A Cividale Del Friuli la seconda edizione del festival per le nuove generazioni: 148 le proposte pervenute da Balcani e Mitteleuropa
Fino a poco tempo fa erano rare, ma ora si stanno infittendo sempre di più, le occasioni per tastare il polso all’immaginario artistico delle nuove generazioni, soprattutto tardo-adolescenziali e giovanili.
Una nuova feconda opportunità per ampliarne le direzioni ci è stata data attraverso Mittelyoung, il composito progetto artistico che abbiamo seguito dal 12 al 15 maggio a Cividale del Friuli.
La manifestazione, giunta alla seconda edizione, come si può intuire già dal titolo trova la sua derivazione dal Mittelfest, lo storico festival multidisciplinare che si tiene, sempre a Cividale, da 31 anni, e che quest’anno si svolgerà dal 22 al 31 luglio con un programma ricco e diversificato.
Accanto al festival maggiore, il giovane e dinamico direttore artistico Giacomo Pedini ha voluto affiancare questo nuovo progetto dedicato agli under 30, che ha il merito importantissimo di approcciarsi non solo al teatro ma anche alla danza e alla musica, mettendo alla prova una nuova generazione di artisti, non solo italiana, ma allargata alla Mitteleuropa, dando un sostegno concreto per esprimersi.
La selezione degli spettacoli a cui abbiamo assistito è nata da un bando diffuso in tutti i Paesi della Mitteleuropa e dei Balcani, che ha avuto esito in 148 proposte pervenute, successivamente sottoposte alla giuria di “curatores” under 30, composta da giovani provenienti da enti culturali e di spettacolo dell’area friulana, del Carintischer Sommer Music Festival e del SNG di Nova Gorica, a cui si sono aggiunti i vincitori della passata edizione.
Sono stati dunque 36 i giovani chiamati a individuare nove spettacoli, tre per ognuno dei settori di cui è composto il festival (teatro, danza e musica), tre dei quali verranno poi scelti dalla stessa commissione per essere inseriti nel calendario ufficiale del Mittelfest di luglio.
Sei i Paesi da cui provengono gli spettacoli di Mittelyoung: oltre all’Italia, i Paesi Bassi, l’Austria, la Repubblica Ceca, la Lituania e la Germania, quasi tutti in prima assoluta.
Nei nostri tre giorni di permanenza abbiamo assistito ai sette spettacoli di cui ora vi parleremo: pur nella loro profonda diversità, ci hanno aiutato in qualche modo ad attraversare le forme e i contenuti che interessano alle nuove generazioni di artisti.
Mittelyoung ci ha così permesso di conoscere i cinque giovanissimi musicisti salisburghesi del Chez Fría Ensemble che, in “Enimos Enis” (al contrario si legge Sine Nomine), ci hanno accompagnato in un viaggio musicale del tutto particolare: partendo dal Barocco l’ensemble ci ha riconsegnato un universo poliedrico e sorprendente, intriso di nuovi umori assolutamente contemporanei, dal jazz alla musica elettronica al funk.
Tromba, flauto dolce, tastiere, batteria sintetizzatore, suonati con estro interpretativo e inventivo senso dell’improvvisazione, sono riusciti a innestare sapientemente Hildegard von Bingen, John Dowland e Johann Sebastian Bach nelle possibilità del live electronics, creando un vero e proprio ponte tra passato al futuro.
Meno interessante per la sua evidente autoreferenzialità, giocato tra inglese e italiano, ci è parso il concerto di Bibi Milanese, artista italiana trasferitasi nei Paesi Bassi, che cerca di combinare musica, narrazione e accenni di danza contemporanea per raccontarci dal suo punto di vista il tema del viaggio, unendo elementi rap, pop, jazz, musica elettronica e teatro, grazie anche alla presenza del coreografo e ballerino Daniel Dominguez.
Per quanto riguarda il teatro, Luca Oldani in “Assenza Sparsa” esplora il tema del dolore, i confini tra vita e morte. Ha avuto la possibilità di lavorare con il dramaturg Jacopo Bottani per un’intensa residenza al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, dove i due artisti hanno trascorso due settimane tra l’ospedale e il reparto di rianimazione, in occasione di un gravissimo incidente accaduto ad un compagno di classe della Nico Pepe, che lottava tra la vita e la morte.
La narrazione di Oldani, inframmezzata anche da momenti ironici che ne spezzano l’atmosfera tragica, si muove in modo emotivamente personale intorno a temi come il coma, il sonno, la morte e la percezione del dolore, mentre sugli stessi argomenti si ascoltano anche alcune conversazioni avute con i medici e il personale del reparto.
Altra atmosfera, di sapore circense, pervade invece “G.A.S.” della Compagnia del Buco, in cui i due giovanissimi clown Simone Vaccari e Luca Macca con una bombola, un fornello, due cassette e un telo cerato, prima di riuscire a scaldarsi un agognato the caldo, sgorgato da un’improbabile macchina erogatrice, ne combinano di tutti i colori, alle prese con strani e impossibili montaggi di fornelli, imprevisti dell’ultimo minuto e fuochi pericolosi.
Tra gli spettacoli vi è stato anche il partecipato “17 selfie dalla fine del mondo”, un percorso inclusivo con cuffie su drammaturgia e disegno sonoro di Riccardo Tabilio, artista che già conosciamo e apprezziamo per la sua collaborazione con Kepler – 452 e La Confraternita del Chianti.
La performance fa parte di un progetto che ha coinvolto i giovanissimi partecipanti ad un laboratorio di scrittura organizzato presso il Convitto Nazionale Paolo Diacono di Cividale del Friuli.
Come sarà il domani? Come sarà quando saremo all’altro capo di una catastrofe climatica che la scienza e i media annunciano da decenni? Esiste veramente un “altro capo”, un day after oltre il quale tutto sarà successo? Ci attende un affondamento graduale e inesorabile? Questi i temi che la performance interattiva propone ogni volta a un mirato numero di spettatori, che divengono “attori” attraverso una serie di suggestioni che li vedono attivi nell’operare delle piccole grandi scelte, proposte dal conduttore del gioco, in molti casi anche con interventi dei ragazzi del Paolo Diacono, spaventati dal futuro a cui potrebbero andare incontro se non si porranno dei rimedi.
Il pubblico, attraverso questa performance autoguidata, viene quindi portato a riflettere su cosa ancora possiamo fare per il pianeta prima che sia troppo tardi.
Pura follia organizzata (e lo si intuisce già dal titolo) potremmo definire invece lo spettacolo teatrale senza dubbio più sorprendente visto nei tre giorni di permanenza al festival: “Since my house burned down i now own a better view of the rising moon” dei cechi della Musaši Entertainment Company.
La quanto mai bizzarra creazione mescola sapientemente le tecniche del Butoh con quelle della clowneria, ispirandosi ai racconti popolari giapponesi, e trasferisce sul palco, in modo giocoso ma quanto mai rigoroso, tutto l’immaginario popolare del mondo nipponico.
La storia che parrebbe narrare senza quasi proferire verbo è quella della lotta perenne tra un samurai senza fissa dimora e il demone Tengu. Ma il confronto serrato tra i due è solo un pretesto per ricreare un mondo grottesco, sapientemente costruito, anche se fuori da ogni regola, con colpi di scena improvvisi, pervasi da poesia di stampo surrealista.
Quasi senza parole, narrata solo dalle situazioni che via via si rincorrono sul palco, dai costumi, dalle maschere, la performance si muove senza mai cadere nella parodia grazie alla padronanza assoluta dei gesti e di tutti i mezzi teatrali che i due performer hanno a disposizione.
Sullo sfondo, a far corona a tutto, due geishe si muovono silenziosamente, accompagnando lo spettacolo in perfetto stile giapponese con i suoni del koto e il battito dei geta.
Eccoci infine alla danza con “Marea” del Trio Saba. Angelica Margherita, Nicol Soravito e Irene Ferrara, che cura l’ideazione e la coreografia, si muovono chiaramente nell’onda coreografica della Compagnia Arearea da dove provengono, ma ispirandosi alla marea creano uno spettacolo profondamente femminile, che si realizza con grazia e forte immedesimazione: “Ci siamo ispirate alla marea, una grande massa liquida che fluttua e s’innalza, producendo danni o generando sensazioni di pericolo. Marea è donna: è ciclica e segue il suo flusso, quello mestruale. In un’epoca in cui i tabù cadono, persiste ancora quello relativo alle mestruazioni”.
Nello spettacolo Angelica, Nicol e Irene si immergono liberamente nel flusso di uno dei processi biologici più naturali che esistono, immergendosi con leggerezza nel gioco formato da palloni rossi che non sanno di sangue ma semmai di meraviglia e di grazia.
Ancora nel comparto della danza di grande rilevanza ci è sembrato infine “Nymphs”, su concept e coreografia del ventiduenne Niek Wagenaar con cinque scatenatissimi performer: Filippo Gualandris, Charles Heinrich, Alice Sundara, Linde Wagemakers e lo stesso Wagenaar, su musiche di Brant Peije Teunis.
Partendo dalle ninfe, le celebri creature mitiche che vivevano nelle foreste, vicino ai ruscelli, nelle montagne…, la coreografia di Wagenaar si immerge nel concetto di sensualità, intendendo uscire dagli stereotipi di genere, per creare una danza potente e di grande espressività, che attraverso nuove connessioni palesi tutte le infinite possibilità che hanno i corpi per comunicare tra loro.