Ad Armunia si è festeggiato con gli amici di sempre, come Roberto Latini e Marco Baliani, ma anche con artisti più giovani come Manfredi Perego, Filippo Porro e Simone Zambelli
Dopo due anni siamo tornati a Castiglioncello per celebrare i 25 anni di Inequilibrio, un festival che frequentiamo sin dagli inizi degli anni Duemila, quando lo dirigeva con grande curiosità di intenti e lungimiranza il mitico Massimo Paganelli, sì proprio lui, uno di quei vecchietti che accompagnano le indagini di Filippo Timi su Sky nella serie del “Barlume”.
Elisabetta Cosci, anche lei mitica figura del festival nel suo ruolo di ufficio stampa, che ancora dopo tanti anni è compagna indefessa degli spettatori professionisti che come noi arrivano ad Armunia, ci ha mostrato il video in cui molti degli artisti che lo hanno abitato ringraziano in modo sentito e diversificato questo significativo evento teatrale, che ospita ancora oggi al Castello Pasquini – ma non solo – il meglio del teatro e della danza italiana, grazie all’occhio attento e proficuo di Fabio Masi e Angela Fumarola.
Ed infatti ecco che, nel parco del Castello, tra il folto degli alberi, l’inconfondibile voce di Roberto Latini ci accompagna nei meandri della storia di Adone, raccontata dal bardo shakespeariano, il bellissimo giovane di cui si è innamorata la Dea Venere, e che muore ucciso da un cinghiale.
Latini usa quattro registri per esplicitare altrettanti punti di vista diversi: Amore, il cinghiale, Adone e Venere. E Amore non è un bambino come ce lo hanno fatto sempre intendere, ma un vecchio stanco con le ali non leggiadre ma pesanti, una sorta di armatura, una scheletrica gabbia toracica che non gli impedisce però di usare l’arco; ed è con quello che vuole ancora colpire e colpisce, mentre Adone è diventato un influencer non tanto sveglio che si loda in diretta, leggendo le sue parole, ricordate solo grazie a un gobbo elettronico.
Lo spettacolo è un lavoro ancora in divenire, mutevole e bisognoso di nuovi accenti, ma sempre guidato dalle musiche e dal suono di Gianluca Misiti e dalle luci di Max Mugnai.
Tutti e tre di grande e diversa qualità le tre performance di danza a cui abbiamo assistito.
Dalla costruzione sacrale di un mondo simbolico popolato da creature misteriose, tra dolore, risentimento e tenerezza, nasce “Ombelichi Tenui” di Filippo Porro e Simone Zambelli, straordinario performer che abbiamo conosciuto in “Misericordia” di Emma Dante.
Due corpi diversissimi tra loro per un’ora si intrecciano in modo estenuante in un dialogo tra sentimenti opposti di odio e amore, in un’atmosfera d’attesa dove la morte incombe sorniona.
E’ un continuo andare e venire, che prende forma e si consuma piano piano.
A ricordarlo resta una specie di totem che i due performer hanno con pazienza costruito, illuminato alla fine dalle bellissime luci di Gianni Staropoli.
Un lavoro interessante questo dei due giovani danzatori che, nella sua costante ripetitività, avrebbe bisogno forse di qualche maggiore improvvisa complessità di senso, soprattutto verso la fine.
Ecco poi il danzatore libanese Charlie Prince, che in “Cosmica “, accompagnato dal musicista Joss Turnbull, ci offre un mix straordinario di tradizione e contemporaneità, con quel corpo così potente e fragile nello stesso tempo che si tira, si gonfia, si espande, gioca con i suoni che rimandano a luoghi lontani, intrisi di modernissima sonorità.
Infine Manfredi Perego, che in “Totemica” muove la compagna, la splendida e splendente Chiara Montalbani, alla ricerca di un proprio movimento fra interiore ed esteriore, tra silenzi che la posseggono e le musiche di Paolo Codognola.
Quest’anno, come spesso fa per capire l’evoluzione di alcuni artisti, Inequilibrio ha dedicato una personale a Leonardo Capuano, attore che amiamo da tempo, ben prima di essere stato protagonista del “Macbettu” di Alessandro Serra. Tre i suoi lavori scelti per il focus presentato ad Armunia: “Sistema nervoso”, “Elettrocardiodramma” e “Zero spaccato”, che abbiamo visto nella Sala del Camino.
In “Zero spaccato” Capuano esprime un efficace flusso della memoria, divisa in sei passi di danza simbolica che riverberano pensieri e situazioni diverse: l’agonia, la colpa, il delirio, i ricordi, gli incontri e l’addio di un ‘esistenza che sta per andarsene. Sono ogni volta folgorazioni che provengono da momenti e luoghi lontani, popolati dalla presenza, a volte giocosa, a volte melanconica, di un mondo di persone che si confondono nel gioco quasi ipnotico che Capuano offre allo spettatore.
Queste alcune delle visioni che ci hanno accompagnato nei tre giorni passati al festival. Silenziosamente abbiamo anche captato, nascosti dietro l’Arena di Armunia, la lotta inesausta per una giustizia giusta di Kohlhaas, raccontata per la millesima volta dalla maestria affabulatoria e senza tempo di Marco Baliani; ma anche la storia di Ulisse, rimodulata in modo candidamente straordinario dal bambino Benjamin Auf der Heyde, nello spettacolo di Roberto Abbiati “La vera mamma di Ulisse”, con protagonista Ilaria Marchianò.
Tra le presentazioni di libri e progetti, un altro dei cardini del festival, siamo stati partecipi attivi del volume edito da Bulzoni di Sergio Lo Gatto “Abitare la battaglia” su critica teatrale e comunità virtuale, che traccia la storia, approfondendone i contenuti, della critica teatrale ai tempi del web, ma non solo.
Infine, del nuovo significativo spettacolo di Sotterraneo “L’Angelo della Storia” vi parleremo presto, con un approfondimento dedicato.