Il virus della cultura e la lotta fra poveri

Da domani, con lo slittamento di un giorno a causa del caos di ieri, il nuovo DPCM entrerà in vigore.
La situazione pandemica è davvero critica; la sanità non regge, soprattutto in alcune Regioni, come il Piemonte, che viene da un passato scellerato di tagli e chiusure a strutture che ben funzionavano. Alcune Aziende Sanitarie Locali della provincia di Torino dal 9 novembre sospenderanno tutte le attività ambulatoriali non urgenti: prestazioni specialistiche, prelievi etc.
E chiunque, per lo meno qui nella provincia di Torino, conosca un medico o un infermiere, vi potrà testimoniare quanto critica sia la situazione.
Ma non staremo a ripetere ciò che vanno dicendo tutti i mezzi di informazione.

Staremo semmai a sottolineare come l’ultimo DPCM, che arriva per cercare di contenere una “seconda ondata” del Covid (vissuta, a differenza della prima, con maggiori tensioni sociali, stanchezza individuale a livello psicologico, crisi economica e via dicendo…), crei delle nuove, ennesime fratture interne alla società. E nessuno sta qui a sentenziare che sia facile gestire una simile crisi; eppure certe cose emergono con tale violenza e disagio che ci limiteremo a una breve riflessione.

Da domani tutti i luoghi della cultura ancora rimasti aperti saranno chiusi al pubblico fino a nuove disposizioni (almeno fino al 3 dicembre, ma è difficile crederlo).
Se la prima mannaia si era abbattuta su cinema, teatri e concerti, la seconda colpisce biblioteche e musei (e mostre, parchi archeologici…, insomma tutti i luoghi della cultura). Ora, nessun addetto ai lavori con un minimo di lungimiranza avrebbe scommesso che alcuni di questi luoghi si sarebbero salvati. Diverso è invece il punto di vista dei fruitori di questi servizi: domenica il ministro Franceschini, in un programma tv, aveva già preannunciato la chiusura dei musei; eppure in tanti si aspettavano, ad esempio, che le biblioteche rimanessero aperte, con i servizi ridotti all’osso, chiudendo di nuovo le sale studio per chi era riuscito a riaprirle, ma garantendo almeno il prestito dei libri sulla soglia degli edifici (o addirittura fuori), come era accaduto a maggio, alla riapertura dopo tre mesi di chiusura (“Sì, dai, mica possono chiudere di nuovo anche le biblioteche…”).
Ma essere troppo ottimisti a volte non serve. E così, dall’oggi al domani (con uno slittamento in serata che ha creato ancor più confusione, perché ha costretto una retromarcia a quanto era stato appena comunicato), chiuse le biblioteche, impossibile accedere agli archivi.
E’ la lotta al virus, al virus della cultura.
Far ricadere, ancora una volta, in una grande e unica categoria realtà che operano e svolgono funzioni del tutto differenti tra loro (come ad esempio musei e biblioteche) fa davvero pensare che al Mibact, questi “luoghi della cultura” non li frequentino affatto…

Beh, dirà qualcuno, ma le librerie rimangono aperte! Ed ecco la guerra tra poveri: da oggi i bibliotecari (più o meno precari, con appalti che non si sa ancora se verranno interrotti, con infinite ore da recuperare e chissà quante altre casistiche) penseranno con invidia ai librai, che loro sì possono continuare a far avvicinare le persone ai libri. Con una differenza: che i servizi di una biblioteca sono del tutto gratuiti, e lì sta il loro scopo: permettere a chiunque l’accesso a libri, documenti, dvd, audiolibri, riviste… anche a chi magari non può permetterselo. Per non parlare dei testi di studio.
Ma c’è un’altra differenza ancora, e non da poco. Quando si è palesata l’ipotesi di nuove chiusure, tanti editori italiani hanno fatto pressione sul Governo perché le librerie rimanessero aperte; mentre l’Associazione Italiana Biblioteche non si è espressa, sventolando un imbarazzante silenzio, nonostante tutte le pressioni ricevute dai bibliotecari italiani. [Intanto, dopo la pubblicazione di questo articolo, finalmente anche l’AIB si è fatta viva, con un comunicato indirizzato al Governo in cui sottolinea il paradosso per cui i libri risultano beni di prima necessità, ma le biblioteche vengono chiuse. Forse sarebbe stato meglio farsi sentire prima del DPCM per cercare di ottenere qualcosa, come hanno giustamente fatto gli editori].

Sarà, quella tra gli “sfigati” bibliotecari e i “fortunati” librai, l’unica guerra tra poveri? Non credo. Forse la stessa invidia la proveranno gli estetisti, bloccati dal DPCM, rispetto ai parrucchieri, liberi di operare anche in zona rossa. Sono fratture, sono piccole rivalità che – ancor più in questo periodo – alla società non fanno bene.

Ma c’è la televisione imperante, con i millemila canali disponibili, a garantirci lo svago e a tenerci compagnia durante il confinamento! Mica si penserà che passare serate fra libri, cinema e teatro sia tempo ben speso? Ecco così cercare ristoro a giornate di tensioni facendo zapping serale alla tv, ed imbattersi casualmente in X Factor, vedendo con sorpresa la presenza di pubblico (distanziato, per carità, ma pur sempre presente) nello studio del programma.
A teatro no, al cinema no; ma lì sì. Che poi forse accade anche negli altri programmi tv, ma sono io che l’ho scoperto solo ieri sera…
Del resto, è pur sempre una questione di priorità (o di dove circolano più soldi). Non siete tutti d’accordo?

Ecco, sono queste le cose che andrebbero evitate. Si chiedono sforzi, in maniera diversa, a tutti.
Ma ci dovrebbero essere norme etiche che non eludano con furbizia il buon senso. Che non schiaffeggino in faccia chi, a quell’ora serale, ancora non sa se il giorno dopo potrà andare a lavorare oppure no.

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