Jazz, rap, slam poetry, flamenco, teatro, danza. L’improvvisazione (dal latino improvious, imprevisto) è la declinazione estemporanea dell’arte; l’esecuzione di un qui e ora che permette di liberare energia creativa pura, semplicemente seguendo un flusso vitale interno. Improvvisare è anche una forma di introspezione. Si possono scoprire emozioni e reazioni viscerali, perché in quel frangente il corpo esprime la massima libertà e sperimentazione.
Da molti anni Alessandro Certini e Charlotte Zerbey portano avanti un lavoro di ricerca al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, improntato in particolar modo sull’improvvisazione e su un sistema di relazioni tra artisti, così come tra diverse discipline come teatro, musica, video.
Dopo un laboratorio forse più tecnico, ma non per questo meno coinvolgente come testimoniano i ragazzi, con Cristina Rizzo, per il progetto “Azione” Certini continua il lavoro nello spazio, facendo eseguire ai ragazzi esercizi volti ad una maggiore apertura e ad un’ottica più dinamica del movimento. Per un coreografo l’insegnamento è trasmettere parte della propria esperienza, che nel caso di Certini non può prescindere dal lavoro di improvvisazione.
Assistiamo alla fase finale del laboratorio, dopo una lezione teorica con Eugenia Casini Ropa che ha avuto luogo il giorno prima. Nello studio della Limonaia ci si sente accolti e si respira un vissuto, complici forse alcuni elementi che trasmettono subito un’atmosfera calorosa, come il parquet, le vetrate, o la stufa a legna.
L’improvvisazione – ci spiega il coreografo – presuppone molta più consapevolezza di quanto si possa pensare. Il movimento non è casuale, è molto coreografico ed è una capacità che si forma con l’esperienza. C’è una parte di impulso ovviamente, ma poi ci sono delle scelte. C’è soprattutto una relazione con il contesto e con gli altri elementi, come la musica – Certini lavora molto con musica live – o con gli altri interpreti. Sicuramente con Charlotte Zerbey, con cui collabora da una vita, è facile costruire situazioni, dialogare e creare una condivisione del pensiero coreografico, ma in ogni circostanza è l’insieme degli elementi che formano la performance, e questo vale anche nell’improvvisazione.
Il contesto diventa in qualche modo l’architettura della performance. Per il pubblico che osserva alla fine è difficile distinguere se si tratti di improvvisazione oppure di una coreografia costruita. Ma anche per chi esegue può sembrare di seguire un processo casuale, quando in realtà non lo è. C’è sempre una scelta che viene effettuata, che dipende da ciò che si è, e dal proprio bagaglio personale.
Si può comporre una coreografia in molti modi. Nella composizione coreografica fai un lavoro di scrittura – spiega Certini – mentre con l’improvvisazione fai un lavoro di oralità. C’è anche una fisicità diversa, meno formale, ed è in qualche modo una forma di rinnovamento.
Per familiarizzare con questa forma di linguaggio vengono assegnati ai ragazzi compiti specifici. Ad esempio, dando una prima impostazione coreografica con un esercizio, per poi chiedere loro di terminare il fraseggio liberamente, fino a porre una chiusura. Il risultato è in qualche modo la costruzione di un dialogo danzato, tra il maestro e l’allievo.
Ogni ragazzo ha la propria percezione del tempo, delle azioni, dello spazio scenico e un proprio livello di ascolto. E osservandoli ci si rende conto che ognuno rilascia una composizione che è unica e che appartiene solo a lui. Il qui e ora non pensato, ma posseduto.
Gli esercizi vengono eseguiti in tre gruppi e al termine gli stessi gruppi si riuniscono per parlare della loro esperienza. In ogni esercizio la relazione con l’altro è fondamentale. Con il movimento del corpo vengono rilasciate sensazioni, tensioni, si possono varcare i propri limiti. E questo influisce sull’altro, che può trovarsi accanto immobile, soltanto recependo le sensazioni attorno a lui, oppure muovendosi a sua volta.
Improvvisare significa far si che la casualità predomini, senza che prenda il sopravvento.
L’improvvisazione è qualcosa con cui il nostro corpo, cosciente o meno, si confronta costantemente con il rapporto con l’esterno. Implica sempre la disponibilità ad interagire con l’ambiente circostante e ci permette di vivere soggettivamente la creatività delle nostre scelte. In un certo modo quindi, avere una nuova idea, o creare un gesto è associabile ad uno stato fisico e mentale che ognuno di noi prova normalmente. Rivolgere l’attenzione a questa forma di spettacolo, a questo processo creativo, che nelle innumerevoli sfumature estetiche e concettuali dà ampio spazio all’individualità ed alla soggettività del corpo, è oltremodo attuale e importante.*
Interessante anche l’attenzione sui tempi. Nel conteggio del tempo Certini chiede ai ragazzi di porre l’accento sul primo movimento, per andare ad isolarlo e quindi a identificarlo, prima di essere rilasciato. E’ un modo per acquisire una maggiore consapevolezza del gesto, elevandolo da casualità istintiva a significato. Fai quel gesto, perché esprime qualcosa.
Nel pomeriggio il lavoro prosegue con il valore aggiunto di un musicista, il contrabbassista Nicola Vernuccio, che andrà ad integrare il lavoro di improvvisazione.
Nell’osservare il percorso dei ragazzi nei vari incontri, ciò che emerge come costante è l’importanza della relazione di un danzatore con ciò che lo circonda. L’individuo come elemento di un tutto, che riequilibra le energie.
Il prossimo appuntamento sarà a metà Novembre con Fabrizio Favale, che incontrerà gli allievi allo spazio K di Kinkaleri (Prato).
*Company Blu / pubblicazioni ShopTalk. Quattro volumi dedicati all’estemporaneità performativa
AZIONE_2018/2019Aldes/Cab 008/Compagnia Simona Bucci/Company Blu/KLm-Kinkaleri, Le Supplici, mk/Sosta Palmizi
Progetto per una rete stabile di insegnamento sul territorio toscano
Con il sostegno di MiBAC e di SIAE
nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”