Nel chiarore che si fa avanti piano, le note cantate sono stridule e seducenti. Sul piccolo capolavoro di scenografia che è il terreno d’azione di un mondo animato compare un personaggio rugoso, esangue ed emaciato nel suo colorito che sa di Africa nera. Imbraccia una fisarmonica, che suona con candore; le sue labbra scandiscono la melodia con un meccanismo che ha del magico, un semplice aprirsi e chiudersi ma morbido come di cielo mite.
Se le parole che qui fluiscono hanno sembianze di poesia è perché di questo è composto l’universo della Handspring Puppet Company; di sogno è intrisa questa visione di Woyzeck.
La storia del povero proletario (ché questo era nella mente di Büchner) schiacciato dagli eventi, infangato dal mondo e trasformato in una bestia disperata, mai come qui si fa espressione di un disagio sociale. Quello del sud del mondo, dimenticato e da dimenticare, curva a gomito nel rettilineo della contemporaneità occidentale. Realtà che si muove nel fluido di quei pupazzi perfetti e strazianti, commentata dallo scorrere di animazioni surrealiste. Fanno da sfondo, le immagini, come finestra storta, specchio deformante, si contorcono nel tentativo di contestualizzare la desolazione. Il resto sulla scena è una favola bruna, ninnananna cantata sottovoce, che racconta un Woyzeck prigioniero del colore della propria pelle, preda ingenua di aguzzini bianchi. Il suo farsi cavia agli esperimenti del dottore solo per sostenere quella Maria che vediamo, sentiamo, sappiamo che lo tradirà. Il suo abbandonarsi a una follia di sangue ci scorre avanti agli occhi con la stessa inesorabilità con cui il povero bimbo abbandonato di cui racconta la nonna sarà sempre e per sempre solo.
William Kentridge, ora regista della Handspring Puppet Company, prima disegnatore e animatore sopraffino, riprende in mano uno spettacolo di quindici anni fa, lo attualizza e marchia lo sfondo con quel suo tratto di matita e carboncino che muove interi mondi, quell’ironia tragica con cui ci racconta la sua Africa. “Woyzeck on the Highveld” è la parabola di un universo dimenticato, di una realtà e di un’esistenza sociale stuprata, il protagonista un Don Chisciotte di sangue, dilaniato dai mulini, prodotto cattivo di società malata.
Scavando un nuovo corso al fiume di questo capolavoro drammaturgico di Georg Büchner, “Woyzeck on the Highveld” è un grande lavoro di animazione, come sempre interamente alla luce del sole – niente concessioni all’illusione da intrattenimento – e di regia, spiego imponente di umiltà e mestiere. Felice abbrivio di un festival, il Romaeuropa 2009, che speriamo mantenga le promesse.
WOYZECK ON THE HIGHVELD
da “Woyzeck” di Georg Büchner
regia e animazione: William Kentridge
interpreti: Mncedisi Baldwin Shabangu (attore), Nkosinathi Joachim Gaar, Jason Potgieter, Hamilton Dhalamini, Busisiwe Penelope Zokuva (pupazzi)
technical engineer: Simon Nicholas Mahoney
sound design: Wilbert Schoubel
violoncello: Clara Hooyberg
fisarmonica: Alfred Makgalemele, Isaac van Graan
luci: Mannie Manim
costumi: Hazel Maree
durata: 1 h 40′
applausi del pubblico: 3′ 30”
prima nazionale
Visto a Roma, Teatro Eliseo, il 1° ottobre 2009
Romaeuropa Festival 2009