Elena Cotugno e Gianpiero Borgia a Milano: il mito greco al cimitero per elaborare i lutti del Covid
Un’Antigone in epoca Covid, testimone e a sua volta vittima di una sfilza di disgrazie familiari. Come avrebbe reagito l’eroina greca alla pandemia? In che modo lei e la sorella Ismene avrebbero elaborato la catena di lutti che aveva colpito la loro famiglia, nel divieto di celebrare il rito funebre?
Si è posta questi interrogativi la compagnia pugliese Teatro dei Borgia. Che ha restituito la propria poetica del cordoglio riallacciandosi a Sofocle, alle quattro tragedie che mettono al centro le morti di Laio, Giocasta ed Edipo, il conflitto fratricida tra Eteocle e Polinice, il decreto di Creonte che vieta la sepoltura di quest’ultimo, i suicidi in rapida successione della stessa Antigone e poi di Emone (figlio di Creonte) di lei innamorato, infine di Euridice, madre di Emone.
“Antigone. Cerimonia con canzoni”, drammaturgia di Elena Cotugno, ideazione e regia Gianpiero Borgia, con Alessio Bergamo, la stessa Cotugno e Sabino Rociola, in coproduzione con Centro Teatrale Bresciano e con Compagnie l’Eygurande (Francia), è uno spettacolo nato nel 2023 per celebrare Bergamo e Brescia capitali italiane della cultura. Ma il lavoro site specific, presentato per la prima volta un anno fa proprio nel cimitero di Bergamo, è soprattutto un modo per commemorare una pagina dolorosa della nostra storia recente: i 200mila morti di Covid solo in Italia; quelle famigerate settimane di marzo e aprile 2020, tra delirio, tragedia e impotenza; l’assenza di camici, mascherine e respiratori; il lungo lockdown; le sirene delle ambulanze; le separazioni senza un addio ai propri cari; gli ospedali presi d’assalto; il triage per decidere chi poteva accedere alle cure e chi doveva morire; l’agonia dei malati abbandonati a sé stessi; i corpi illanguiditi e i respiri soffocati; le morti in solitaria; le cremazioni senza rito funebre.
Il tributo pagato da Bergamo fu altissimo. Rimane indelebile l’immagine di quei camion dell’esercito con tutte quelle bare, nel silenzio delle strade deserte. Un macabro convoglio, diretto verso un altrove indefinito.
La Lombardia si trovò sotto assedio. Anche Milano fu percossa. Ed è tra le tombe del Cimitero Monumentale, nell’ambito del progetto Stanze diretto da Alberica Archinto (Compagnia Alkaest, in collaborazione con IMPACTA Festival e Milano è Viva), che abbiamo assistito all’“Antigone” dei Borgia: una “sacra rappresentazione”; un misto tra religione e profanazione.
Un pubblico frammentato si ritrova nel piazzale del sepolcreto che custodisce la memoria di personaggi legati alla storia e alla cultura milanese, da Manzoni a Cattaneo, da Quasimodo a Munari. E poi Bocconi, Merlin, don Giussani. Famiglie della borghesia industriale illuminata, come i Falck, i Marelli e i Campari. Irrinunciabile, per i patiti del teatro, la visita alle tombe di Rame e Fo, di Gaber, Jannacci, Parenti, Walter Chiari.
La quiete di una domenica di metà settembre di nuovo assolata, verso l’imbrunire, è interrotta da uno strimpellare di note live alla chitarra, canzoni come “Knockin’ On Heaven’s Door” di Bob Dylan, oppure “I Wish You Were Here” dei Pink Floyd.
Una mascherina chirurgica; un pennarello per inciderci il nome di una persona scomparsa; i nostri ricordi: è questo il corredo con cui raggiungiamo il luogo della rappresentazione.
Ci sediamo in semicerchio nei pressi di una tomba. Inizia il rito di una tragedia che risuona nel nostro presente. Affiora il senso di confessioni e nostalgie, l’approdo a una memoria sospesa e irrisolta.
Elena Cotugno, una donna in lungo abito verde, e scarpe che paiono arrivare da una fiaba antica; Sabino Rociola, un giovane in abito grigio con la chitarra; Alessio Bergamo, un uomo maturo in abito coloniale. Rivive in maniera sbrindellata la tragedia sofoclea. Che qui si dispiega come una storia familiare costellata di iperboli e paradossi. Lutti a gogò. Morti di genitori, fratelli e sorelle. Eteocle e Polinice sono sbrigativamente “il buono e lo stronzo”: violano il lockdown, bevono, s’impasticcano e s’impastano con l’auto contro il primo muro; Antigone è una sorta di psicotica con la mania feticista del cioccolato. Un lutto chiama l’altro, e ci sembra di assistere quasi alla parodia della tragedia greca.
Potremmo provare fastidio per il modo caotico e tragicomico con cui ci si accosta al tema della morte, tra commemorazioni rap e odi melanconiche affettate. Anche la recitazione è lambiccata, buffa e impacciata.
E invece…
E invece ci ritroviamo in un garbato mulinello di sorrisi e lacrime. Vacilliamo, contagiati da un dolore corale. E capiamo che la scelta dei Borgia è plausibile, forse la più adatta per un tema così forte e a così breve distanza da quegli eventi.
Un giro nel mondo dei ricordi. Ciascuno di noi scopre nervi e vibrazioni, rievocazioni e rimpianti. Siamo parte di un cortocircuito che naufraga nelle schizofrenie e nei mille paradossi del lutto.
Le note incorporee di Giörgy Sándor Ligeti, compositore ungherese sopravvissuto alle deportazioni che ne avevano falcidiato la famiglia, sono lo sfarfallio stordente che ci addentra nella rievocazione.
Tarallucci, olive e mandorle, offerti dall’attrice agli spettatori, preludono al rito del cibo dei morti. Qualcuno porta alla bocca un assaggio di vodka. Spaesamento. Il rito funebre assume una leggerezza fluida, un candore incorporeo. Basta acquietare la parte critica del nostro cervello, lasciar vibrare le corde emotive, e ci ritroviamo nel cuore dell’elaborazione. C’è anche il ricordo della natura che a quel tempo rifioriva, degli animali festosi che ripopolavano il territorio, occupando i propri e i nostri spazi. «Il mondo, senza di noi, era bellissimo».
C’è un libro, sbrindellato più di questo racconto: è “Pane del bosco” di Chandra Livia Candiani. Elena Cotugno ce ne regala pagine sparse: «…La pace non ti avverte quando / ti presenta alla vastità / arriva a piedi nudi / ti sfiora la testa e ti mastica, /sbocconcellata sparita a te stessa / sorridi, lo sapevi da sempre: finché / ci sei tu non c’è pace.»
Una strana scioltezza fa capolino tra i monumenti funebri, come il rondone in solitaria sulle nostre teste, mentre un aereo lontano decolla sul tramonto.
La voce stentorea di Alessio Bergamo (nomen omen) nel solco di Creonte; la danza invasata e surreale di Elena Cotugno, un’Ismene che si fa chiamare Lulù; i brani avviati alla chitarra dal corifeo Sabino Rociola: Smiths. Cranberries, Dire Straits, De Gregori.
L’assemblea dei ricordi. Un albero stilizzato, ai cui rami possiamo liberamente scegliere se attaccare le nostre mascherine con il nome della persona cara che abbiamo rievocato. Come gli israeliti durante la cattività babilonese, alle fronde dei salici appendiamo i nostri lutti.
In questo luogo irreale incontriamo i nostri morti, mentre scivolano nell’oblio un altro giorno e un’altra estate. Le nostre angosce evaporano nella quiete del teatro. E a sorvolare le tombe e i nostri corpi, stavolta, è uno stormo d’uccelli, rapido come una folata, come la brezza che annuncia l’autunno.
ANTIGONE. Cerimonia con canzoni
drammaturgia di Elena Cotugno
ideazione e regia Gianpiero Borgia
con Alessio Bergamo, Elena Cotugno, Sabino Rociola
produzione Teatro dei Borgia
in coproduzione con Centro Teatrale Bresciano e con Compagnie l’Eygurande (Francia)
in collaborazione con Cooperativa La Rete
durata: 1h 20’
Visto a Milano, Cimitero Monumentale (all’interno di STANZE, in collaborazione con IMPACTA Festival – Le Arti per i Diritti e “Milano è Viva”) il 15 settembre 2024