La morte – premeditata, crudele, fortuita, orrifica, liberatrice – è il leitmotiv dell’Amleto di Shakespeare.
Francesca Garolla muove dal capolavoro vittoriano per affrontare il tema della perdita di una persona cara. Parte da un evento tragico che l’ha colpita in prima persona nel 1993: l’assassinio di uno zio in Bosnia.
“Non correre Amleto”, spettacolo che ha inaugurato la stagione del Teatro i di Milano, regia di Renzo Martinelli, con Elena Ghiaurov e Milutin Dapčevic in scena, prende le mosse da quel convoglio umanitario in Bosnia con a bordo cinque volontari italiani: tre di loro furono trucidati, anche lo zio dell’autrice. Se gli altri due compagni uccisi non si fossero messi a correre, forse lui si sarebbe salvato. Forse si sarebbero salvati tutti e tre. Forse.
Essere e non essere. Nascere, vivere, scomparire. La morte che vorremmo esorcizzare a volte ci colpisce direttamente. Il male che tocca astrattamente gli altri, qualche volta incrudelisce su di noi. Il dubbio amletico qui è assillo, nostalgia e rimpianto. È rovello di una mente che non si rassegna, e vede nel destino il più iniquo dei capricci.
La scena è un interno domestico diviso in due parti, speculari e simmetriche. Il diaframma è un cenno di mattoni sul pavimento. Una lavagna è la seconda parete. Disordine dello spazio e della mente. Una sedia è riversa per terra. Un candelabro sale, luci algide non cancellano il buio. Crepitio di scarpe. Voci irrelate, monologhi che si sfiorano e non diventano dialogo. Suoni amplificati da un microfono, stridori, spari. Lamenti sinistri echeggiano nel nulla. Tutto è assenza: ghigni isterici, occhi come orbite cieche, cenni di pianto misti a risa.
“Non correre Amleto” è una storia sbagliata di morte e idiozia. Un sonoro metafisico alterna ritmi jazz a percussioni metalliche. Il tempo è sospeso, è una cappa sulla nostra coscienza.
Il testo è ermetico, rarefatto, imponderabile. Non gioca sulle emozioni, ma sulle nevrosi. Dà scacco al cervello, gira a vuoto ossessivo e soffocante, perché di fronte alla morte le stesse domande girano a vuoto. Rabbia e dolore. Domina un che di grottesco e surreale. Un teschio in scena è macabro – e didascalico – riferimento a Shakespeare. Forse sono meno pedanti quei suoni opprimenti, le luci da obitorio, le W del giornalismo senza risposta, l’altalena dei “se” e dei “ma”. È come se la regia onnipresente volesse compensare la fragilità (e l’inconsistenza filosofica) del testo che non sa, non può, non vuole andare in profondità.
Nella drammaturgia a scatti, scoordinata, di Francesca Garolla, la morte è disonesta, più dell’effigie di cera del “Settimo sigillo” di Ingmar Bergman: lì si giocava con gli scacchi, qui con i dadi, forse truccati.
Il ronzio di moscone che percepiamo sul finire della pièce è il segno più concreto della congestione della morte, segno di disfacimento, oltraggio di lineamenti e ricordi.
L’impossibilità di darsi risposte. L’incapacità di cercare Dio.
Glacialmente tragica Elena Ghiaurov, sardonicamente indifferente Milutin Dapčevic. Entrambi virtuosi, poliedrici, incorporei, con una punta di barocco nella recitazione. Entrambi tra materia e sogno: fantasmi capaci di scuotere la parola inerte, di rinvigorire il simulacro dei sentimenti che portano in scena.
NON CORRERE AMLETO
di Francesca Garolla
regia: Renzo Martinelli
con: Milutin Dapčevic e Elena Ghiaurov
suono: Fabio Cinicola
luci: Mattia De Pace
produzione: Teatro i con il contributo di Regione Lombardia / NEXT
durata: 1h e 10’
applausi del pubblico: 2’
Visto a Milano, Teatro i, il 19 ottobre 2015
Ops… Elisabettiano
Capolavoro vittoriano?