«Meccanismi ludici» è la definizione che, senza pretese di conclusività, Angelo Pedroni, storico direttore tecnico e performer, dava del lavoro di CollettivO CineticO nel terzo volume di Iperscene (2017), a cura di Sergio Lo Gatto e Matteo Antonaci. Gruppo sempre variabile, quello cresciuto e mobilitato da Francesca Pennini, che oggi conta ormai forse settanta nomi, tra performer, tecnici, artisti e altri collaboratori, presenti e passati.
L’ultimo, spiazzante “Manifesto Cannibale”, in prima per Romaeuropa il 6 e 7 novembre scorsi sulle tavole del Teatro Vascello, non si accontenta di quella definizione, pur non discostandosene tanto da contraddirla. Sempre molto evidente è la vena della scrittura, dell’escogitazione, della progettazione di qualcosa che però amplifica il concetto di meccanismo, così spinto da rendere letteralmente impossibile un racconto lineare.
Vi è l’autobiografia, per iniziare: la lavorazione dello spettacolo, durata tre anni, è stata attraversata dai lockdown, dalle limitazioni agli spostamenti, ma anche da un periodo di sofferenza fisica di Pennini. Ed è stato allora che gli elementi, le rotelle del meccanismo e gli sguardi interni della performance hanno preso il sopravvento, al punto che gran parte del lavoro è ora composto di scene che l’autrice (è lei ad affermarlo) non ha mai visto, o a cui non ha mai dato il definitivo imprimatur. Così, osservando il lavoro da questo scorcio, lo spettatore in platea è catturato dalla presenza statica del corpo di Francesca Pennini che, spalle alla scena, si copre di un lenzuolo bianco per non guardare ciò che accade e rimanere al di fuori, molto più fuori di noi. Poi, a intervalli irregolari, con un segno convenuto, blocca la performance, si svela, guarda ciò che sta accadendo in una scena per l’occasione congelata nell’immobilità, e vi interviene, spostando gli oggetti, deviando o mettendone in crisi la dinamica.
Lo sguardo dell’osservatore può poi spostarsi sul contenuto, sul “tema” della ricerca, che è l’universo delle piante, dell’immobilità e del sonno (vero o apparente), della dilatazione, dell’autoreferenzialità e dei rapporti tra gli organismi; sguardo sui tessuti vegetali, sull’attrazione dei corpi come materia generatrice di gravità.
Né manca la linea di ricerca paratestuale, altro possibile livello di lettura. Allo spettacolo è infatti affiancato un piccolo ma denso volantino dove, alla tradizionale locandina, segue una vera e propria guida alla visione (anzi «manuale»), che oltre a descrivere in modo metaforico ma estremamente dettagliato il “meccanismo” di “Manifesto Cannibale”, si rivolge agli spettatori. Non solo indica loro diverse modalità di fruizione, ma anche propone di intervenire direttamente nello spettacolo, suggerendo tracce musicali da usare per le repliche successive, e chiedendo di inviare una battuta, un’impressione di quelle scene che Pennini non potrà mai vedere da sotto il suo lenzuolo.
Questo lavoro paratestuale, una volta che lo spettatore abbia deciso di leggerlo, orienta naturalmente la visione: chi lo legge non sarà, ad esempio, sorpreso dell’intervallo di 12 minuti prima dell’ultima scena (ma «Non è per i cambi scenici, è per voi. È una scena, si chiama Vomitorium»), né sarà sorpreso di un finale che di fatto non esiste, sostituito com’è da una «prova di resistenza» dei danzatori in scena, nuovamente fissati in un’immobilità straziante. Ma quel documento introduttivo, con la puntigliosa e rapsodica descrizione di ciascuna delle 24 scene che vedremo – riportate non in ordine –, è capace anche di sbalestrare lo spettatore, di fornirgli un ulteriore strumento di disorientamento, spronandolo a un’ulteriore operazione di esegesi insieme poetica ed enigmistica in cui a ciascuna scena tenterà di associare l’aforisma che la fotografa, sia pur fuori fuoco.
Questi e altri – saranno decine – sono gli sguardi che il pubblico può gettare sul mega-meccanismo, anzi sul dispositivo, anzi sull’organismo – organismo impressionante, accogliente, delicatamente, centrifugo ma non violento – di “Manifesto Cannibale”.
Davanti a noi si dibatte un corpo multidimensionale che non si accontenta del dato di fatto di uno sguardo monodirezionale, quello della platea, ma lo amplifica e moltiplica: prima di tutto “all’indietro” nel lavoro dell’interpretazione, della scoperta, in un dialogo appassionato con i suoi autori attraverso biografia, paratesto e tanto altro.
Poi, con un’incontentabilità onnivora: non gli basta la danza come linguaggio (si danza in un senso riconoscibile davvero solo nell’ultimo dei 24 pezzi), né come approccio critico a quel linguaggio (non potremmo definire tutto il lavoro semplicemente come una coreografia sui 24 lieder del Winterreise di Franz Schubert, suonati in scena da Davide Finotti sulla voce registrata di Dietrich Fischer-Dieskau?). Ha bisogno della letteratura discontinua del manuale di istruzioni, del meccanismo di innesco di un contatto fisico tra pubblico e scena (è uno spettatore che dà il via allo spettacolo, tirando una cordicella appesa all’alluce di un performer), della tecnologia in scena di telefoni e tablet che non stride nemmeno con la presenza imperiosa e burbera di un pianoforte a coda.
Neppure il tono di questo organismo si può univocamente ridurre al colore tipico del CollettivO, quello dell’ironia o dell’ilarità. Questo organismo, «cresciuto troppo», inafferrabile, polimorfo, questo corpaccione non è per questo privo di agilità e tenerezza, che sia una coraggiosa erezione “a sorpresa” o una coppia di mani che, coprendo gli occhi del pianista, ci mandano tutti “a buio” insieme a lui. In sua compagnia, non è raro imbattersi nell’improvvisa delicatezza di piccole cattiverie, in brividi dichiaratamente lubrici, in attimi di distillata bellezza cannibale.
Manifesto Cannibale
movimento: Emma Saba
movimento, organizzazione: Carmine Parise
movimento, invenzioni tecnologiche: Simone Arganini
movimento: Teodora Grano
movimento, brainstorming, messa in scena: Angelo Pedroni
concept, regia, voce: Francesca Pennini
pianoforte, movimento: Davide Finotti
scenografia, luci: Alberto Favretto
playlist: Spettatrici e Spettatori
voce: Dietrich Fischer-Dieskau
musica: Franz Schubert
co-produzione: CollettivO CineticO, Fondazione Romaeuropa, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara
con il supporto di Fondazione I Teatri, Centrale Fies | Art Work Space e ATER Fondazione / Teatro Comunale Laura Betti
con il sostegno di Regione Emilia Romagna, MIBAC
parte della ricerca “Esercizi di pornografia vegetale”
Durata prima parte: 1h 10′ circa – seconda parte: indefinito
Visto a Roma, Teatro Vascello, il 6 novembre 2021
Prima nazionale