Autore di origine libanese e tra i protagonisti del prossimo Festival di Avignone, Wajdi Mouawad viene letto per la prima volta in Italia all’interno della rassegna Face à Face, parole di Francia per scene d’Italia.
Ed è deflagrante. Purtoppo chi scrive non può verificare se la traduzione italiana del testo (appena pubblicata da Titivillus) sia aderente all’originale francese, ma la drammaturgia è viva, diretta, incalzante, progressiva.
Lo spettatore, che crede di essere a teatro per assistere ad una lettura scenica di un testo sulla guerra civile libanese, scopre ben presto che quello è solo uno dei conflitti di cui si parla. E senza neppure rendersene conto si trova sbattuto nel mezzo della tragica incomunicabilità tra una madre e i suoi figli, tra un fratello e una sorella, tra una generazione e l’altra. E scopre che è come una maledizione che si ripete da secoli, una maledizione che ha riempito di rabbia le figlie nei confronti delle proprie madri e che un giorno una donna provò a spezzare con la forza dell’emancipazione personale. Una maledizione che si romperà solo nelle ultime righe del testo, quando una pioggia epica, attesa, temuta e sperata per tutto lo spettacolo, finalmente laverà i superstiti.
”Incendi” penetra dritto nel cuore dell’eterogeneo pubblico del teatro Testoni, che ascolta ammutolito, a tratti commosso, ma soprattutto sorpreso: come soffocato dall’improvviso eccesso d’ossigeno. Parole vive, vibranti, che trascinano dalla solitudine all’amore, dal paradosso alla poesia, e che al tempo stesso costringono a un viaggio più che personale, un viaggio in una storia vicinissima eppure così muta, una storia senza voce, quella della guerra in Libano, lunghissima e mai completamente terminata – al contrario di quanto dicono trattati di pace scritti su aridi pezzi di carta. Una lotta mai risolta del tutto, come ogni conflitto fratricida e intestino. E i figli della guerra sono costretti a portarsi addosso le cicatrici, le mutilazioni e le ferite, che siano del corpo o dell’anima poco importa. I figli della guerra incarnano il paradosso del fratello che uccide il fratello, e solo il pegno, il sacrificio estremo e mortale di una madre dilaniata potrà, forse, ricomporre questo puzzle bruciacchiato, sparso. Ma i figli, e le figlie, della guerra sono anche coloro che riescono ancora a dare un senso all’amicizia, alla solidarietà, al di là della presunta etnia d’appartenenza, e che, proprio in nome di questa amicizia, riescono a sopravvivere alla devastazione del conflitto. I figli e le figlie della guerra preservano la propria umanità attraverso i legami affettivi, in mezzo alla bestialità degli scontri.
Con un testo così intenso è sufficiente, davvero, che i cinque attori in scena facciano bene il loro mestiere, che si limitino a dare voce a quelle parole. Non è necessaria alcuna appariscente ‘mise en espace’ e anzi, quando la mano del regista si fa più forte si prova quasi un fastidio. Come se si volesse per forza direzionare lo sguardo dello spettatore in un senso piuttosto che in un altro.
Citiamo gli impermeabili gialli, che ingabbiano gli attori sin dall’inizio del testo e che non servono ad altro che a far prevedere al pubblico un colpo di scena. Peccato che questo arrivi proprio alla fine, e la poesia della pioggia che lava sia in parte rovinata dalla “telefonata”.
Ma fortunatamente, per la maggior parte del tempo, assistiamo ad una ‘mise en espace’ delicata e attenta, che riesce a valorizzare appieno il testo, rendendo davvero gli attori “strumento” di un contenuto importante. Una buona prova e una sfida provocatoria nei confronti di molti giovani performer, incapaci di muovere emozioni senza costosissimi impianti tecnico-multimediali e blablabla.
Incendi
di Wajdi Mouawad
traduzione di Caterina Gozzi
mise en espace a cura di Stefano Ricci
con Maria Paiato, Anna Gualdo, Vinicio Marchioni, Cristina Spina, Marco Vergani
durata: 1 h 24’
applausi del pubblico: 3’ 24’’
Visto a Casalecchio di Reno (BO), Teatro Comunale A. Testoni, l’11 maggio 2009