“Il grande vuoto”, una produzione Cranpi, e “Album”, di e con Nicola Borghesi, centrano il tema della memoria
E’ da qualche tempo che, arrivati ad un’età considerevole, ci siamo accorti come i nostri ricordi si mischino tra di loro, compiendo una feroce selezione, forse più nitidi e colmi di rimpianti quelli più lontani, maggiormente sfocati e poco considerevoli quelli vicini.
Poi accade che si faccia più frequente il pensiero che tutte le cose che, apparentemente importanti, abbiamo compiuto nella vita tra qualche anno saranno sepolte dall’oblio. E’ forse per questo che, tra le numerose proposte teatrali offerteci dal festival Colpi di scena, meritoriamente organizzato da Accademia Perduta capitanata da Ruggero Sintoni e Claudio Casadio, abbiamo scelto di raccontarne due che ci hanno toccato nel profondo. Due spettacoli che, con efficacia, collegati insieme seppur in modo assolutamente diverso, hanno al centro il tema della memoria.
Parliamo de “Il grande vuoto” di Fabiana Iacozzilli e “Album” di Kepler 452: più narrativo, solo apparentemente nel solco della tradizione, il primo, e più performativo il secondo. Sono due spettacoli che parlano del tempo perduto e ritrovato, delle cose che abbiamo lasciato indietro ma anche di quelle che vogliamo siano lasciate a chi ci seguirà.
“Il grande vuoto” di Fabiana Iacozzilli, prodotta dal romano Cranpi, che abbiamo visto in anteprima, dovendo debuttare a novembre a Romaeuropa, ci parla del disfacimento di una famiglia, che va di pari passo con quello della mente della madre (Giusi Merli), attrice di talento, anziana che vive tra loro. Diviso in quattro parti, vede troneggiare nella prima una vecchia automobile: il padre (Ermanno De Biagi) è ancora vivo, anche se malfermo sulle gambe, e insieme alla madre devono partire. E come succede tra vecchi coniugi che hanno vissuto insieme tutta una vita, ci si rimpalla le piccole colpe, i reciproci affetti troppo marcati, ci si scambiano i ricordi.
Nella seconda, seduti su una grande tavola, piano piano e con estrema discrezione e pudicizia, vediamo spegnersi, tra la disperazione dei figli (Francesca Farcomeni e Piero Lanzellotti) la memoria della madre, con l’apparizione, ad un certo punto, anche di una badante (Mona Abokhatwa). E’ lei che, aprendo gli armadi, dissemina sul grande tavolo tutti gli affetti, tutte le cose che sono appartenute alla donna e ora giacciono sul tavolo inerti. Ogni cosa è illuminata dal ricordo e dalla possibilità di poter appartenere a qualcun altro.
In alto delle solerti videocamere ci accompagnano nella vita quotidiana, diventata “inutile”, della vegliarda, ormai senza memoria. Una vita inutile che improvvisamente prenderà però una forma potente e visionaria nell’ultima straordinaria parte dello spettacolo, quando – solo per lei – tutti i componenti della famiglia allestiranno, con tanto di bufera, il suo spettacolo della vita, ogni volta sospinto avanti dalla memoria: il “Re Lear” di Shakespeare.
Lo spettacolo rappresenta degnamente l’ultimo tassello della “Trilogia del vento” di Fabiana Iacozzilli, inaugurata con “La classe” e proseguita con “Una cosa enorme”, spettacolo dell’anno di KLP nel 2021.
Gli ambienti, in cui sono rappresentate le quattro parti di cui è composto lo spettacolo, sono montati a vista dagli stessi attori, dando continuità e forma alla scena susseguente.
“Il grande vuoto” ci parla apparentemente di Alzheimer, ma in modo poeticamente denso ci racconta della vita, del suo trascorrere, dell’importanza delle cose e degli affetti e, aggiungiamo noi, di come – attraverso la potenza del teatro – sia quattrocento anni fa sia oggi, quella vita ci può essere regalata anche nelle sue sfumature più dolorose.
“Album” della compagnia bolognese Kepler 452 ci è apparso subito come il continuo de “Il grande vuoto”, il suo naturale approfondimento emozionale, sviluppato non più in una sola storia, ma in un vero e proprio raccoglitore di istantanee, in cui ricordo e dimenticanza vengono ad intrecciarsi e a elidersi continuamente tra loro.
Il pubblico, all’inizio della performance, è disposto nello spazio della scena, tra sedie, tavolini, lampade e arredi spesso d’antan, che creano piccoli set in cui gli spettatori sono anche protagonisti, e dove potranno prendere vita gli Album raccontati.
I televisori a tubo catodico riproducono il rumore visivo. Ed è qui che arriva Nicola Borghesi che, partendo dalla metafora delle anguille, ci conduce anche lui nei meandri della vita, perfino della nostra. Lo fa ancora una volta attraverso i ricordi, attraverso le cose lasciate e che convergono tutte nello spazio della memoria. Come se lei, la memoria, fosse il Mar dei Sargassi e noi le anguille.
Ci narra, Borghesi, che tutte le anguille, in qualunque posto si trovino, sentono un richiamo inspiegabile, e si mettono in moto, migrando fino al Mar dei Sargassi, per riprodursi. Unico posto al mondo, un mare circoscritto da un circolo di correnti che sta al largo della Florida, tra le Bahamas, il Golfo del Messico e le Azzorre; tutte, nello stesso momento, le anguille femmine depongono le uova e il seme, i maschi. Poi muoiono, stremate ma soddisfatte per avere compiuto la loro missione.
Anche Borghesi, come fosse una vera e propria anguilla, compie un viaggio che lo porta a Rimini, in un luogo nel quale vengono condotte le persone con il morbo di Alzheimer, dove la musica ha un ruolo determinante; poi in una casa di Budapest, dove sono invece delle fotografie a cercare di rimettere in funzione i ricordi. E ancora poi in una struttura ospedaliera in Trentino, con sette televisori che trasmettono tutti la stessa cosa: il mare, perché è il suo sciabordare che può stimolare a ritrovare le tracce del tempo nella ragione annebbiata dei degenti.
Diventano poi protagoniste Cesena e l’Emilia dopo l’alluvione, dove l’acqua ha sepolto nel fango tutte le cose, anche quelle più care, che costituivano la memoria delle famiglie che abitavano le case sommerse, e quelle cose ci vengono impietosamente mostrate. Borghesi ci conduce da suo padre e, nella caligine dei ricordi perduti, emerge Jaques Brel e la sua canzone “Le plat pays”, che echeggia ancora nell’aria.
I racconti di Borghesi si intersecano ogni volta con quelli del pubblico, che viene stimolato con domande e sollecitazioni e coinvolto nelle storie narrate attraverso oggetti, immagini e canzoni, che entrano anche nella memoria degli spettatori, luogo nel quale ogni ricordo nasce e muore, come accade per le anguille.
Sono come un flusso emozionale continuo le parole di Borghesi che, come sua abitudine, ha scritto lo spettacolo con Enrico Baraldi e la collaborazione di Riccardo Tabilio.
Gli album di Kepler hanno la capacità, attraverso un sofisticato apparato tecnico che si nasconde tra le cose, di uscire dalla semplice narrazione per trasformarsi in un’esperienza condivisa tra l’artista in scena e gli spettatori, che si trovano in mezzo ad un flusso continuo di immagini e pratiche esistenziali che solo apparentemente riguardano gli altri, ma che in modo profondo appartengono anche a noi.
IL GRANDE VUOTO
uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli
dramaturg Linda Dalisi
performer Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e con Mona Abokhatwa per la prima volta in scena
progettazione e realizzazione scene Paola Villani
luci Raffaella Vitiello – musiche originali Tommy Grieco
suono Hubert Westkemper – video Lorenzo Letizia
fonico Jacopo Ruben Dell’Abate
aiuto regia Francesco Meloni
assistenti Virginia Cimmino, Francesco Savino, Veronica Bassani, Enrico Vita
collaborazione artistica Marta Meneghetti, Cesare Santiago Del Beato
foto di scena Laila Pozzo
produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello, La Corte Ospitale, Romaeuropa Festival
con il contributo di MiC – Ministero della Cultura
con il sostegno di Accademia Perduta / Romagna Teatri, Carrozzerie n.o.t, Fivizzano 27, Residenza della Bassa Sabina, Teatro Biblioteca Quarticciolo
Anteprima
ALBUM
a cura di Kepler-452 (Nicola Borghesi e Enrico Baraldi)
in scena Nicola Borghesi
con la collaborazione di Riccardo Tabilio
ideazione tecnica Andrea Bovaia
coordinamento Roberta Gabriele
Progetto vincitore del bando Daily Bread
nell’ambito del progetto europeo Stronger Peripheries: a Southern Coalition
in coproduzione con Pergine Festival, Pro Progressione e L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino
con il sostegno di IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia e Residenza Artisti nei Territori Masque Teatro
Visti a Forlì, Colpi di Scena, il 27 settembre 2023