Le mille e una Sharazade del Teatro del Carretto

La Sharazade del Carretto (photo: Guido Mencari)
La Sharazade del Carretto (photo: Guido Mencari)
La Sharazade del Carretto (photo: Guido Mencari)

La violenza contro le donne è sicuramente una tematica delicata e importante, oggi abusata dai media e logorata dalla tv del dramma con overdosi di approfondimenti e turpi dettagli.

Il Teatro del Carretto sceglie coraggiosamente di parlarne con un nuovo lavoro, e lo fa, fedele alla propria visione, attraverso il mito, da sempre parte fondamentale dell’immaginario poetico della compagnia.

E’ Sharazade questa volta – mito eterno delle “Mille e una notte” – il personaggio-pretesto a cui si affida la compagnia per sviscerare l’argomento; mentre le storie, collegate e incastonate una nell’altra, sono gli ingranaggi narrativi che regolano l’intera performance. 

Sharazade è la principessa che sceglie di offrirsi ad un re crudele e misogino che trascorre ogni notte con una giovane donna per poi farla uccidere al mattino. Per tentare di porre fine a un tale eccidio Sharazade gli racconterà una storia notte dopo notte, e il re, incuriosito, continuerà a risparmiarla fino a quando, dopo mille e una notte, avrà dimenticato il suo odio. 

La scrittura di Maria Grazia Cipriani parte dalla semplicità di questo intreccio, riprendendo in parte anche la tematica del precedente “Giovanna al rogo (il potere che schiaccia i più deboli)” per intraprendere salti temporali che vanno dalla mitologia di Teseo e il Minotauro, alla follia dell’Orlando furioso o al mito della donna dai capelli d’oro, fino ad arrivare ai giorni nostri, creando un parallelismo che testimonia il persistente cammino di violenza a cui è destinata la donna nella storia.

Come sempre la compagnia del Carretto ci regala un lavoro esteticamente ineccepibile. 

Il pubblico è accolto ancora a sipario chiuso e luci accese dalla intramontabile “Gracias a la vida” di Violeta Parra, che già evoca l’essenza di cui è pregna la performance. Un inno divenuto simbolo della resistenza e della speranza, ma anche un canto tanto pieno di malinconia da rievocare tutte le difficoltà di una vita dura e piena di sofferenza. 
All’apertura del sipario lo spettatore si trova catapultato nella tipica architettura scenica dal forte impatto visivo diGraziano Gregori. Una scena semi-vuota, di un bianco prevalente che verrà presto sporcato dal rosso del sangue, a formare il binomio candore/dolore. Una parete con due porte delimita il fondale mentre il proscenio è tracciato da una fila di candele, accese direttamente in scena da uno degli attori, ai cui estremi ruotano due bamboline-carillon, sorta di spose cadavere con due teschi al posto delle teste. 

La forza della performance è data sicuramente dalla capacità di misurare elementi visivi e sonori in proporzioni vincenti. Il suono di Luca Contini squarcia il silenzio come se lo violentasse, o sublima la violenza stessa con una sonata al chiaro di luna di Beethoven o un’Ave Maria di Schubert. Maria Grazia Cipriani aggiunge e sottrae elementi dominando perfettamente le tempistiche. 

Non da meno sono gli attori, da Nicolò Belliti, cui spetta l’onere di personificare la virilità maschile, a Giacomo Vezzani, trasformista della voce e dei movimenti che passa da narratore a Minotauro con una fisicità rimarcabile. 
La splendida Elsa Bossi è la protagonista femminile di sempre, che non si risparmia dando vita con naturalezza a una moltitudine di personaggi.

Ma al di là della funzione spettacolare o artistica, l’effetto del contenitore non si traduce con altrettanta potenza nel contenuto. E’ un argomento rischioso quello della violenza sulle donne, di cui si parla troppo, seppure apparentemente mai abbastanza.
Mettendo in evidenza la condanna a cui è sottoposta la donna con una carrellata di violenze la compagnia rimane in qualche modo vittima della stessa ripetizione sartriana, creando nello spettatore un effetto di saturazione simile a quello a cui è sottoposto dagli innumerevoli media. 

Probabilmente il lavoro – al suo debutto nazionale – sta ancora prendendo forma, e forse le aspettative sono sempre molto alte per il Carretto, ma in questo caso il lavoro non lascia spazio ad un’analisi della tematica più introspettiva o vista da una qualche nuova angolatura. 
Viene a mancare quel cortocircuito in grado di far scattare il viaggio interiore, e che esuli anziché rimandarci alle cronache impetuose (e impietose) dei media quotidiani.

Anche il sogno trova poco spazio, lasciando prevalere l’immagine dell’amore come una sorta di catastrofe temperata dalla follia. 

La potenza delle parole che genera forza assicura un lieto fine denso di speranza, ma che rimane impigliato nei fili di una realtà purtroppo ancora crudelmente troppo presente.

Le mille e una notte
drammaturgia e regia: Maria Grazia Cipriani
scene e costumi: Graziano Gregori
suono Luca Contini
luci: Fabio Giommarelli
con: Elsa Bossi, Nicolò Belliti, Giacomo Vezzani

durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 3’

Visto a Lucca, Teatro del Giglio, il 25 ottobre 2014

 

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