La riflessione su arte e capitalismo del regista polacco affascina Milano in chiusura del festival “Presente Indicativo”
Un progetto monumentale. Un’esperienza estetica pervasiva. Un’immersione nell’arte totale, che interseca i linguaggi del teatro, del film e della videoarte.
“Rohtko” di Lukasz Twarkowski, il maggior regista polacco contemporaneo, ribalta il Piccolo Teatro di Milano (festival “Presente Indicativo”) con una performance iconoclasta dedicata all’artista espressionista Mark Rothko (1903-1970).
Twarkowski si inabissa nei tormenti e nelle contraddizioni dell’arte. Non una biografia (il titolo stesso, “Rohtko”, altera il personaggio evocato, invertendo le lettere centrali del nome), ma piuttosto un simposio attorno ai capisaldi della creazione artistica, con implicazioni su questioni come visibilità, marketing e capitalismo.
Il soggetto, tratto da uno scandalo reale, ha il fascino di un thriller.
Nel 2004 un dipinto senza titolo di Mark Rothko, risalente al 1956, fu venduto da una famosa gallerista di New York per più di 8 milioni di dollari. Sette anni dopo, con stupore, risultò che questo dipinto, capace di inorgoglire e suscitare tante epifanie nella coppia di collezionisti che lo aveva acquisito, era un falso ideato in un garage da Pei-Shen Qian, artista cinese del Queens.
Ma perché un falso dovrebbe valere meno di uno vero, se le emozioni che suscita sono reali? E può un’opera perdere il suo potere una volta accertata la contraffazione?
Da che parte iniziare per raccontare quattro ore di spettacolo in cui vediamo e sentiamo di tutto? Un tripudio di immagini avvolgenti, come un film di David Lynch. Al punto che ci si prepara a uno spettacolo visuale privo della terza dimensione. Poi la comparsa dirompente sul palco di un ristorante cinese vero e proprio, un’architettura dettagliata con tanto di pareti e vetrate, di arredamento con lanterne appese, acquari con pesci multicolori, tavolini, fiori, menu. Soprattutto, una sfilza di avventori, camerieri, cuochi, bottiglie, bicchieri, e un’atmosfera fascinosa alimentata dal fumo delle sigarette. Luci rossastre, a incendiare un immaginario limitrofo allo stile di Quentin Tarantino.
Una marea sinestetica. Gli occhi non sanno dove guardare perché si moltiplicano le microazioni ovunque, soprattutto in fondo al set. Avvertiamo un effetto di profondità di campo solitamente riservato al cinema. Le orecchie non sanno cosa ascoltare, perché sono sommerse da una pletora di stimoli.
Osserviamo questo ristorante dall’esterno come un quadro di Edward Hopper. Gente che va, gente che viene, e una solitudine che illanguidisce. Chi parla al telefono, chi si incontra per un brindisi. Chi discute, chi guarda il menu. Chi raccoglie le ordinazioni, chi mastica del cibo. Chi naufraga in un’ondata di caffè. E pensiamo ad altri artisti come Tennessee Williams.
Osserviamo questo luogo con l’alternarsi di più punti di vista. Perché in quel microcosmo ci sono dei cameraman (Arturs Gruzdiņš, Jonatāns Goba) che proiettano in presa diretta immagini sullo schermo intero o bipartito, come bipartita e a volte tripartita e quadripartita è la scena con i personaggi in carne e ossa. E allora il boccascena diventa un maxischermo diviso in più parti: sotto le scene live nelle rispettive architetture, sopra le scene cinematografiche nelle rispettive inquadrature. Presente e passato, in parallelo o in flashback. Oppure un doppio livello di contemporaneità: i personaggi reali rappresentati, e gli attori che li rappresentano.
Il magnifico lavoro sulle luci (Eugenijus Sabaliauskas) rafforza l’impressione di trovarsi nell’universo cromatico dei dipinti di Marc Rothko. Nell’ambientazione composta da molteplici profondità, l’estremo virtuosismo della regia di Twarkowski e dei video di Jakub Lech permette di creare scene specchiate, che si svolgono nello stesso spazio-tempo, contemporaneamente, visibili su schermi diversi.
Vediamo in soggettiva la mano che versa il whisky nei bicchieri. Sentiamo lo scroscio onomatopeico, rumori metallici, tintinnii di bicchieri. Pare un audiodramma. Guardiamo in primo piano visi accesi e rabbuiati, sguardi rapiti, affascinati, seduttivi, sedotti, assorti, interroganti, sorridenti, determinati, esaltati, avviliti.
Si muove con maestria la macchina da presa, con piani sequenza che sono gioielli cinematografici. L’occhio della telecamera raggiunge gli anfratti nascosti, il dietro le quinte, l’atto di entrare e quello di uscire. Scoviamo personaggi, snidiamo dettagli, solo perché li individua il cameraman. Prendiamo coscienza che il cinema è scoperta, che l’abilità attoriale si traduce in quegli occhi sbarrati, storditi, estasiati, in quel sorriso incantato, imbalsamato, innamorato. Avvertiamo l’intelligenza indagatrice, la fronte corrugata, lo sguardo, sorpreso, amaro, stupito, indignato.
Ciak, si gira. Incredibile questa naturalezza nel recitare. Nessuno stop. Nessun bisogno di intervenire, interrompere, ricominciare. Siamo anche noi dentro un set cinematografico. Siamo catapultati nella scena di un film. E poi fagocitati dentro la storia e i molteplici interrogativi che solleva la drammaturgia di Anka Herbut, con dialoghi misurati nella loro quotidiana banalità, che colludono con la solitudine che spesso accompagna le discussioni sull’arte contemporanea.
Che cos’è l’arte? C’è differenza tra arte e opera d’arte? Come si misura il valore di un’opera d’arte? Quanto conta il mercato? Come condiziona la nostra percezione di un’opera? Quanto è libero un artista?
Non vanno trascurate le scenografie realizzate dal collaboratore del regista Fabien Lédé. Notevoli i costumi di Svenja Gassen, la coreografia di Pawel Sakowicz e i già citati video di Jakub Lech. E poi la musica metallurgica, pervasiva, di Lubomir Grzelak, che segue il battito dello spettacolo tra estasi e tachicardia.
Lo spettacolo, perennemente al confine tra finzione e ricerca, è anche davanti, dietro, accanto a noi. Lo vediamo negli sguardi affascinati degli spettatori. La struttura spigolosamente a semicerchio della platea dello Strehler facilita la percezione del livello d’implicazione di chi condivide con noi questa esperienza multisensoriale, e soddisfa il bisogno di trascendenza ed emozione.
Il regista riporta in vita l’interazione che si crea tra arte e pubblico. Siamo aggrediti dal vortice che si apre, nel turbine stordente di fumo, trucchi visivi e sonori.
“Rohtko”, che si vale delle riflessioni del filosofo coreano Byung-chul Han, spalanca gli occhi su avventure perdute nell’oblio. Avvia una riflessione profonda e oscura sulla natura imprenditoriale dell’arte moderna. Offre una lettura drammatica della figura di Rothko, analizzata in modo leggibile e stimolante.
Ma soprattutto, “Rohtko” dimostra il valore del teatro come arte complessa capace di comunicare a diversi livelli. Il teatro come arte intellettuale e multisensoriale più forte del linguaggio cinematografico. Ma la sinergia tra performance dal vivo e cinema conferisce a questo lavoro un effetto dirompente, inattingibile per il cinema e il teatro da soli.
Il team degli attori (Juris Bartkevičs, Kaspars Dumburs, Toms Veličko, Ērika Eglija-Grāvele, Yan Huang, Andrzej Jakubczyk, Rēzija Kalniņa, Katarzyna Osipuk, Artūrs Skrastiņš, Mārtiņš Upenieks, Vita Vārpiņa, Xiaochen Wang) merita la standing ovation della Milano teatrante.
Rohtko
di Anka Herbut
regia Łukasz Twarkowski
con Juris Bartkevičs, Kaspars Dumburs, Toms Veličko, Ērika Eglija-Grāvele, Yan Huang, Andrzej Jakubczyk, Rēzija Kalniņa, Katarzyna Osipuk, Artūrs Skrastiņš, Mārtiņš Upenieks, Vita Vārpiņa, Xiaochen Wang
scene Fabien Lédé
costumi Svenja Gassen
musica Lubomir Grzelak
video Jakub Lech
luci Eugenijus Sabaliauskas
coreografie Pawel Sakowicz
assistenti alla regia Mārtiņš Gūtmanis, Diāna Kaijaka, Adam Zduńczyk
assistente alla drammaturgia Linda Šterna
assistente ai costumi Bastian Stein
assistente ai video Adam Zduńczyk
cameramen Arturs Gruzdiņš, Jonatāns Goba
direttrice di scena Iveta Boša
produttrice esecutiva Ginta Tropa
produzione e distribuzione internazionale Vidas Bizunevicius (NewError)
produzione Dailes Theatre
in coproduzione con JK Opole Theatre e Adam Mickiewicz Institute
e il cofinanziamento del Ministero della Cultura e del Patrimonio Nazionale della Repubblica di Polonia
Rohtko ha debuttato il 12 marzo 2022 al Dailes Theatre (Riga, Lettonia)
durata: 3h 50’ compreso l’intervallo
applausi del pubblico: 4’ 40”
Visto a Milano, Piccolo Teatro Strehler, il 16 maggio 2024