Nei bassifondi di Koršunovas un laboratorio di verità

Oskaras Korsunovas|I Bassifondi
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I Bassifondi
I Bassifondi (photo: © D. Matvejavas)

Nell’incontro che precede il debutto dell’ultimo spettacolo della OKT/Vilnius City Theatre, “I bassifondi” di Gor’kij, il regista Oskaras Koršunovas parla al pubblico dal palco della sala Cieslak, ridotto del Teatro Era di Pontedera.
Roberto Bacci
, direttore artistico del teatro, è seduto accanto a lui per rivolgergli alcune domande sulla genesi di questo nuovo lavoro. È subito chiaro per tutti che “I bassifondi”, in prima nazionale, sarà uno spettacolo fuori dall’ordinario.

Koršunovas sottolinea come lo spettacolo sia il risultato organico di 12 anni di lavoro della compagnia, e come si riallacci alla ricerca avviata col precedente “Amleto”. Se infatti inizialmente mettevano in scena testi classici e contemporanei con un’attenzione particolare alla “suggestione visuale”, nel tempo il lavoro dell’attore è diventato la questione centrale della loro ricerca.
Affrontare un testo come quello di Shakespeare ha significato per Koršunovas doversi porre le domande esistenziali fondamentali, senza poter rimandare una risposta, così come fa lo stesso Amleto: “Chi siamo noi come attori?”, “cosa significa per noi essere attori?”.

Nell’Amleto l’azione si svolgeva proprio nei camerini degli attori, ovvero il luogo in cui nasce il teatro secondo Koršunovas, perché è lì, nei camerini, che l’attore comincia a specchiarsi e a chiedersi: “Chi sono io?”. Non c’erano né quinte, né macchine teatrali nascoste, per favorire un rapporto totalmente onesto con lo spettatore, al quale l’attore non può e non deve mentire.

Ne “I bassifondi” questo approccio esistenziale al teatro è portato alle estreme conseguenze: gli attori sono chiamati a un grado di sincerità e di apertura ancora maggiore, perché la distanza col pubblico viene ridotta, rendendo più complicato proprio quel “mentire”.

Secondo Koršunovas, che aveva già lavorato a una messa in scena convenzionale de “I bassifondi” con la compagnia nazionale di Oslo, non è possibile costruire i personaggi di quest’opera alla vecchia maniera, cioè con trucchi, costumi e recitazione: i personaggi, al contrario, devono scaturire dall’incontro con il vissuto degli attori, devono essere raccontati attraverso le loro esperienze personali. Il lavoro dell’attore cioè non può più essere quello di fantasticare sulle esperienze di altri (così come raccomandava il primo Stanislavskij, che Koršunovas cita spesso nella conferenza), creando un’illusione più o meno credibile di verità. Il lavoro dell’attore, per Koršunovas, è proprio quello di dire sempre la verità: in che modo le esperienze dei personaggi entrano in contatto con noi? Cosa ci comunicano? L’attore dovrà essere sincero su questo, e il personaggio sarà un risultato, potrà crearsi “nella mente dello spettatore”. In ultima istanza, per Koršunovas il teatro esiste solo e soltanto nell’immaginazione dello spettatore.

Oskaras Korsunovas
Oskaras Korsunovas

Ecco dunque che il regista rinuncia a tutti gli elementi descrittivi, illustrativi, per puntare a una verità essenziale, al nocciolo esistenziale del testo di Gor’kij. Non si tratta più di mettere in scena un ambiente degradato, ma di raccontare la degradazione: la condizione di uomini che sono “nei bassifondi dei bassifondi”, perché per due volte perdono tutto. Per Koršunovas, infatti, è come se, in questo testo, il beckettiano Godot – ossia il vecchio Luka che riporta la speranza nella comunità dei bassifondi, per poi sparire improvvisamente – fosse arrivato e se ne fosse riandato, lasciando tutti in uno stato di prostrazione ancora maggiore.

La scena che ci compare di fronte alla sera, nella sala grande del Teatro Era, è quella di una conferenza stampa. Gli attori sono tutti schierati dietro a un tavolo, sistemato giù dal palco, sulla platea, a pochi passi dagli spettatori. Sarà uno spettacolo “interattivo”, Koršunovas l’ha anticipato, per cui questa vicinanza è necessaria.

Mentre entriamo e ci sistemiamo sulle gradinate, gli attori ci osservano dalle loro sedie. Sguardi limpidi e attenti. Sul tavolo poche bottiglie piene di acqua/vodka, bicchieri e un piatto al centro, ripieno di gallette che sembrano ostie. Pochi gli altri elementi scenici: sulla sinistra una catasta di cassette vuote e uno schermo sul quale scorrono alcune battute del testo, a destra una cartina dell’Europa, un telo su cui vengono proiettate delle immagini, e altre sedie per gli attori fuori scena, che tuttavia rimangono a vista.

Quando gli attori cominciano a parlare è come se improvvisassero. Non c’è alcun segnale evidente di inizio spettacolo: le luci restano accese sulla platea (si spengeranno nel corso dello spettacolo), e gli attori si rivolgono a noi proprio come in una conferenza. Il pubblico diventa in effetti un altro personaggio, a cui gli attori raccontano se stessi, le proprie storie. Scherzano, ci offrono da bere e da mangiare, coinvolgono spettatori terrorizzati in piccole azioni sceniche. Sono presenti, qui e ora, e si interrogano con noi sul tema della verità e del mentire, parole che riecheggiano nel testo, così come nella conferenza di Koršunovas.

“Io so cosa è il vero amore”, “Se credi in qualcosa, esiste”, “Cosa è la verità? L’uomo. Ecco la verità”, “Sembra di essere a teatro”. Le battute si susseguono, e si ripetono ciclicamente sul piccolo schermo a sinistra. Quella che era cominciata come una conferenza stampa diventa qualcos’altro: compaiono i personaggi, che si interrogano sui loro destini penosi. Ma la loro è un’agonia, è evidente che non possono fare più niente per cambiare le loro vite: possono agitarsi per un momento, aggredirsi l’un l’altro, persino cantare, ma non faranno che sprofondare ulteriormente.

In questo IV atto, l’unico che Koršunovas decide di rappresentare, non c’è più alcuna possibilità di riscatto, non c’è salvezza. Perfino il proiettore che fino a poco prima mostrava immagini naturali, paesaggi senza l’uomo, animali iscritti nella bellezza del creato, viene spento. Questo personaggio, l’Attore, ci dice che un tempo aveva recitato la parte del becchino nell’Amleto, ma adesso lo vediamo perduto, tremante e confuso dall’alcol: tenta di ricordare le parole di una poesia, ma può solo produrre un urlo muto.

Proprio l’Attore è il protagonista di questo dramma che si muove verso il buio. Anche i neon che illuminavano il tavolo centrale si spengono progressivamente, e alla fine, quando l’annuncio della sua morte congela tutto l’albergo dei poveri, lui rientra lentamente nella semioscurità, non visto dagli altri. Va ad arrampicarsi sulle cassette accatastate a sinistra, e finalmente può esprimersi attraverso alcuni monologhi dell’Amleto, illuminato soltanto da un neon che pende dal soffitto, come esile segno della sua morte per impiccagione.
Poi di nuovo esce di scena, stacca anche lo schermo su cui continuavano a scorrere le battute (“Il talento non è altro che fiducia in sé”, “La nostra anima è riposta in ciò che si ama”, “L’uomo! È magnifico!”).
Ciò che rimane è l’immagine di una laica “Ultima cena”, coi poveri seduti immobili al tavolo e totalmente sconfitti.

Molti gli applausi per gli attori, intensamente presenti, credibili e organici. Non conoscere la lingua (lo spettacolo è in lituano con sopratitoli) purtroppo è sempre un handicap, perché si perdono inevitabili sfumature, per uno spettacolo che, a parte una minima punteggiatura registica (di grande impatto le musiche originali di Antanas Jasenka, che vengono usate come cesure tra le scene) e pochi efficaci segni visivi, è tutto centrato sul lavoro dell’attore.
”I bassifondi” di Gor’kij e Koršunovas è davvero il laboratorio di Verità che ci aspettavamo.

I BASSIFONDI

di: Maxim Gor’kij
produzione: OKT/Vilnius City Theatre
scenografia: Dainius Liškevičius e Oskaras Koršunovas
musiche originali: Antanas Jasenka
costumi: Agnė Kuzmickaitė
regia: Oskaras Koršunovas
con: Jonas Verseckas, Rasa Samuolytė, Nelė Savičenko, Julius Žalakevičius, Darius Meškauskas, Dainius Gavenonis, Darius Gumauskas, Giedrius Savickas, Tomas Žaibus, Rytis Saladžius

durata: 75 ‘
applausi del pubblico: 4’ 10’’

Visto a Pontedera, Teatro Era, il 16 febbraio 2013
Prima nazionale

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