L’esperienza riguarda quella forma di conoscenza ottenuta tramite il coinvolgimento o l’osservazione diretta di un fenomeno, di un oggetto. Ma l’esperienza necessita di ricerca?
E’ quanto abbiamo discusso incontrando Paola Berselli e Stefano Pasquini, creatori di quello strano laboratorio teatral-zoologico e bucolico-espressionista battezzato Teatro delle Ariette, dal nome del podere dove ha sede: Le Ariette (Castello di Serravalle, in provincia di Bologna), dove dall’89 i due conducono l’omonima azienda agricola.
Nel ’99, tornando alla mai sopita passione per il teatro, a cui entrambi ancora studenti si erano dedicati, in mezzo ai campi delle Ariette avevano costruito in totale autogestione e autofinanziamento il Deposito Attrezzi (un edificio rurale per il teatro), che a brevissimo riaprirà completamente rinnovato.
“Siamo autori, costruttori e produttori del nostro teatro, in tutti i sensi – raccontano – Il Teatro delle Ariette non è soltanto una compagnia teatrale, forse è anche qualcosa d’altro: un’esperienza, una pratica quotidiana alla ricerca del “luogo” dove arte, vita e lavoro convivono e coincidono. Il nostro è un teatro di terra, fatto con le mani e vissuto nel corpo. La nostra ricerca teatrale è un cammino attraverso l’umano, un lavoro continuo e paziente per forzare e aprire quella porta che conduce dentro: nel teatro invisibile del cuore. Lì sta il nostro teatro”.
La dichiarazione programmatica spiega meglio di tutto il come e il dove di questo esperimento, che ad ogni replica, ad ogni manifestazione, non manca di coinvolgere lo spettatore, che, proprio come l’attore, deve esperire, volere, cercare.
Nel maggio 1747 Johann Sebastian Bach fu convocato dal re di Prussia Federico il Grande, sovrano amante della musica, flautista, che gli chiese di improvvisare lì per lì su un tema di sua creazione. Bach non solo improvvisò seduta stante una fuga a quattro voci e a cinque voci ma, tornato a Lipsia, finì per creare il capolavoro intitolato “Offerta Musicale”, offerto/dedicato al re. Al canone a due voci per moto contrario, rimarcando l’enigmaticità che in ogni creazione artistica alberga, e nella fattispecie lasciando all’esecutore il compito di scoprire dove collocare la seconda voce, il musicista mise titolo “Quaerendo Invenietis” (Cercando troverete).
Così anche le Ariette lasciano allo spettatore il compito di cercare, esperire dove collocare la propria voce in una creazione silenziosamente polifonica di cui diventa parte attiva: se l’”esperienza” si allinea al concetto di esperimento, un teatro che ponga alla base della crescita fra attori e spettatori il tema dell’esperienza non può accettare l’imposizione dei tempi di produzione industriale, di serialità, di affanno mass mediatico.
Con allestimenti spesso fuori dal tempo, ma che non mancano di collegarsi al reale e al quotidiano, dal 1997, quando è iniziato il progetto “A teatro nelle case”, e ancora di più dal 2000 con l’inaugurazione del Deposito Attrezzi, hanno proposto eventi sia alle Ariette che nelle case, nelle sale polivalenti, in un forno, nell’ospedale di Bazzano, in mezzo ai campi, nelle scuole, in tutta Europa… portando non di rado con sé gli animali della tenuta, a volte parte integrante degli spettacoli. Come in “Padre Nostro”, a cui abbiamo assistito a Brescia all’interno della rassegna curata dall’associazione Amici Complici Amanti di Claudio Simeone, una bella manifestazione in uno spazio periferico di libertà.
Dove sta il loro teatro? Fra la pentola che bolle sui fornelli, l’oca che batte le ali pronta ad entrare in scena, una piuma nel taschino di Stefano, preparando i tortellini in attesa degli spettatori? Quaerendo invenietis, ma con calma, lasciandolo crescere dentro di sé, come l’impasto che lievita naturale, spinto dalla pasta madre. Per un teatro senza conservanti.