Nel 2001 Fausto Paravidino vince con “Due fratelli” il premio Ubu per la migliore novità italiana, un testo del resto già segnalato nel ’99 dal Premio Pier Vittorio Tondelli, con cui Riccione Teatro scopre la drammaturgia under 30. Paravidino comincia così, ventenne, a diventare un caso nazionale non solo per la critica. Giovanissimo, riesce ad imporsi con un testo, frammentato in 23 quadri, che racconta la storia di due fratelli, uno timido e impacciato, l’altro sveglio e spietato, alle prese con una ragazza che cambierà le vite di entrambi.
Giuseppe Cerrone e Antonio Piccolo, due giovani e promettenti registi napoletani, riprendono il testo di Paravidino e gli conferiscono un tono ancor più realistico, collocando il pubblico in cucina, attorno al tavolo, e rendendolo ancor più partecipe della vicenda.
La pièce è incentrata sui due fratelli, Lev e Boris, che convivono con Erica, una ragazza eccentrica con la quale svilupperanno inconsapevolmente un atipico ménage à trois destinato a finire in tragedia.
La regia di Teatro in Fabula è funzionale agli intenti dell’autore: essenziale, mai invadente, non si perde nelle pieghe di un testo disarticolato e crudele, ma si limita a dare atto alla vicenda, appoggiandosi delicata ai caratteri dei personaggi.
I tre attori, bravi e in parte, fanno ritrovare lo spessore delle caratterizzazioni di Paravidino, si lasciano vivere dal testo procedendo spediti verso il finale, in un testa a testa clamoroso che alterna i toni sommessi di Boris a quelli viscerali e convulsi di Lev e alle battute sediziose di Erica.
La scena viene riempita di tanti riti, a partire dalle lettere registrate dai due fratelli su musicassette e inviate alla famiglia, rassicurata con tante tenere bugie per non comunicare quel senso di dolore avvertito in quell’angusta cucina.
E’ una voce metallica a scandire minacciosa il tempo e il cambiamento nei tre ragazzi: il mondo esterno viene solo lievemente lambito, la narrazione si concentra su quei tre universi disposti attorno al tavolo, pronti ad attaccarsi al minimo affronto.
Gli equilibri cominciano a spostarsi con il “gioco della verità”, subdolo e tentatore, imposto da Erica a Boris, in cui viene fuori tutto quel che già si intuiva nell’aria. Boris, smarrito, esce allo scoperto e si dichiara ad Erica che, segretamente, già l’amava. Inizia un nuovo rapporto, alle spalle di Lev partito per la guerra, che conferirà allo spettacolo quella sensazione di tragicità già annunciata dal sottotitolo.
C’è tanta ironia nel testo di Paravidino, ma anche la drammaticità di una guerra privata che si rifà, con le debite proporzioni, ai grandi drammaturghi del Novecento: agghiacciante e destabilizzante come “La lezione” di Ionesco, claustrofobico come un testo di Pinter, fulmineo e conciso come il “Finale di partita” di Beckett.
DUE FRATELLI. Tragedia da camera in cinquantatre giorni
di Fausto Paravidino
con: Raffaele Ausiello, Simona Di Maio, Stefano Ferraro
scene: Antonello De Leo
regia: Giuseppe Cerrone e Antonio Piccolo
durata: 60′
applausi del pubblico: 1′ 30”
Visto a Napoli, Teatro Elicantropo, il 29 dicembre 2010