Da vent’anni, nelle campagne bolognesi della Valle del Samoggia, c’è un’azienda agricola che coltiva la terra, accudisce gli animali, e inforna pietanze fatte con i frutti della natura. Dopodiché impacchettano tutto e lo portano a teatro.
Da vent’anni il Teatro delle Ariette ha fatto del teatro una tavola imbandita dove condividere storie ed esperienze di vita. Ed è una storia curiosa, quella di Stefano Pasquini e di Paola Berselli, iniziata a fine anni Ottanta con la decisione di abbandonarlo il teatro, per andare a vivere di agricoltura nella fattoria Le Ariette. Ma il teatro è un seme tenace, che cova anche sotto le zolle dei campi, e così nel 1996 decidono di farlo tornare a germogliare, di mieterlo e consumarlo in giro per le scene.
Per celebrare questo ventennale raccolto arriva, in prima nazionale al Teatro delle Briciole di Parma, “Tutto quello che so del grano”, giunto alla forma compiuta dopo una serie di precedenti studi cominciata a marzo.
Ci sono ben più di vent’anni in questa nuova creazione della compagnia emiliana, c’è una vita intera, c’è un percorso che abbraccia le memorie di un’esistenza in continuo dialogo tra poesia e trattori. Nutrimento primario di questo viaggio è l’autobiografia, radice fruttuosa che plasma lo spettacolo in una sorta di rito agreste.
L’inizio vede un video documentario di Stefano Massari che introduce e traduce in immagini la quotidianità dell’azienda agricola, uno scorcio di vite ritmate da vanghe, becchime e farina da impastare. Poi è il racconto a sbocciare, tra una grande tavolata e la paglia distribuita sul pavimento. Un racconto il cui ingrediente principale è una lettera d’amore, che Stefano scrive alla moglie Paola, una lettera in cui “bisogna fare i conti con ciò di cui si è fatti”, dove “tutto quello che so può essere niente”, ma quel qualcosa che ha imparato non può essere tenuto dentro, come il grano prima o poi deve affacciarsi all’aria, a respirare teatro.
Abolita ogni separazione tra scena e pubblico, il Teatro delle Ariette immerge lo spettatore in un ambiente conviviale, cifra stilistica di tutta la loro ricerca, per abbandonarsi in una appassionata saga familiare, che dai più lontani ricordi d’infanzia fino al presente ripercorre tappe, difficoltà, rimpianti e nostalgie di un magico connubio tra saperi antichi come il teatro e il lavoro rurale.
È il grano stesso, insieme alla rugiada e alla nebbia, a scrivere la drammaturgia di uno spettacolo che sembrerebbe quasi sussurrato attorno al tepore di un caminetto accesso.
In un’epoca in cui anche solo il concedersi una passeggiata in campagna appare a molti come un privilegio, Pasquini e Berselli, insieme all’amico Maurizio Ferraresi, ci insegnano che l’arte, il fare arte, è indissolubile dall’esperienza materiale, che una staccionata da riparare o l’aratro mentre dissoda la terra sono fonti preziose per una regia teatrale, perché “si dice che il teatro non è la vita, ma un’ora e mezza dello spettacolo è vita”.
Nonostante una messa in scena in alcuni punti un po’ ingessata, è difficile non rimanere affascinati dalla ritualità e dalla sacralità dei gesti e dei racconti, in cui rivivono maestrie lontane e genuine avventure di vita, nell’attesa che la focaccia preparata al momento lieviti nel forno, cullati dall’aroma di pane che pervade lo spazio.
La ricetta di “Tutto quello che so del grano” si basa sostanzialmente sulla narrazione più schietta e sincera, sulla sedimentazione organica di un vissuto e la sua urgenza di essere rivelato, senza per questo accantonare le istanze del presente. C’è tutta la grazia e la seduzione dell’artigianato teatrale, uniti ai tempi e alle dinamiche di una orchestrazione consapevole delle tendenze attuali: è come ascoltare i racconti della nonna con il blues di Tom Waits come accompagnamento, autore del resto amatissimo e onnipresente nelle opere del duo bolognese.
Paradossalmente, quello delle Ariette è un teatro sperimentale, un teatro che fruga nel contatto diretto col pubblico, condividendone umori e partecipazione; dovendosi confrontare con un ambito teatrale che tende sempre più a tenere alla larga lo spettatore, o semmai ad attrarlo con strategici ammiccamenti, questo teatro estende invece la piena cittadinanza a chi è oltre la quarta parete, usufruendo della condivisione per inseminare senza pregiudizi i linguaggi creativi, che poi restituiscono in scena.
Emblematica è, in questo senso, la citazione nel finale di danza, mimata insieme al pubblico, che Pina Baush creò nel suo “Kontakthof”. E ancora più esemplare è il convivio creato al ritorno delle luci in sala, con le focacce cotte a puntino ad accompagnare salumi e formaggi. Ci si lascia trascinare in una chiacchierata salutare sul più e il meno di questa cerimonia laica che prende il nome di teatro, ma che prende vita dalla terra e dalle sue fasi.
TUTTO QUELLO CHE SO DEL GRANO
di Paola Berselli e Stefano Pasquini
con Paola Berselli, Maurizio Ferraresi e Stefano Pasquini
scenografia e costumi Teatro delle Ariette
luci e audio Massimo Nardinocchi
video Stefano Massari
regia Stefano Pasquini
segreteria organizzativa Irene Bartolini
comunicazione e ufficio stampa Raffaella Ilari
produzione Teatro delle Ariette
durata: 1h 31′
applausi del pubblico: 1′ 46”
Visto a Parma, Teatro al Parco, il 5 novembre 2016
Prima nazionale