Antonio Tarantino, autore multiforme che ci ha dato opere diverse e folgoranti, da “Materiali per una tragedia tedesca” a “Stabat Mater”, da “Gramsci” a “Turi” sino a “La casa di Ramallah”, ancora una volta scrive uno spettacolo ambientato nel passato per parlare dell’oggi, utilizzando un testo dove la parola vive di una forza narrativa e poetica di grande potenza espressiva.
L’azione di quest’ultimo lavoro è ambientata nel 1815 a Namur, un paesino dal nome non a caso emblematico, dove l’armata francese di Napoleone, dopo Waterloo, è in rotta. E’ qui che, in una landa desolata percorsa dalla soldataglia inglese e prussiana, in una capanna, si incrociano due esseri vinti e senza speranza: Marta, una vivandiera imperiale non più nel fiore dell’età, e Lucien, un giovane soldatino francese.
La solitudine e la sconfitta li hanno fatti incontrare in un desiderio di amore che va ben al di là del contatto fisico. Marta è una donna che da tempo ha scelto di vivere libera, pagando la sua libertà a caro prezzo, ora però le miserie della vita hanno avuto il sopravvento e cerca nell’amore per il giovane soldato una via di uscita; per questo continua a fargli domande di conferma della propria vitalità, ancora non sopita.
Dall’altra parte c’è Lucien, troppo giovane per una guerra che non gli appartiene, impaurito e confuso, che cerca nella donna un senso di protezione dove, tra dubbi e slanci di generosità, la salvezza della propria vita sia al centro dei suoi pensieri.
E’ per questo che, per sfuggire alla cattura, propone a Marta uno scambio di abiti che fatalmente innescherà un grottesco gioco di ruoli, che amplificherà i sentimenti dei due protagonisti. Alla fine, sconfitti, sceglieranno di morire, insieme, uniti da una disperazione che non ammette risarcimento.
Tutti le emozioni dell’animo umano vengono scandagliate in un’attesa di riscatto possibile che il testo di Tarantino amplifica in un continuo alternarsi di sentimenti, dove paura e coraggio, ribellione e sottomissione, violenza e tenerezza, odio e amore si rincorrono sino allo spasimo, e in cui la guerra, con tutti i suoi umori, permea ogni cosa, simbolo di un mondo che ancora oggi contamina uomini e donne che non possiedono speranza alcuna.
Teresa Ludovico si concede in modo congruo e dolente alla prova che il testo le offre, mentre Roberto Corradino lo pensiamo qui alla sua prova finora più coraggiosa, risolta con commovente bravura. Entrambi reggono sino in fondo la sfida affidata loro da Tarantino, complici le meravigliose luci di Vincent Longuemare, reale terzo personaggio in scena, che creano perfettamente l’atmosfera nella quale i due protagonisti consumano la loro eroica sconfitta.
Namur
di Antonio Tarantino
con: Teresa Ludovico e Roberto Corradino
regia: Teresa Ludovico
spazio scenico e luci: Vincent Longuemare
costumi: Luigi Spezzacatene
realizzazione: Artelier
collaborazione al movimento: Elisabetta Di Terlizzi
assistente alla drammaturgia: Loreta Guario tecnico
suono e luci: Gianvito Marasciulo
distribuzione: Annamaria Giannone
durata: 1h 15′
applausi del pubblico: 2′
Visto a Bari, Teatro Kismet, il 18 maggio 2014