Attraversa le epoche il Guglielmo Tell di Graham Vick

Guglielmo Tell di Graham Vick
Guglielmo Tell di Graham Vick
Il Guglielmo Tell di Graham Vick
Mettere in scena l’ultima opera di Gioachino Rossini, il “Guglielmo Tell” (o meglio il “Guillaume Tell”), è impresa davvero ardua, data l’estrema complessità di questo lavoro, sia dal punto di vista musicale, sia da quello scenografico e registico. Per cui una lode particolare va al Rossini Opera Festival che, in tempi di crisi, ha voluto compiere questa impresa in coproduzione con la Fondazione Teatro Regio di Torino, affidando la regia ad uno dei più innovativi registi del nostro tempo, Graham Vick, e scegliendo per la parte di Arnoldo il più autorevole tenore rossiniano contemporaneo, Juan Diego Florez.

Del resto, fu proprio il festival pesarese a proporre nel 1995 l’edizione filologica, che nei suoi quattro atti, senza tagli, con tutte le sue danze e i momenti coreografici, durava ben cinque ore e mezza.

Come si può ben capire, dunque, un compito difficilissimo, che ha avuto esiti, anche nell’edizione a cui abbiamo assistito nel grande spazio dell’Adriatic Arena, nel complesso soddisfacenti.
Il libretto dell’opera fu tratto dal dramma omonimo (Wilhelm Tell) di Friedrich Schiller e dal racconto “La Suisse libre” di Jean-Pierre Claris de Florian, elaborato inizialmente da Étienne de Jouy, e in seguito da Hippolyte-Louis-Florent Bis.
L’opera ebbe una lunga gestazione, Rossini era stato nominato da poco alla carica di “Directeur de la musique et de la scène du Théâtre Royal Italien”, con l’obbligo di comporre anche nuovi titoli per il Théâtre de l’Académie Royale de Musique (l’Opéra Français), quindi voleva presentarsi nel migliore dei modi al pubblico francese con un’opera innovativa. Prima del Tell condusse a termine un’opera italiana d’argomento francese (“Il viaggio a Reims”), due adattamenti di opere italiane (“Le Siège de Corinthe” e “Moïse et Pharaon”), e un’opera comica ch’è originale solo in apparenza (“Le Comte Ory”) poiché molte parti derivano dal “Viaggio a Reims”.

La prima rappresentazione del “Guillaume Tell” ebbe luogo al teatro dell’Opéra di Parigi il 3 agosto 1829, mentre la prima italiana (in tre atti e non nei quattro dell’edizione originale in francese) avvenne a Lucca il 17 settembre 1831, nella traduzione italiana di Calisto Bassi.

L’estremo capolavoro rossiniano opera innovativa fu davvero, contenendo sia l’atto di nascita di quello che verrà definito il genere francese del Grand Opéra, che tutti “i sentori” del melodramma romantico (lui, Rossini, compositore assolutamente antiromantico), sia poi per l’utilizzo dell’orchestra che, per rendere meglio il senso della natura, contiene anche elementi caratteristici dell’ambientazione svizzera come i Ranz de vaches (richiami dei pastori), oltre che per l’ ambientazione e la trama, che unisce gli elementi della natura a quelli patriottici.

L’ opera, che si svolge sul lago di Lucerna nel Canton di Uri, narra l’epopea dell’eroe svizzero Guglielmo Tell e della sua lotta contro il Governo asburgico, qui rappresentato dal governatore austriaco Gesler. Collegato a questi avvenimenti, vi è l’intreccio amoroso, che lega il giovane Arnold, figlio di Melcthal, uno dei più fieri oppositori del regime, con Mathilde, principessa d’Asburgo.
Guglielmo invano incita Arnold alla lotta, ma questi, solo dopo aver appresa la notizia che Gesler ha fatto uccidere il padre, decide di unirsi ai rappresentanti dei vari Cantoni, convenuti per il solenne giuramento contro l’oppressore.

Intanto Gesler ha organizzato una grande manifestazione in piazza per celebrare il diritto di sovranità sulle terre elvetiche. In segno di sottomissione, tutti devono inchinarsi davanti a un trofeo d’armi.
Al rifiuto di Guillaume e di suo figlio Jemmy (la parte è affidata ad un soprano), Gesler, conoscendone l’abilità d’arciere, lo sfida, offrendogli vita e libertà se sarà in grado di colpire con una freccia una mela posta a distanza sulla testa del figlio.
Come sappiamo, il dardo scocca, e l’impresa riesce. Guillaume, stremato, s’accascia al suolo, lasciando così scorgere una seconda freccia che aveva tenuto per Gesler.
Il governatore giura allora vendetta e, mentre Mathilde prende sotto la sua protezione Jemmy che consegna alla madre Edwige, Guillaume viene condotto a morte.

Ma durante un temporale che si scatena improvviso sulla barca che con Gesler sta portando al patibolo l’eroe, Guglielmo Tell riesce ad uccidere il governatore austriaco e a riportare faticosamente il naviglio verso riva. Intanto Arnold giunge dalla città coi rivoltosi, annunciando che la città è stata liberata e il nemico definitivamente sconfitto.

Il “Guglielmo Tell”, nella versione originale francese rappresenta l’ultima opera composta da Rossini che, in seguito, si dedicherà per quasi quarant’anni solo alla scrittura di musica da camera, musica sacra, forse sentendosi inadeguato al nuovo che stava avanzando.

La grandezza e la particolarità dell’opera si intuiscono già dalla variegata ouverture, articolata in quattro movimenti, che ben sintetizza gli umori e le atmosfere di tutta la vicenda: la calma del dialogo tra violoncelli; lo scatenarsi della tempesta; l'”andante pastorale”; la famosissima fanfara aperta dalle trombe e sviluppata da tutta l’orchestra. Ma è altresì ovvio che, in cinque ore di musica il livello, non possa essere sempre di altissima fattura.
Tra tutti i momenti musicali presenti in questo estremo capolavoro del pesarese, due sono assolutamente da annoverare tra le vette rossiniane: il “Sois immobile” che Guillaume implora al figlio, mentre sta per ricevere la freccia, ed il sublime finale, che tutti gli italiani ricordano in altro modo per essere stato, pur con diversi accenti, per molti anni la sigla iniziale della televisione italiana.
Qui, il sentimento che lega gli uomini indissolubilmente al concetto di libertà, si esprime in un tripudio musicale di commovente e ispirata bellezza, che il regista Graham Vick, con bella intuizione, rende visibile attraverso un lungo scalone purpureo che si innalza verso il cielo su cui si incammina Jemmy, il futuro della Svizzera.
Graham Vick, per il resto, con l’ausilio  delle scene e i costumi di Paul Brown, mescola sapientemente le carte e le epoche, conferendo ad ogni particolare una simbologia, quasi sempre pertinente, pur nell’originalità estrema delle scelte.

Così la Svizzera appare sempre come se fosse in cartolina, mentre Gessler e i suoi sgherri austriaci, pur nella loro riconoscibilità, sono visti come gli oppressori; ma è soprattutto la classe sociale quella che più importa al regista. Ed infatti la foresta in cui si aggira Mathilde non è formata da alberi, bensì da cavalli che ben esprimono il suo ceto, ma le cui zampe, all’occorrenza, servono per issare bandiere rosse, perché, in fin dei conti, Guglielmo Tell e i suoi sono dei veri rivoluzionari.
Poi l’epoca cambia ancora e a Mathilde, che le ha serbato il figlio dalla morte, è assolutamente pertinente che Edwige offra un caffè, mentre Arnoldo guarda un filmino per ricordarsi dell’infanzia e del padre ucciso.

Molto studiate anche le coreografie di Ron Howell, soprattutto nella scena, peraltro non gradita da una parte del pubblico, della festa nel palazzo di Gesler (in realtà la scena dovrebbe svolgersi in una piazza), tutte protese a dimostrare la volgarità latente del mondo del padrone di casa rispetto alla nobile tradizione, anche se ingenua, del mondo svizzero.

Michele Mariotti dirige nel complesso con perizia il coro e l’orchestra del Teatro Comunale di Bologna, sottolineando tutte le variegate atmosfere che l’opera possiede, coadiuvato dal coro dello stesso teatro, diretto da Andrea Faidutti, che ha parte fondamentale in quest’opera.

Nicola Alaimo è un Tell sufficientemente autorevole, mentre Juan Diego Florez qui forse alla prova più ardua della sua carriera, proposto in una tessitura vocale per lui anomala, riesce nel complesso a superare tutte le asperità che la parte gli chiede, ma certo non ci ha entusiasmato come è accaduto altre volte; infine Luca Tittoto è un autorevole e beffardamente autoritario Gesler.
Tra le donne, Marina Rebeka possiede un bel timbro e un bel volume di voce ma, nelle molte variazioni che le concede la parte, esprime pochissimi colori; corretta la Hedwige di Veronica Simeoni, e bene anche la parte di Jemmy interpretata da Amanda Forsythe, soprattutto in “Vois sa douleur, songe à mon âge”, nella famosa scena della mela.

GUILLAUME TELL
Opéra en quatre actes di Étienne de Jouy e Hippolyte Bis

direttore: Michele Mariotti
regia: Graham Vick
scene e costumi: Paul Brown
coreografie: Ron Howell
progetto luci: Giuseppe Di Iorio

interpreti:
Guillaume Tell Nicola Alaimo, Arnold Melchtal Juan Diego Flórez, Walter Furst Simon Orfila, Melchtal Simone Alberghini, Jemmy Amanda Forsythe, Gesler Luca Tittoto, Rodolphe Alessandro Luciano, Ruodi, Pêcheur Celso Albelo, Leuthold / Un Chasseur Wojtek Gierlach, Mathilde Marina Rebeka, Hedwige Veronica Simeoni

orchestra e Coro Del Teatro Comunale Di Bologna
maestro Del Coro: Andrea Faidutti

nuova coproduzione con la Fondazione Teatro Regio di Torino

Visto a Pesaro, Adriatic Arena, il 14 agosto 2013
 

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