Un buio soprattutto rosso, poi verde, sempre bianco, abbagliante. Per Carmelo Rifici è accecante il buio che abita l’Italia. Buio è quell’annebbiamento collettivo che è malattia dilagante, effetto (indesiderato) di atteggiamenti individuali. Ne sono esempi i nostri gesti, fatti e cronache quotidiane o piccoli episodi locali, individuali: finiscono tutti in un’unica spirale di egoismo che sta diventando indifferenza, cieca, appunto.
Lo spettacolo “Buio”, in scena a Milano fino al 17 novembre, mette insieme tre storie prese da un testo di Sonia Antinori, trame separate unite proprio dallo stesso buio. Quel non vedere che, sotto forme diverse, si manifesta in qualsiasi appartamento di qualsiasi palazzo; quel non vedere che è un costume nazionale riprodotto, emesso e diffuso in ogni salotto dall’apparecchio televisivo. La tv sceglie cosa mostrare, una selezione della verità che diventa omissione, ma si guarda per vedere la realtà. Un paradosso? Ironia tragica, e globale, che Rifici porta in scena.
Il palco è un’unica stanza per le tre storie prese a esempio: capitoli dello stesso libro che, per oltre due ore, rimangono aperti. Si incrociano tra un paragrafo e il successivo, in intermezzi assordanti, allucinanti e poetici, coreografati da Alessio Maria Romano. Si incrociano inevitabilmente tra le quattro mura, sempre le stesse. Una libreria cambia posizione, ordine e disposizione dei soprammobili per essere diversa, per adattarsi alle storie, ma ancora è la stessa, fatalmente. Un divano solo accoglie a turno ospiti, fratelli, compagni di una vita e quelli mancati, eppure rimane un luogo di solitudine e sempre più di isolamento. Perché non vedere impedisce di comunicare: se non vuoi vedere che sei malato, non capisci perché ti dico che puoi guarire. Se la guerra ti ha portato a non voler più vedere, rifiuti di capire. Se non puoi più vedere, credi solo di capire. A questo punto, l’isolamento non è voluto, ma obbligato. Anche se “in un unico grande agglomerato urbano del nord Italia”, come spiegano le note di regia.
Il progetto firmato da Rifici e Romano, e risultato di un lavoro durato due anni, riesce a mettere in luce il buio di oggi: lo suggerisce delicatamente rinunciando alla polemica, ma con la stessa forza di un grido. E lo fa mettendo in scena di tre storie che citano la guerra a Sarajevo, la morte di Ilaria Alpi insieme alla fine della dittatura in Romania; tre grandi eventi storici, e mediatici, mostrati dalla tv, finché qualcuno non ha abbassato il volume o cambiato canale. Così Rifici mostra ferite di ieri oggi ancora aperte, aggravate dalle nuove. “Buio non ha altro obiettivo che quello di raccontare una storia, anzi solo degli episodi di una storia”, nell’intenzione del regista, che ha affiancato dialoghi secchi e quotidiani, oggetti, dettagli linguistici, di costume e di abbigliamento, a momenti fantastici di pura irrazionalità, dove i personaggi sono mossi dalle loro visioni, allucinazioni. Animati da Romano, gli attori si agitano in ‘tableaux vivants’ carnali e colorati. Vivi e positivi.
Ecco un altro paradosso: il lume della ragione appare buio. “Voglio dare allo spettatore la libertà di legare insieme gli episodi o di lasciarli separati, di creare un legame tra i quadri e i sogni, o di non legare niente e abbandonarsi alle parole degli attori”. Caratteristica dello spettacolo è proprio la ricchezza di spunti, suggestioni e interpretazioni. Tanta carne al fuoco che, in oltre due ore, rischia però di essere troppa. Diventa valore aggiunto solo più tardi, una volta a casa, o meglio ancora il giorno dopo, in mezzo e davanti alla realtà che circonda, quando ognuno, nel proprio isolamento, riscontra il buio e ci riflette.
BUIO
progetto di Carmelo Rifici e Alessio Maria Romano
testo: Sonia Antinori
con: Ilenia Caleo, Alessia Giangiuliani, Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Emiliano Masala, Francesca Porrini, Alessio Maria Romano, Raffaella Tagliabue
movimenti coreografici: Alessio Maria Romano
scene e costumi: Margherita Baldoni e Guido Buganza
regia: Carmelo Rifici
produzione: Fondazione Teatro Due
in collaborazione con l’associazione Proxima Res
si ringrazia Fondazione Ilaria Alpi
durata: 2h 10’
applausi del pubblico: 2’
Visto a Milano, Tieffe Teatro Menotti, il 9 novembre 2010