C’è un aspetto sublime di questo lavoro, per come cerchiamo di interpretarlo in un tempo così sbandato: è il potersi trovare, in una logica che non sia quella dello striminzito servizio per la tv di un minuto e mezzo, seduti in poltrona, come per il tè o un rhum, davanti a leggende del teatro a parlare del senso dell’arte.
Uno magari può sognare per una vita di bere un whisky con Linda Marlowe e poi, di colpo, te la ritrovi davanti, dopo lo spettacolo, con una lampada arancione che soffonde i profili in controluce.
E’ lì, la donna vera, concreta e assoluta, massima interprete di una femminilità plurale, ti guarda, allarga il suo sorriso, e di colpo ti trovi naufrago fra immaginari pensieri superalcolici che arrivano ad affollare la mente.
Otto. Un numero che simbolicamente richiama l’infinito matematico. Tante sono le donne che Linda Marlowe decide di estrapolare dagli scritti di Steven Berkoff per portarle in scena in uno one woman show. Otto, quindi infinite.
Nel suo “Berkoff’s Women”, ospitato per la prima volta in Italia nel focoso e caotico spazio del Teatro della Contraddizione, una delle poche fucine libere in territorio meneghino, l’interprete sa essere dolce e cannibale, santa e puttana, femmina e mascolina in una galleria degli specchi dell’umanità.
Alcune riflessioni scaturiscono dall’incontro con questa grandissima interprete del teatro. La prima riguarda le scene italiane, che solo dieci anni dopo il debutto di “Berkoff’s Women” (dopo che ha fatto il giro del mondo, con oltre 500 repliche dall’Australia al Sud America, dall’India all Sudafrica), riesce a portare questo lavoro all’attenzione del pubblico di casa nostra. Un pubblico spesso fin troppo distratto da un superaffollamento di spettacolini di quart’ordine, tanto da faticare a riconoscere poi le perle assolute, perchè preso in una logica della rappresentazione scenica ancora tristemente piccolo-borghese, legata all’élite dei luoghi più che alla qualità delle messe in scena.
La seconda riflessione riguarda lei, Linda Marlowe, che in una scenografia fatta di niente, si trasforma, nel breve tempo di un sorso di un simbolico champagne, da donna epica della tragedia greca ad acida zitella moderna, in un testo che mescola otto frammenti estratti da “Decadence”, “Greek”, “East”, “Agamemnon”, “Sturm und Drang” e “From My Point of View”. Parliamo quindi degli spettacoli più celebri di Steven Berkoff, con cui lei ha lavorato per oltre vent’anni, interpretando quasi tutti i suoi personaggi femminili. Quasi. E proprio dall’indagine su quelli che mancavano è nato questo spettacolo. Qui la colossale potenza interpretativa dell’attrice si tende elastica o si rattrappisce secca fra le pieghe più minuscole della misantropia dell’autore britannico, fino a diventare immagine di gesso, di silicone, che si addentra in ogni vestibolo vocale, in ogni parola, in ogni metafora.
Cosa può essere, nel salottino del Teatro della Contraddizione, dopo uno spettacolo così, sedere in poltrona a sorseggiare il metaforico whisky con lei, che è una, che è otto, che è infinite… un sogno che solo a teatro! Cheers.