La soddisfazione negli occhi di Marco Baliani, di fronte alla nostra videocamera, è tangibile.
Non capita a chiunque di vedersi assegnata una “personale di teatro”. Intanto perché ci vuole una grande storia, e poi perché ci vuole una poetica forte.
Ecco perché, a pochi minuti dal termine dell’ultimo spettacolo, si blocca un istante quando gli chiediamo cosa si prova nel vedersi dedicare un focus che poi, in altri termini, è un importante riconoscimento.
La sua è un’avventura partita trent’anni fa in giro per le scuole italiane. Poi il colpo di scena, l’invenzione di Kohlhaas e la scoperta inconsapevole di quel teatro di narrazione che non smette di attirare pubblico. E da lì un vortice di incontri, laboratori, momenti di formazione che lo hanno visto formare diversi artisti, gruppi, compagnie, scuole.
Al Teatro Menotti di Milano, recentemente salvato dalla minaccia della chiusura grazie al mecenate Filippo Perego che ne ha scongiurato la destinazione a parcheggio condominiale, c’erano proprio tutti. Noi abbiamo seguito i sette spettacoli programmati a ciclo continuo dal 27 gennaio al 9 febbraio, compresi gli incontri di approfondimento aperti e, con noi, moltissime persone per tutta la rassegna. Un vero excursus nel teatro di Baliani, dal Kohlhaas datato 1989 – che ha superato ormai di molto le 1000 repliche – a “Una notte sbagliata” del 2019. Dal teatro di narrazione nella sua forma più pura (dove l’attore conosce tutta la storia che racconta al pubblico) alla post narrazione del racconto a più voci, dove proiezioni, suoni e tecnologie arricchiscono la scena e la percezione dello spettatore.
Uno sforzo importante per un attore, autore e regista che ci confida il suo scarso interesse per il teatro “di regia” tradizionalmente inteso, e allo stesso modo vuole prendere le distanze da parole come “metodo” quando si parla di pedagogia teatrale. Baliani, da sempre, preferisce restare nel campo che gli è più consono, quello dell’artigianato fatto di tanto mestiere, di incontri, di gruppi prima che di singoli artisti. Nella chiacchierata si dice addirittura favorevole ad un successore che porti avanti il suo Kohlhaas, certo non oggi dove riesce ancora, dopo una vita, a riempire i teatri con quel racconto intriso di sete di giustizia radicato in quegli anni ’70 che sono, da sempre, il primo motore della sua poetica.