
Uscirà il 19 settembre al cinema il film d’esordio di Emma Dante tratto dall’omonimo romanzo “Via Castellana Bandiera”, edito nel 2008 da Rizzoli.
Presentato alla 70^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – appena conclusa – ha incontrato fin da subito il consenso della critica (tre le stelle del Mereghetti), un po’ meno quello del pubblico.
Se infatti l’Ansa del mattino, dopo la prima proiezione, ne decretava il successo con gli oltre dieci minuti di applausi, e tra i corridoi del Palazzo del Cinema si vociferava già di un possibile premio, il pubblico presente alla proiezione serale, al Palabiennale, risultava meno propenso a urlare al capolavoro; solo qualche applauso, talmente accennato da non coprire i timidi buuu levatisi in sala.
Del resto era solo il secondo di dieci giorni di proiezioni, e il primo film italiano in concorso; e poi si sa, le carte sono state rimescolate. Alla fine dei conti e della Mostra un premio importante è comunque arrivato. La Coppa Volpi come miglior interprete è stata assegnata a Elena Cotta, che oltre ad avere dedicato il premio al proprio compagno di lunga vita, che l’ha accompagnata per mano lungo il red carpet, ha ringraziato Emma Dante per averle permesso di interpretare l’anziana e silenziosa Samira, e di averle aperto così nuovamente, dopo tanti anni di lavoro, nuove prospettive e orizzonti.
Quasi un paradosso, se si pensa alla “claustrofobica” sceneggiatura, sigillata in due soggetti che si fronteggiano e si incastrano lungo la stessa strada, che di orizzonti sembra proprio non averne.
Il film racconta infatti la sfida di due donne, Rosa (interpretata dalla stessa Emma Dante) e Samira che, alla guida ciascuna della propria macchina, si ritrovano muso contro muso in una via (via Castellana Bandiera appunto) nella periferia di Palermo.
Come nei lavori teatrali della regista, dove non ci sono porte né quinte, anche qui mancano le vie di fuga; nessuna delle due donne vuole indietreggiare e così nessuna delle due può proseguire.
Madri contro figlie e viceversa, ognuna rivendica il diritto di precedenza. Inizia la sfida, un duello femminile, stranamente silenzioso, fatto per lo più di sguardi, ed enfatizzato dalla musica che ricorda il classico clima western, dove l’inquadratura scende sulle mani che prudono e si allargano sui fianchi, pronte a far roteare un’immaginaria pistola come in uno dei migliori “Mezzogiorno di fuoco”.
E’ il Sud. E’ Palermo. E’ la famiglia, nucleo tragico della Dante per eccellenza. E’ un ring all’aperto, che si apre all’individuo, al gruppo, all’intero paese, Palermo o Italia che sia. Gli uomini alzano la voce, si prendono a bottigliate, scommettono sulle contendenti; le donne tengono duro, soffrono ma non si arrendono, alcune spettegolano.
Assolutamente non banale e sicuramente non consueto, “Via Castellana Bandiera” non è forse un capolavoro ma certamente segna un ottimo esordio. Detta così, da profani spettatori.
Meno palpabili sono le ondate di sensazioni, di poesia e tragedia, se non per alcune scene e inquadrature che inevitabilmente riportano alla memoria e alle emozioni dei grandi lavori teatrali della regista.
Chi già apprezza e segue il teatro di Emma Dante, o per chi ha letto il ben fatto “Palermo dentro” (ed. Zona), non potrà non cogliere alcuni elementi che, nel film, ritornano fin dalla prima inquadratura. Innanzitutto l’acqua, come liquido da cui si emerge, ma anche acqua negata e sprecata così come ogni bene prezioso; come il pane rovesciato sulla strada, o quello inzuppato nella fontana dalle mani di Samira e donato ai cani randagi che si rifugiano attorno alla tomba della figlia. Qui, in una bellissima ripresa dall’alto, tra i cani avvolti su se stessi, le croci, i fiori, l’acqua e il doloroso abbraccio con il quale Samira copre la tomba della figlia, non si può non ritornare in un attimo a “Cani di bancata”, alla “Scimia”, o all’ondata di emozioni spiazzanti di “Vita mia”.
Un altro viaggio della Dante negli aspetti delle relazioni umane, nella durezza e bruttezza dell’animo, tra le porcherie della gente e dei disastrosi affetti familiari.
Riconoscibile anche l’attenzione che la regista ha sempre nel dirigere l’occhio dello spettatore, un occhio un po’ guardone e profanatore, qui portato a ridosso dei personaggi con costanti primi piani.
Se parlare di capolavoro é effettivamente esagerato, la sua preziosità questo esordio ce l’ha comunque. Sembra quasi grottesco dirlo, ma l’ultima scena a camera fissa, che apre come un imbuto via Castellana Bandiera e raccoglie in una corsa senza fine giovani, vecchi, uomini, donne, bambini e cani, è di una bellezza indimenticabile, che vale già tutto il film.