Al Teatro Elfo Puccini di Milano, fino al 26 febbraio, la figura della direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, donna controcorrente che difese l’arte dalle razzie dei nazisti
«Quando, mesi fa, chiusi il testo che racconta il salvataggio delle opere d’arte durante la seconda guerra mondiale, lo feci pensando a una guerra finita, a una resistenza, a come siamo statə fortunatə a vivere in tempi di pace. Oggi tutto è cambiato. È cambiato il mondo, siamo cambiatə noi e lo spettacolo sembra raccontare un’altra storia».
Con queste parole Cinzia Spanò, lo scorso 11 marzo, ossia quasi un anno fa, annunciava l’anteprima a Lissone di “Palma Bucarelli e l’altra resistenza”, monologo che, dopo il debutto al Binario 7 di Monza, è giunto all’Elfo Puccini di Milano, con repliche fino al 26 febbraio.
L’uso dello schwa testimonia l’attenzione di Spanò per le tematiche di genere a partire dalle parole. Rientra in questa sensibilità l’attenzione riservata a personaggi femminili simbolici, che nel caso di Palma Bucarelli interessano l’attualità anche perché lambiscono il tema della guerra.
Palma Bucarelli (1910-1998) critica d’arte, direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dal 1942 al 1975, era un personaggio carismatico. Acuta, elegante, disinibita, lottò per preservare le opere d’arte custodite in Italia dalla ghettizzazione autarchica imposta dal fascismo. Soprattutto, salvò con coraggio migliaia di dipinti e sculture dei principali artisti italiani e stranieri (Donatello, Masaccio, Raffaello, Piero della Francesca, Giorgione, Medardo Rosso, Rubens, Rembrandt e tanti altri) da una duplice minaccia: da una parte le razzie dei tedeschi che occuparono la penisola dopo l’8 settembre 1943; dall’altra i bombardamenti americani.
Bucarelli a Roma, Fernanda Wittgens a Milano (cui Sonia Bergamasco ha dedicato un altro monologo nel 2018) furono tra i protagonisti del salvataggio del patrimonio artistico italiano.
Algida e superba, collezionista dalle grandi capacità strategiche, Palma Bucarelli nascose a Palazzo Farnese a Caprarola intere casse d’incommensurabile ricchezza culturale, trasportate in segreto nel cuore della notte. E questo è uno spettacolo notturno.
La luce è talmente fioca che ci pare di sentire le bombe senza bisogno di rombi o boati. Pare di stare in un sotterraneo. L’arte la vediamo attraverso le voci fuori campo, al lume tenue di una torcia che rischiara la nostra immaginazione e i ricordi legati a quelle opere.
L’allestimento tecnico di Giuliano Almerighi disegna, sempre con le luci, geometrie alla Mondrian.
Cinzia Spanò è una Bucarelli in tenuta di guerra “culturale”, in completo rosso con pantaloni larghi. L’attrice, qui anche nelle vesti di drammaturga e regista – con l’aiuto di Valeria Perdonò – dirige lo sguardo sugli anni della resistenza.
Nella scena di Saverio Assumma De Vita, pochi elementi: una valigetta in metallo, un telefono, delle lampade industriali, un piccolo busto, un manichino mignon, pochi abiti a vista. E ancora, un foulard e un paio di occhiali, a rendere la cura maniacale che Bucarelli aveva per la bellezza, partendo dal proprio aspetto. Proprio questo è il monologo: un inno alla bellezza e al potere salvifico dell’arte.
Il valore estetico trabocca anche dai magnifici video di Francesco Frongia, che disegnano un’epoca tragica ma con tratti fulgidi, immagini proiettate sullo sfondo di cieli azzurri o cupi, con addensamenti che preludevano alla tempesta bellica e alla deriva antisemita. E ancora, sequenze filmiche tratte da “Le follie di Topolino” (1929), “Fortunello” di Ettore Petrolini (1935) e “Olympia” di Leni Riefenstahl (1936), che trasformano la sala Bausch dell’Elfo in cinematografo.
È anche la rappresentazione del culto della monumentalità classica di una Germania in camicia bruna, il cui sguardo artistico si limitava alla celebrazione del passato, e considerava degenerato tutto ciò che era avanguardia.
Si termina con una carrellata dei capolavori salvati dalla scalmana nazista: tra gli altri, “La nascita di Venere”, “Lo sposalizio della Vergine”, “La tempesta” di Giorgione.
Un percorso solitario. Un ritratto che segue il filo della suggestione. In soliloquio con poche luci basse, con i suoni disegnati da Alessandro Levrero, Spanò ci guida dentro un personaggio coraggioso ed eretico, che faceva tutt’uno di vita e arte e si identificava con il proprio museo.
Dignità, assertività, impassibilità. “Palma e sangue freddo”, così fu definita. I suoi amati cagnolini. Gli amori sopiti, accantonati, per il timore di «essere legata per tutta la vita». Bucarelli optò per l’arte contemporanea, astratta, informale, sfidando i soloni alla Alicata e Trombadori che restavano ancorati a un’idea di riproduzione naturalistica e oleografica. Bucarelli cercava segnali di rinnovamento, oltre ogni riproduzione passiva o decorativa: l’arte doveva semmai essere un mezzo per mettere in discussione la realtà. E stimolare la riflessione critica.
Filologia e psicologia. Cinzia Spanò recita con il viso. Recita soprattutto con gli occhi. Le pupille si agitano, si dilatano e restringono. La fronte si aggrotta o si rilassa con una naturalezza che lascia disarmati, Vediamo Palma invecchiare, poi ringiovanire. L’attrice ha la rara capacità di interiorizzare ogni sfumatura del copione. Senza trucco o travestimento, senza bisogno delle luci, la troviamo sbattuta, pallida, accigliata. Poi si ridesta, con la rapidità di un moto dell’anima.
Epilogo in climax ascendente con il “Valzer in A Minor” di Roberta Di Mario, altra artista ribelle. Quando le luci si sono spente e si preparano gli applausi, lo spettatore si accorge che desidera ancora riflettere in silenzio: per dipanare, una dopo l’altra, le diverse emozioni e i pensieri accumulati lungo i settanta minuti di questo monologo avvincente.
Palma Bucarelli e l’altra resistenza
di e con Cinzia Spanò
aiuto regia Valeria Perdonò
allestimento tecnico Giuliano Almerighi
video Francesco Frongia
sound designer Alessandro Levrero
scene e costumi Saverio Assumma De Vita
valzer in A Minor Roberta Di Mario
produzione Teatro dell’Elfo
durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 4’
Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 14 febbraio 2023
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di Rachele Ferrario
Mondadori, 2018
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