Paolo Musio, Enzo Vetrano e Stefano Randisi fra i protagonisti del capolavoro di Samuel Beckett
Lunghe code in biglietteria, fermento ed eccitazione al Teatro Storchi di Modena per il debutto assoluto della tanto attesa coproduzione ERT, l’ultimo lavoro di Theodoros Terzopoulos, il regista greco di fama internazionale che torna a misurarsi con Samuel Beckett in “Aspettando Godot”. C’è molta curiosità da parte del pubblico italiano: i suoi lavori precedenti sui testi del drammaturgo irlandese non sono mai giunti alle nostre platee.
Gli attori chiamati a partecipare alla produzione sono il veterano Paolo Musio (che ha collaborato con Terzopoulos in numerose produzioni), la coppia indissolubile formata da Stefano Randisi ed Enzo Vetrano (al lavoro col regista per la prima volta), affiancati dalle giovani leve Giulio Germano Cervi e Rocco Ancarola (entrambi suoi allievi ad Atene). Un cast ben assortito, che in scena saprà mostrare com’è riuscito ad amalgamarsi e crescere assieme, nutrendosi profondamente del metodo attoriale elaborato dal grande maestro.
Sul palco colpisce l’immobilità degli attori che, assumendo quasi sempre la medesima posizione, riescono a trasmettere un’intensa e vibrante fisicità. I tableaux statici pensati da Beckett si dilatano dunque in maniera esponenziale con un Vladimiro e un Estragone (interpretati da Randisi e da Vetrano) che rimangono sdraiati a terra praticamente per tutta la durata dello spettacolo: disperati, schifosamente ubriachi, coi visi sporchi di sangue, avvinghiati tra loro o teneramente guancia contro guancia. La fisicità degli attori trova la possibilità d’esprimersi in maniera dirompente pur nella ristrettezza dello spazio (i due sono rinchiusi in un loculo), accompagnata da un sapiente utilizzo della voce, che sa veicolare il testo con estrema chiarezza.
Le peripezie vocali dunque non offuscano la nitidezza della parola, ancor quando si mescola con risate imperterrite e sbiascichi farneticanti. Tutto ciò ipnotizza il pubblico, rapito da una miriade d’emozioni che oscillano tra il buffo e l’inquietante.
La coppia Pozzo/Lucky, interpretata con rigore da Musio e Cervi, si muove su corde più tetre. I due, ricoperti di sangue, rimangono quasi sempre in piedi, mantenendosi a debita distanza: il padrone sovrasta dall’alto sbraitando senza freni, mentre il servo, intrappolato in basso, cerca di ritagliarsi un proprio spazio, senza però poter fuggire alle terribili angherie ed umiliazioni.
Pozzo fa un ingresso in scena plateale: squarciando lentamente la parete con una lama affilata. I suoi monologhi sono dirompenti, eclatanti, invadenti, mentre la presenza fisica statuaria esibisce una paralisi corrosiva che finirà per logorarlo. All’opposto Lucky non parla (quanto meno non all’inizio, come da testo) ma esegue i comandi scellerati del suo padrone: si muove in maniera frenetica e compulsiva, emette versi animaleschi, morde voracemente un coltello provocando forti battiti dei denti sulla lama. Questo Lucky senza guinzaglio, balbuziente, traumatizzato dagli orrori della guerra, in preda a continui spasmi e tremori, è interpretato in maniera sconcertante da Giulio Germano Cervi, il cui magnetismo rimarrà impresso a lungo nella memoria del pubblico.
Il regista avvolge i personaggi beckettiani in un’atmosfera tetra ed oscura, fatta di nebbia e luci rarefatte, in cui la terribile minaccia bellica si annuncia con l’eco di bombe e sirene antiaereo. Li vediamo lì, rintanati in una sorta di bunker, una mastodontica scatola nera che al contempo li protegge e li intrappola in cunicoli angusti. La scenografia (ideata dallo stesso Terzopoulos) è costituita da quattro pannelli scorrevoli che di volta in volta si assemblano in maniera diversa, mutando lo spazio a disposizione degli attori, anche grazie all’apparizione di botole, scale e aperture momentanee.
La regia denota visivamente l’allestimento con elementi dal forte potere simbolico ed evocativo; si pensi al sangue che imbratta i vestiti, i coltelli e le pagine di libri antichi; o della croce bianca, da cui spunta il volto del messaggero di Godot; o ancora i raggi di luce che, trapelando fra le fessure della scenografia, formano una croce altamente suggestiva. La simbologia cristiana, più volte richiamata nel corso dello spettacolo anche musicalmente, sembrerebbe voler guidare il pubblico a livello interpretativo. Del resto, lo stesso Beckett in alcune sue revisioni al testo (operate in occasione della messa in scena berlinese) aveva inserito in didascalia dei riferimenti velati alla crocifissione.
Eppure, man mano che ci si immerge nella marcata visione di Terzopoulos si ha la sensazione che la regia riesca comunque a restituire quell’aurea di mistero che avvolge il testo beckettiano. La celebre traduzione a cura di Carlo Fruttero non sembra risentire delle sforbiciate operate dal regista greco, che nel rispetto di un linguaggio asciutto e senza orpelli, interviene sempre in un’ottica di economia, tutelando il testo originale nella sua essenza. Emblematico in tal senso che il famoso albero venga qui trasformato in un piccolo bonsai.
Grazie al rigore con cui tutti gli elementi della messa in scena entrano in sinergia (compresi gli interventi sonori e le musiche originali composte da Panayiotis Velianitis), Terzopoulos riesce nella grande impresa di far rivivere un testo pilastro della storia del teatro, senza offuscarlo né mistificarlo, dando vita a uno spettacolo solido e ben strutturato.
Mentre lo spettatore s’immerge in quel non luogo, nell’eternità della scena, dove le dimensioni spazio-temporali si confondono e coesistono, si lascia finalmente cullare dall’inquieta curiosità di non sapere chi sia questo allegorico Godot. Ancora una volta.
Aspettando Godot
Di: Samuel Beckett
Traduzione: Carlo Fruttero
Copyright: Editions de Minuit
Regia, scene, luci e costumi: Theodoros Terzopoulos
Con: Paolo Musio, Stefano Randisi, Enzo Vetrano
E Giulio Germano Cervi, Rocco Ancarola
Musiche originali: Panayiotis Velianitis
Consulenza drammaturgica e assistenza alla regia: Michalis Traitsis
Training attoriale – Metodo Terzopoulos: Giulio Germano Cervi
Scene costruite nel Laboratorio di ERT/Teatro Nazionale
Responsabile dell’allestimento e del laboratorio di costruzione: Gioacchino Gramolini
Scenografe decoratrici: Ludovica Sitti con Sarah Menichini, Benedetta Monetti, Martina Perrone, Bianca Passanti
Progettazione led: Roberto Riccò
Direttore tecnico: Massimo Gianaroli
Direttore di scena: Gianluca Bolla
Macchinista e attrezzista: Eugenia Carro
Capo elettricista: Antonio Rinaldi
Fonico: Paolo Vicenzi
Sarta realizzatrice e sarta di scena: Carola Tesolin
Produzione: Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
In collaborazione con: Attis Theatre Company
Foto di scena: Johanna Weber / ritratti: Luca Del Pia
Durata: 1h 30′
Applausi: 4′
Visto a Modena, Teatro Storchi, il 15 gennaio 2023
Prima assoluta
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di Andrea Porcheddu
Luca Sossella Editore, 2020
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