
Sul palco, allestito a “piccola corte” per rendere l’atmosfera più intima e contenuta, una sedia, tre lumini e un modellino d’autocisterna che s’illumina quando si spengono le luci. Lo spettacolo sta per cominciare: nel buio il modellino sembra un camion vero che avanza nella notte, visto dall’alto di un occhio soprannaturale. Poi le luci si accendono e immediatamente, senza preavviso, il racconto parte: è una corsa senza fiato che non conosce tregua e lascia lo spettatore col cuore in gola.
In un campo profughi palestinese, in una povera casa di una sola stanza, un giovane uomo tenta di convincerne un altro, anziano, a partire clandestinamente per il Kuwait. La storia del vecchio è quella di molti: una vita di speranze puntualmente deluse, di miserie tangibili, denudati anche della propria terra. Fuggire in un paese ricco e trovare un lavoro è l’ultimo, estremo sogno possibile.
Il racconto è scarno, con parole dure come pietre e infuocate come il sole del deserto iracheno, che arroventa l’autocisterna piena di clandestini. Gli uomini sono disperate macchiette che vivono la loro desolata condizione tra rabbia e assurda ironia. La voce di Pannelli, tagliente e roca, dai sottotoni acuti, interpreta alla perfezione l’etnia che rappresenta, specialmente quando esplode con la risata grassa del trafficante di immigrati o con quelle insistenti e stupide dei doganieri. Camaleontica, immaginifica, capace di evocare fisionomie e interi paesaggi, questa voce dà il meglio di sé quando riproduce il rumore dell’autocisterna, che vibra, romba, sobbalza, non si ferma mai e domina i discorsi degli uomini, costretti a urlare per farsi intendere sopra il frastuono. “Questo è l’inferno” dice Asad, il protagonista troppo giovane per quel viaggio senza ritorno: chiusi dentro l’autocisterna un minuto di troppo, non arriveranno mai. E “inferno” ed “infernale” sono parole che si ripetono, con incredulità, come a chiedere perché. Lo stesso perché gridato dall’autista ed echeggiato dal deserto: “Perché? Perché non avete bussato alle pareti della cisterna?”. La domanda, che conclude lo spettacolo, è anche esortazione: diretta a tutti gli oppressi, a tutti coloro che sono stati fatalmente ingannati.
Una narrazione grondante sudore e adrenalina, che parte un po’ a freddo – nelle scene iniziali, più lente, si avverte la necessità di qualche pausa – ma che ottiene sempre un’alta soglia di coinvolgimento, nonostante un sostegno tecnico talvolta poco puntuale.
Alla fine dello spettacolo, richiamato dal pubblico che applaude, Pannelli ha lo sguardo assente, non sorride: forse preso dal pensiero che, di fronte alla tragedia vera appena raccontata, gli applausi siano quasi fuori luogo.
INGANNATI
liberamente tratto da “Uomini sotto il sole” di Ghassan Kanafani
adattamento: Gaea Riondino
regia: Nicola Pannelli
con: Nicola Pannelli
produzione: Associazione Narramondo, Teatro Stabile di Genova
durata: 1 h 15’
applausi del pubblico: 1′ 10”
Visto a Genova, Piccola Corte, il 14 maggio 2008