Come nei giorni migliori. Diego Pleuteri e Leonardo Lidi nella vita amorosa di una coppia

Come nei giorni migliori (ph: Luigi De Palma)
Come nei giorni migliori (ph: Luigi De Palma)

Alessandro Bandini ed Alfonso De Vreese sono i protagonisti della nuova produzione del Teatro Stabile di Torino

«Non uscirete di qui prima che v’abbia messo davanti uno specchio in cui vi vedrete fino in fondo all’anima».
(Amleto, III 4)

Si immagini di trovarsi dinanzi a una vicenda che riguarda tutti, scritta, diretta e interpretata in maniera singolare; si pensi, allora, all’effetto catartico che può produrre lo scoprirsi, in essa, riflessi (un riverbero che non ha nulla a che vedere con quei processi biechi di immedesimazione, di rispecchiamento d’un “miserere” personale).

Ecco, alla base dell’ultima drammaturgia di Diego Pleuteri, nuovo tassello della “regia a spettacolo unico” di Leonardo Lidi (che con ogni probabilità respingerebbe al mittente una formula simile) vi è esattamente questo.
“Come nei giorni migliori”, tutto avviene quasi per caso: un incontro tra Billy e Jessica, un po’ di strizzacervelli, a questo punto si «Ama…» e poi «… fai ciò che vuoi». Salvo che l’intreccio a un certo punto si imbroglia, i piani si confondono: le due geometrie di scena – l’una scattosa e verticale, l’altra più morbida e orizzontale – si fanno sghembe. All’occorrenza, tuttavia, la matassa si dipana, preparando un finale sospeso fra i più svariati se.

“Come nei giorni migliori”, oltre a riscoprire il piacere di raccontare una storia, ragiona su che cosa significhi amare, “su cosa compone davvero un amore”. Lo spettacolo – recita infatti la scheda di sala – diventa “la lente per questa ricerca […] ciò che conta sono le loro anime dentro questo sentimento inesplorabile. Piccole cose, gesti quotidiani, gli scontri, gli avvicinamenti, il segreto inesprimibile di tutto ciò che costruisce la vita di una coppia, nelle sue gioie e nei suoi dolori”.

Nel dramma di Pleuteri – già assistente di Lidi nel recente “Misantropo” e allievo della Scuola per attori del Teatro Stabile di Torino, di cui il regista associato è vicedirettore – sembra non esserci spazio alcuno per il dramma (si scusi il giochetto di parole): il ritmo battente e fluido delle battute – ora ironiche, ora soppesate, ora aperte a gustosi inside jokes – soffoca sul nascere qualsiasi empito nevrotico, qualsiasi morbosa fissazione, lasciando spazio al dolore e all’amore nella loro umana “veritade”.
A scandire i tempi di queste eponime giornate, le virate cromatiche dei costumi, saggiamente filati da Aurora Damanti: il bianco, il rosso e il nero. Ma non è un romanzo di Stendhal, quanto piuttosto un altro affondo nel compromettente magma delle relazioni umane, attuale perno d’interesse – si direbbe – della ricerca teatrale di Leonardo Lidi. Un’arte, la sua, che profuma d’antico, anche qualora si approcci alla nuova drammaturgia.

Azzeccata la scelta di cassare la platea del Teatro Gobetti di Torino, ri-adibendola a spazio d’azione prospiciente la gradinata (e risolvendo così, in un sol colpo, quegli ovattanti problemi d’acustica del palcoscenico ottocentesco).
A muoversi in questo reticolo disegnato da Nicolas Bovey (lievemente accennato, specie sui bordi, da qualche presenza materica), due “fantocci rilegati in pelle”: l’umanità di Jessica merita pietà, compassione; dell’umanità di Billy, invece, dovremmo aver paura. Si tratta – in fin dei conti – di due spettri ibseniani, fasci di radiazioni offerte alla vista: spectrum, spĕcŭlum, spectāre, spettatore (la figura etimologica non è però opera di chi scrive, ma un furto al regista). Nel loro essere speculi consuetudinis, imaginēs veritatis, entrambe le manifestazioni si caricano d’un profondo realismo – ben altra cosa da quel naturalismo villano a cui siamo assuefatti da tempo.
Il mito contemporaneo agito con forza attorale sul nudo pavimento impressiona a tal punto la retina degli astanti da indurre in molti il pianto. Cala così il sipario, si fa per dire, su questi giorni un po’ “da cani”, che – per fare un dispetto ai Florence and The Machine – sono tutt’altro che finiti.
Uno spettacolo d’una bellezza disarmante.

p.s. (se concesso) Si precisa in coda che Billy e Jessica sono due uomini: per la precisione, Alessandro Bandini e Alfonso De Vreese. Ma vista l’universalità della scrittura, potrebbero essere anche Alessio e Tiziano. Difficile comunque immaginare – questo sì – una sintonia paragonabile cambiando l’organico. Si confida dunque in una durevole tournée (magari a partire dalle sale di Regione Lazio).

COME NEI GIORNI MIGLIORI
di Diego Pleuteri
con Alessandro Bandini, Alfonso De Vreese
regia Leonardo Lidi
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti
suono Claudio Tortorici
assistente regia Alba Maria Porto
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

durata: 1h 35’ senza intervallo
applausi del pubblico: 6’ 11’’

Visto a Torino, Teatro Gobetti, il 2 maggio 2023
Prima assoluta

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