Teatro italiano in crisi? A giudicare dalle rassegne in giro per la penisola, sembrerebbe non essere poi così vero, o almeno non per tutti. Se alcuni teatri soffrono la crisi e sono costretti a chiudere (il Tertulliano di Milano ne è un esempio di questi giorni), altri eventi nascono “poco più in là”.
Tra le ultime novità c’è stato infatti il Milano Off, festival di arti performative che ha animato il quartiere Isola della città ambrosiana dal 30 maggio al 12 giugno.
L’ideazione e la direzione artistica del festival è di Renato Lombardo, da oltre trent’anni organizzatore di eventi legati al teatro e alla musica jazz internazionale. Francesca Vitale ha curato la direzione artistica della rassegna Off, introdotta da testimonial d’eccezione come Stefano Bollani, Jango Edwards, Francesco Scimemi, Enrico Intra e Dario Fo, che com’è naturale è stato accolto dal pubblico da ripetute standing ovation. Il novantenne Premio Nobel ha invitato con le sue spremute d’effervescenza artisti e pubblico ad essere sempre più affamati di conoscenza, arte e bellezza.
La rassegna Off vera e propria, concentrata tra il 2 e 5 giugno per la parte teatrale, ha percorso teatri, strade e pub. In contemporanea, ristoranti e gallerie d’arte sono diventati inaspettati palcoscenici per mostre, dibattiti, concerti, pittura, libri e lettura.
Per gli spettacoli luoghi come La Stecca 3.0, la Fonderia Napoleonica, IsolacasaTeatro e il Teatro Verdi. Siamo a due passi dalla Milano nuova, sfrontata, di grattacieli come il Bosco Verticale e Palazzo Unicredit.
“Shylock” (produzione OffRome – Compagnia dei Demoni) è uno spin-off del “Mercante di Venezia” di Shakespeare, realizzato da Gareth Armstrong, con Mauro Parrinello attore e regista, e la voce off di Federico Giani.
Il protagonista è Tubal, personaggio minore per antonomasia. Annuncia che l’amico Shylock non arriverà. Eppure Tubal, appena otto battute nell’opera di Shakespeare, si autodefinisce personaggio fondamentale della vicenda.
La sua presenza è pretesto per un’analisi scanzonata del “Mercante”, e avvia una riflessione leggera sull’antisemitismo che alcuni critici hanno rintracciato nella commedia, sul peso di questa pièce nella storia dell’umanità. Uno spettacolo interessante sul piano ermeneutico, che tuttavia non trasmette particolari emozioni dal lato artistico.
“Luxurias. Lost in lust” è invece un viaggio tragicomico nell’universo femminile. Un’anima femminile vaga tra desiderio e morte, nostalgia ed eternità. Uno spettacolo dantesco, sciamanico, sardonicamente psicanalitico, che oscilla tra mito e contemporaneità.
Una Caroline Pagani delicata e impertinente ripercorre la storia di Francesca da Rimini, vittima di uno dei più famigerati femminicidi della letteratura, Qua e là, camei dedicati a Eleonora Duse, Franca Valeri e soprattutto Moana Pozzi, icona della lussuria.
Pagani, che ha scritto il testo insieme a Filippo Bruschi, interpreta un’anima inquieta dall’ironia soft, a metà strada tra stile cavalleresco e romanzo rosa dai risvolti noir. La drammaturgia, premio Fersen 2015, regala al pubblico una comicità tanto immediata quanto intelligente.
I “Rumori” del Teatro del Simposio Factory, drammaturgia di Antonello Antinolfi, sono un dramma intimista sulle lacerazioni dell’anima e della coscienza causate dalla sovraesposizione mediatica a fatti di violenza e guerra.
Diretti da Francesco Leschiera, Alessandro Macchi e Matteo Ippolito interpretano un uomo che non ricorda di aver ucciso i figli in preda a un raptus, e un altro che, come una sorta di analista, fa emergere il terribile ricordo. La pièce, forse fin troppo rarefatta, vuole suggerire l’idea che l’unica soluzione per l’uomo contemporaneo sia quella di anestetizzare la propria coscienza, rannicchiandosi in una sorta di lobotomizzazione dei sentimenti.
Cinzia Damassa diretta da Roberto Cajafa porta in scena un’inedita versione al femminile di “Novecento” di Alessandro Baricco. La protagonista si chiama Gin e suona la tromba sul transatlantico Virginian, nell’Atlantic Jazz Band, dove incontra Novecento. Ne nasce un’amicizia profonda: suonano insieme per i ricchi turisti, ma anche per gli immigrati che nei primi anni del secolo scorso si imbarcavano per cercar fortuna in America.
Dopo sette anni, però, lei scende dalla nave, vende la tromba e cambia vita. Nato e cresciuto sul Virginian senza mai mettere piede a terra, lui rimarrà invece a bordo.
Una riscrittura di un ormai classico ma senza guizzi inventivi né emozionali, di cui forse non si avvertiva la necessità.
Gioiellino del festival è stato “Dieci”, tratto dal romanzo omonimo di Andrej Longo, con Elena Dragonetti, che ne ha curato anche la regia insieme a Raffaella Tagliabue. Il lavoro ha vinto il Premio Calandra 2014 come miglior spettacolo, miglior regia, migliore attrice.
“Dieci” è un’indagine sulla periferia napoletana con uno sguardo iperrealistico che nulla concede a pietismo e sentimentalismo.
In novanta minuti assistiamo a dieci monologhi legati ai comandamenti biblici, brevi ritratti di vite al limite. C’è un diciassettenne che prova invano a esorcizzare la criminalità, dividendosi tra studio, fidanzatina e lavoro in un bar. C’è Saverio, la cui voce angelica è spezzata dall’abuso di cocaina. C’è una moglie quarantenne in attesa del marito di ritorno dal lavoro: tutto è preparato con cura; e invece dirompe la paura per la caducità della vita, con esito inaspettatamente esistenzialista. C’è il dramma di un tredicenne divorato dal dolore per la malattia della madre, in un deserto culturale e affettivo. Emergono scoperte inaspettate sull’integrità morale delle persone care, tra omicidi, tradimenti, malinteso senso dell’onore, abusi sessuali e piccoli reati che si risolvono nella violenza più bieca.
Elena Dragonetti, istrionica e intensa, interpreta un mosaico di personaggi dispersi nelle periferie dell’anima. Padroneggia il mestiere dell’attore con abilità camaleontica, dosando minuziosamente voce, mimica, gestualità e fisicità, dando forza a una drammaturgia asciutta, rapida, intrisa di un’ironia tipicamente popolare. Un racconto variegato, realistico e sincero, per uno spettacolo pieno di rabbia ma anche di dolcezza e poesia.
L’obiettivo dichiarato di Milano Off Isola, svolto in partenariato con il festival internazionale di Avignon Off, era quello di “aumentare la Felicità Interna Lorda” dei milanesi. Ma l’ottimismo della volontà non basta. La Milano d’inizio giugno che assomiglia così tanto all’autunno, dispersa tra ponti ed incipienti vacanze scolastiche, distratta dal duello Sala-Parisi, partecipa sommessamente all’iniziativa. Ecco allora l’altro risvolto della “crisi del teatro” di cui si diceva in apertura.
Qui siamo però solo alla prima edizione. C’è tempo per crescere, anche senza l’urgenza di sfidare i nuovi svettanti grattacieli, ma puntando più in basso, verso la gente.