolate con Photoshop o analoghi programmi di fotoritocco, permettono a chiunque di essere a cena con “papi” o a picconare il muro con Sarkozy, realizzando una dimensione proattiva del satyro domestico rispetto all’ambiente contaminato.
Ecco quindi che il topos letterario della denuncia allusiva, pur evidentemente riferibile al decadere della politica, resta un’arma spuntata.

Il pubblico si diverte, passa oltre due ore con il sorriso sulle labbra e intuisce il legame. Però finisce qui. Più per colpa di Photoshop che di Castri: in un tempo in cui la deformazione grottesca dell’immagine del potente è mass mediatica, a disposizione di tutti con un clic di mouse, la fruizione passiva della vicenda “presidenziale” diverte ma non intriga, perchè la satira politica ha un ingrediente che a questo teatro sfugge: l’irrisione, lo sberleffo che ognuno elabora in casa, oltre a dire delle vittime (di Berlusconi o di Clinton o di chicchesia) dice qualcosa anche sullo spett-attore, sul piccolo carnefice domestico.

E questo, al vaudeville del Duemila, che denuncia senza poter interagire profondamente con il pubblico, con la sua creatività, questo ingrediente viene meno; perché dove viene aggiunto in modo posticcio e scadente, fa diventare la minestra al sapor di Bagaglino. E dove, invece, si collega più profondamente al nostro tempo, parlando della cronaca, si spinge verso la più seriosa narrazione, snaturando e violentando la drammaturgia di partenza. La possibile terza via, che Castri sceglie, proprio perché non ricalca nessuna delle precedenti, è persino coraggiosa, ma ci pare di poter dire che a sconfiggerla, in qualche modo, sia la sindrome di Photoshop.

LA PRESIDENTESSA
di: Maurice Hennequin e Pierre Veber
regia: Massimo Castri
con: Marco Brinzi, Giorgia Coco, Francesca Debri, Michele Di Giacomo, Federica Fabiani, Alessandro Federico, Vincenzo Giordano, Diana Hobel, Alessandro Lussiana, Davide Lorenzo Palla, Antonio Giuseppe Peligra
scene e costumi: Claudia Calvaresi
luci: Robert John Resteghini
musiche originali: Arturo Annecchino
suono: Franco Visioli
assistenti alla regia: Marco Plini, Thea Dellavalle
foto di scena: Marco Caselli Nirmal
produzione: Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Stabile dell’Umbria
durata: 2 h 30′ (intervallo incluso)
applausi del pubblico: 1′ 47”

Visto a Casalecchio di Reno (BO), Teatro Testoni, 21 novembre 2009

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