Si è conclusa così la residenza di prosa dell’attore Matteo Cremon su “Oscillazioni” di Vitaliano Trevisan, con un sipario che si apre, finalmente, anche per tutti quelli a cui il teatro è mancato, e non poco, nella città di Vicenza.
L’inconfondibile rosso intenso della Sala del Ridotto del TCVI spalanca i battenti nella serata di martedì 30 giugno, dopo mesi e mesi di chiusura totale, e si prepara ad ospitare la regia ideata da Valentina Brusaferro per un testo che aveva già visto la luce per altre vie, ma che inizia in questi mesi i suoi primi passi per un ritorno sulle scene completamente rinnovato e inedito.
Prima ancora che ogni cosa avvenga, quando finalmente gli spettatori in sala, ridotti ad un centinaio rispetto ai 400 posti normalmente disponibili, si lasciano avvolgere da quel momento di oscurità totale che precede ogni spettacolo, uno spazio salvo in cui davvero tutto può ancora accadere, si è subito presi dalle suggestioni sonore di Andrea Santini: una serie di variazioni sui temi di vari tipi di rumore bianco che, oltre ad essere uno degli aspetti in assoluto più riusciti di tutta la messa in scena, è senza dubbio anche la catapulta contemporanea capace di spianare la strada quel monologo a metà tra thriller e indagine psicologico-esistenziale che di lì a poco andrà a sovrapporsi a quei suoni così efficaci.
Quando dopo qualche minuto arrivano le prime luci sulla scena si iniziano ad intravedere un tavolo con delle sedie, una poltrona imbottita a ridosso della platea e poco altro: tutto all’insegna dell’essenzialità e della freddezza gelida del nostro tempo, con il suo minimalismo perturbante: davvero siamo tornati a teatro.
Con un “allora” ad aprire il parlato dello spettacolo ci si cala presto nel mondo di Trevisan: un panorama, quello aperto dalle parole recitate da Cremon, che è poi lo stesso di quello che lo scrittore delinea nelle pagine di “Works”, il suo ultimo libro uscito per Einaudi Stile Libero nel 2016. Un Veneto tutto in provincia, abbandonato al gusto da inceneritore, al compiacimento quasi ossessivo per il sentore industriale, per gli stradoni e le provinciali, le circonvallazioni e viale Uruguay, o viale Dalmazia, tutti luoghi sempre uguali a sé stessi, che di notte cambiano volto tappezzandosi di una miriade di prostitute: gli spermodromi del Nord-Est affiancati, a sprazzi, al Veneto delle villette tutte rigorosamente a schiera, in cui l’unica forma di vita dignitosa è quelle delle coppie che dedicano anima e corpo al proprio cane.
Una geografia tanto letteraria quanto teatrale ed umana, nella quale sinistramente si inseriscono presto le circonvoluzioni di merda esistenziale compiute dal protagonista, impersonato sul palco da Cremon: un divorziato, o qualcosa di simile, che non vuole essere altro che il rappresentante perfetto di una sorta di storia standard del nostro tempo: più che pezzi di vita, quindi, una vita a pezzi è quella evocata in modo lento e graduale in tutto il monologo, lo sguardo di fallito su sé stesso, che non si arrende però a come sono andate le cose, grazie ad una indefettibile incazzatura senza alcuna redenzione possibile.
Un personaggio problematico, che senza alcun dubbio racconta un modo di essere del nostro più nostro presente: un affondo davvero tale, in quelle oscillazioni costanti in cui tutti ci troviamo a vivere, in quell’andare sempre su e giù che non porta altro che ad incistarsi su sé stessi, e poi alla morte.
Uno stillicidio riflessivo al quale non mancano momenti di alta intensità, che la regia ben sa affiancare ad un’efficace illuminazione – terrorizzante, fredda e dal basso – a ridosso del pubblico, con frasi pronte a ricordare a tutti che “chi dice no sceglie davvero, chi dice sì non sceglie un cazzo”, e che quando ce ne rendiamo conto è già troppo tardi.
Non potevamo insomma ritornare a teatro anche in Veneto con qualcosa di più adatto e magistralmente scelto, uno spettacolo per il quale fa piacere sedersi in platea sentendo che ancora esiste, e vive, uno spazio di ricerca.
OSCILLAZIONI
monologo di Vitaliano Trevisan
con Matteo Cremon
progetto scenografico Stefano Piermatteo
suono e audiovisivo Andrea Santini
regia Valentina Brusaferro
per i linguaggi proposti e i temi trattati l’evento è consigliato ad un pubblico adulto
durata: 1 h
Visto a Vicenza, Teatro Comunale Città di Vicenza, il 30 giugno 2020