Lo spettacolo inizia fuori dal teatro, dal retro lungo corridoi e stanze, nei sotterranei che sorreggono il palcoscenico, muri e spazi che ne delineano l’identità. Siamo tra XVI e XVII secolo. Un numero limitato di spettatori in fila cominciano a tracciare i primi segni di un ritratto, partendo dal retroscena, dalle cose non dette, dai segreti, come ci trovassimo di fronte ad uno sconosciuto Orlando che si abbandona ad una confessione sincera.
Non si cerca di delinare delle storie, non ci si concentra sui ruoli, ma si mostra l’atto scatenante, lo svestirsi di personaggi che rimangono per strada, che raccontano vite passate, vincoli difficili da scrollarsi di dosso, e quei tre luoghi differenti, i tre passi speciali prima di saltare nel vuoto e nell’abbandono.
Orlando si libera dell’instinto, della coscienza e della sua vita, svincolandosi da testa, pancia e cuore.
In un passaggio da uomo a donna che attraversa i secoli, lo ritroviamo tra XIX e XX secolo, rinchiuso nella sua stanza, che scrive e getta via parole per svuotare una testa che batte sulla scrivania, ancora troppo piena di pensieri e voci. E’ questa la parte della trilogia in cui la figura androgina del protagonista si sovrappone più intensamente a Virginia Woolf e alla sua biografia.
Poi attraversa un corridoio spogliandosi anche delle convenzioni, dell’abito, della parrucca, del corpo.
Infine, nel retro del palco, Orlando recita parole d’amore, mentre assistiamo alla sua purificazione, al suo sciogliersi in mare; la linea del ritratto si completa, il finis terrae della vita materiale verso l’orizzonte della più bella vita possibile. Una finestra proiettata sul muro si apre in un interno, come un attore che si volta indietro dopo l’ultima scena, e sorride. Una dichiarazione che svuota l’atto stesso del pensarla, pervadendo il gesto di leggerezza, una carezza del mare che diventa abbraccio, l’unico modo per esprimere quello stato d’animo.
Laura Dondoli riesce a portarci in questo viaggio, a emozionare senza guardare nessuno negli occhi, impersonando la lotta personale e intima di una farfalla senza larva, che si scuote e contorce fra tensioni ed armonia, come se in lei convivessero tutte le storie di Orlando, come se, riuscendo a liberarsi di ogni ruolo, corpo, parola, rimanesse solo l’emozione, che pervade con l’insistenza delle onde, finchè il video diventa nero e il corpo svanisce.
Illuminato rimane allora solo il teatro vuoto alle spalle, e in quell’istante ci rendiamo conto di tutto ciò a cui spesso diamo troppa importanza e che invece non ha significato.
RATTINGAN GLUMPHOBOO
liberamente ispirato al romanzo “Orlando” di Virginia Woolf
ideazione e regia: Caterina Poggesi
di e con: Laura Dondoli
costumi: Laura Dondoli
assistenza alla realizzazione: Agata Monti
musiche e cura del suono: Matteo Bennici
editing audio: Spartaco Cortesi e Matteo Bennici
video: Maria Pecchioli
produzione: Fosca
con il contributo di Regione Toscana
un ringraziamento a: Ramona Caia, Rachel Inman, TPO, Il Vivaio del Malcantone, Toni Ulivieri_Spazio Nomade e idealmente a Jeanette Winterson
Visto a Firenze, Teatro della Pergola, il 3 maggio 2013