Le relazioni pericolose di Carmelo Rifici e Livia Rossi: tra dispositivi vintage, assalti di scherma e un lupo

Le relazioni pericolose (ph: Luca Del Pia)
Le relazioni pericolose (ph: Luca Del Pia)

Al Teatro della Tosse una ricca riscrittura del romanzo di Choderlos de Laclos che coinvolge Artaud, Cechov, Pasolini e molti altri…

Sono molte, moltissime le cose che si possono dire su “Le relazioni pericolose”, lo spettacolo di Carmelo Rifici prodotto da LAC, di cui è direttore artistico, che ha debuttato lo scorso anno a Lugano e che è andato in scena al Teatro della Tosse di Genova ad aprile.
La prima è che, a partire dalla sua stessa struttura compositiva, non è una trasposizione drammaturgica del romanzo di Choderlos de Laclos, né del famoso film del 1988 di Stephen Frears, bensì qualcosa di molto diverso.

La storia, a grandi linee, è il sottile e crudele gioco di manipolazione erotica operato dalla cinica Marchesa de Merteuil in combutta con il seducente Visconte di Valmont, ai danni di una giovane coppia di amanti, Cécile e Danceny, e di Madame de Tourvel, nobile moglie esempio di virtù e fede; il gioco della Marchesa e del Visconte porterà alla corruzione e alla distruzione di tutto ciò che prima era puro, verginità, giovinezza, morale, trascinando i carnefici stessi nell’inesorabile spirale che li condurrà alla tragedia, diventando vittime di quelle “relazioni pericolose” da loro innescate.

La drammaturgia proposta è una riscrittura completa del punto di partenza letterario, che non ne costituisce che un’impalcatura, uno scheletro, una sfumata – seppur presente – pista diegetica, sulla quale si intarsia una composizione originale, firmata dal regista insieme a Livia Rossi, che partecipa allo spettacolo anche come attrice nel ruolo di Cécile.
La riscrittura tiene la struttura epistolare dell’originale, con una pluralità di mittenti e destinatari, e gli intrecci narrativi si fondono con una grande quantità di referenti letterari e filosofici di ogni tipo, da Nietzsche a Pasolini, da Simone Weil a Dostoevskij, persino passando per Artaud e Cechov. Dunque, se la drammaturgia è un continuo susseguirsi di lettere pregne di filosofia e poesia a più livelli, le missive prendono forma e corpo attraverso gli attori, tutti veramente notevoli, protagonisti delle vicende di De Laclos.

Su tale struttura, Carmelo Rifici si adopera in una messa in scena elegante ed esteticamente inconsueta: si mettono da parte le atmosfere settecentesche parigine (vagamente richiamate nei sobrissimi e bianchi costumi dei nobili abbinati però a scarpe da tennis) in favore di una scena razionalista, con un vintage elegante dato da divanetto e poltroncina in pelle anni ’60, ma soprattutto da un’ampia batteria di attrezzatura audio e video che si dispiega sulla scena: due lavagne luminose, un mangianastri, un giradischi, una serie di diversi microfoni, anch’essi pezzi “d’epoca”.

Le attrezzature video sono le macchine detonatrici di molta dell’azione scenica, in quanto sono gli attori stessi che agiscono da operatori, da attrezzisti, da addetti alle proiezioni, uscendo dunque dal “lavoro dell’attore” e assumendo di volta in volta la funzione di “operai” della scena: accendono le lavagne luminose, vi sistemano i lucidi, ne orientano i fasci luminosi, vi sovrappongono immagini, raschiano inchiostro secco a rivelare disegni e colori, vi colano sopra gocce di tintura.
Ad ogni azione fisica corrisponde una reazione proiettata, e la scelta visiva, firmata da Daniele Spanò, si muove nella direzione di uno straniamento doppio, dato dalla scelta di immagini “minime” (un fiore, una foglia, qualche testo) filtrate dal fascio alogeno della macchina, che proietta ora sul fondale ora sul volto o sul corpo degli attori, a creare riquadri e inquadrature che danno alla scena viva un taglio fotografico.

Il progetto sonoro è di Federica Furlani che, agendo in persona sul fondo della scena come un demiurgo di un dj set di alta levatura, dirige il suono orchestrando un tappeto elegante che è un “basso continuo”, passando dai gracchianti suoni elettrici alle note del clavicembalo, finanche a suonare live; tale continuum si estende dal basso su un allestimento sonoro-scenico che è fatto di un continuo cambio di microfoni, di voci distorte dalle macchine datate oppure provenienti esse stesse da dispositivi vintage, non solo il 45 giri ma, ad esempio, anche un mangianastri che viene calato dall’alto, più come una “machina ex deus” che come un deus ex machina.

Altro richiamo, di non poco conto, è la scherma. Non solo perché durante lo spettacolo vi sono due assalti di scherma curati da Alessandro Sciarroni, ma anche perché gli abiti sportivi, le divise bianche con tanto di maschera e corazzetta, indossati da Livia Rossi/Cécile e Flavio Capuzzo Dolcetta/Danseny, entrano a pieno titolo a comporre il quadro scenico ed estetico, conferendo alla coppia dei due innamorati una precisa valenza cavalleresca, bellica e atletica allo stesso tempo, ricordando che l’attore è un “atleta del cuore”, per dirla con Artaud.
Il duello diventa pertanto paradigma fisico di queste relazioni pericolose e, per sineddoche, lo diventa anche la guerra, massacro vero e proprio secondo il giogo dei perfidi aguzzini che, seduti e immobili dalle loro poltrone, muovono le vittime e le tante trame come nel gioco degli scacchi o nelle vicende tragiche di uno scontro bellico.

Un ulteriore elemento che corrobora le significanze del pericolo e della crudeltà mortale degli eventi è l’ingresso, a metà rappresentazione, di un lupo imbalsamato in una teca di vetro, sospinto dall’attore-attrezzista sui binari delle macchine: pericoloso e immobile, animale e oggetto, arriva in scena portatore di un senso estetico trascendentale, come un pezzo da museo della morte (o della vita), simbolo astratto e tuttavia corpo fisico, addirittura tangibile, se non fosse per il vetro; viene sospinto nella scena e portato via dopo poco, ce ne è concessa la vista ma per breve tempo, paradossalmente come accade coi carri di una parata oppure come davanti alla Gioconda o al Cristo velato: guardare ma non toccare, e solo per poco.

Si sottolinea la grande bravura degli attori tutti, il cui lavoro si sposa molto con la logica della dualità del conflitto: la recitazione azzeccata di Elena Ghiaurov, Edoardo Ribatto (infortunato ad una gamba, sta sempre seduto e i suoi movimenti scenici sono stati affidati ad un suo alter ego “fisico”, l’attore Ugo Fiore – non male come resa scenica il dover dividere un personaggio in un corpo parlante e uno movente – ) e Monica Piseddu, nei ruoli della Marchesa, del Visconte e di Madame de Tourveil, risulta volutamente più “di forma” e più strutturata, oltre che inevitabilmente più matura, rispetto a quella della giovane coppia Rossi-Capuzzo Dolcetta, che centrano il colpo con un uso molto intelligente e illuminante dei registri interpretativi e corporei, nei momenti di scherma, nei sussulti amorosi incisi su un vinile, nelle urla sospese sollevate a mezz’aria sulla scena, nelle reciproche dichiarazioni d’amore su un microfono ad asta.

Rifici convince con uno spettacolo che, sebbene duri quasi due ore, è un’apoteosi di originalità, intarsiata su un esercizio di riscrittura raffinato e totalizzante, di rara eleganza, scarna e austera, che gioca sulla dualità della crudeltà fredda e cinica del carnefice, simboleggiata dalle lampade luminose e dalle apparecchiature d’epoca, contro la viva disperazione della vittima, corpo vibrante e urlante, ora appeso a mezz’aria, ora messo a terra dallo schermidore avversario nel duello.

LE RELAZIONI PERICOLOSE
Ispirato a: Il teatro e la peste, Antonin Artaud; Il castello interiore, Teresa d’Avila; Vita, Teresa d’Avila; Massa e potere, Elias Canetti; Della guerra, Carl von Clausewitz; L’idiota, Fëdor Dostoevskij; Portando Clausewitz all’estremo, René Girard; Le relazioni pericolose, Christopher Hampton; Lettera a Lord Chandos, Hugo Von Hofmannsthal; Poesie, John Keats; Le relazioni pericolose, Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos; L’anticristo, Friedrich Nietzsche; Lettera a don Giovanni Rossi, Pier Paolo Pasolini; Justine, Donatien-Alphonse-François de Sade; La persona e il sacro, Simone Weil; Sovvertimento dei sensi, Stefan Zweig; Lettera di una sconosciuta, Stefan Zweig e al Cantico dei Cantici.
Frasi citate da Il gabbiano, Anton Cechov; I promessi sposi, Alessandro Manzoni
Drammaturgia: Carmelo Rifici, Livia Rossi
Ricerca delle fonti: Carmelo Rifici, Ugo Fiore, Livia Rossi
Regia di Carmelo Rifici
Con: Flavio Capuzzo Dolcetta, Federica Furlani, Elena Ghiaurov, Monica Piseddu, Edoardo Ribatto, Livia Rossi
Disegno sonoro: Federica Furlani
Impianto scenico: Carmelo Rifici, Pierfranco Sofia
Disegno luci: Giulia Pastore
Progetto visivo: Daniele Spanò
Costumi: Margherita Platé
Drammaturgia del corpo: Alessandro Sciarroni
Assistenti alla regia: Ugo Fiore, Simon Waldvogel
Costumi d’epoca realizzati presso la Compagnia Italiana della Moda e del Costume
e da Giulia Alvaro
Ricerca tecnologie audio e sonorizzazione: Brian Burgan
Disegno e realizzazione attrezzeria: Matteo Bagutti
Produzione LAC Lugano Arte e Cultura
Si ringraziano Perry Tièche della RSI Radiotelevisione svizzera per la fornitura dei dispositivi audio d’epoca e Fabio Liberatore per la consulenza e il supporto tecnico
Naturhistorischen Museum Bern – Eine Institution der Burgergemeinde Bern per il gentile prestito dell’esemplare lupo (Canis lupus)

Durata: 1h 55’
Applausi del pubblico: 3’

Visto a Genova, Teatro Della Tosse, il 6 aprile 2023

 

 

Scarica il Daily K di questo articolo

0 replies on “Le relazioni pericolose di Carmelo Rifici e Livia Rossi: tra dispositivi vintage, assalti di scherma e un lupo”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *