Macelleria Ettore e Cechov: impara il teatro e mettilo da parte

Maura Pettorruso e Paolo Maria Pilosio
Maura Pettorruso e Paolo Maria Pilosio
Maura Pettorruso e Paolo Maria Pilosio (photo: myspace.com/macelleriaettoreteatro)

“Impara il Teatro d’Arte e mettilo da parte”. Sembra essere questo lo slogan di “Cechov #01”, nuovo progetto di Macelleria Ettore – Teatro al kg.
Di loro si era parlato a proposito di una versione “parafrasata” de “Le muse orfane” di M. M. Bouchard andata in scena all’Atir Teatro Ringhiera di Milano con il titolo “La porta aperta”. Anche in questo caso si tratta di una parafrasi.
L’autrice e regista Carmen Giordano si affida stavolta alle sapienti mani di Anton Cechov per raccontare il rapporto uomo-donna e, di conseguenza, l’altalena di passioni di questo nostro mondo di relazioni.
Forbici alla mano, Giordano fa a pezzi certi celebri passaggi de “Il gabbiano” (soprattutto), “Tre sorelle”, “Giardino dei ciliegi”, “Zio Vanja” e via dicendo, per ricomporre una drammaturgia di frammenti che molto deve all’interpretazione di Maura Pettorruso e Paolo Maria Pilosio. I due attori entrano ed escono da parti diametralmente opposte: lei salta da madre a figlia ad amante, lui lo stesso al maschile, aggregando e disaggregando gli elementi in una sorta di mescolatore da laboratorio.

L’accompagnamento di voci off e lo studio di costumi d’epoca fanno il giusto paio con il disegno luci – scarno ma sempre efficace – dell’ambra, che sul bianco crea l’effetto seppia da foto ingiallita, e con i pochissimi elementi scenici che aiutano attori e spettatore.
L’attenzione va molto a quella sorta di laghetto sul bordo del quale siedono i due interpreti; la domanda che ci si ripete in testa è se sia o no acqua. Effetto vincente, come la soluzione scenotecnica che farà di loro due marionette nel grottesco epilogo.

Grottesco è l’aggettivo predominante, in questa curiosa rivisitazione che brilla per ingegno e chiarezza dell’istanza: il découpage realizzato dall’autrice da un lato dà prova di come dalle parole di un mostro sacro delle drammaturgia si possano distillare riflessioni globali di grande profondità, dall’altro aggiusta la mira di quelle riflessioni proprio sull’universo teatrale e meta-teatrale.
Le parole con cui Trigorin de “Il gabbiano” racconta la propria ossessione per la scrittura e la sua impossibilità di eguagliare Turgenev diventano quelle, di certo in parte autobiografiche, della stessa regista, angosciata dalla sua corsa per il successo contro i vari Ronconi della scena italiana.
C’è molta ironia nella scrittura drammaturgica e nel disegno dei personaggi, che fanno il verso a certa recitazione esteriore e all’arte declamatoria, il tutto a comporre una sorta di compendio espressionista.

La breve durata dello spettacolo – di per sé spesso un tono di pregio – è però questa volta un’arma a doppio taglio. In qualche modo a questo spettacolo manca qualcosa. Un’assenza che prende di sorpresa gli spettatori. Alcune immagini hanno una grande forza, i due attori sono affiatati e, come detto, è chiara l’istanza che, nella messinscena, si prende la responsabilità di usare il classico come strumento di sostanza adatto a fracassare la forma. Eppure è dietro l’angolo il rischio di risultare troppo intellettuale e pericolosamente autoreferenziale.

Lo spettacolo, che ha aperto la stagione 2010 dello Spazio Off di Trento, partner del progetto, gode e fa godere di un sorriso continuo, elemento sempre benvenuto, e si distingue per l’ingegno dimostrato, ma forse si merita anche una versione 1.1. Una nota di merito va comunque alla compagnia di Carmen Giordano, Maura Pettorruso e Paolo Maria Pilosio che, “chilo dopo chilo”, sembrano determinati a porre sulla bilancia della drammaturgia qualche contrappeso di qualità.

CECHOV #01
testo e regia: Carmen Giordano
produzione: Macelleria Ettore – Teatro al Kg/Spazio Off Trento
interpreti: Maura Pettorruso, Paolo Maria Pilosio
scene e costumi: Maria Paola Di Francesco
durata: 40’
applausi del pubblico: 1’ 18’’

Visto a Roma, Teatro Nuovo Colosseo, il 10 marzo 2010

tre stelle

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