
Ben diverso dal roboante Napoli Teatro Festival Italia, il capoluogo partenopeo ha visto – dopo la chiusura della rassegna – un altro evento significativo anche se molto meno “appariscente”.
Ad ospitarlo il Teatro Spazio Libero, storico punto di partenza cittadino della ricerca multimediale e spettacolare.
Nato nel 1965, lo spazio segue da sempre le vie particolari del nuovo modo di esprimersi del teatro contemporaneo. Parliamo di esperienze legate a spettacoli su Andy Warhol, Marcel Duchamp, fino ai rapporti con il Beat 72 di Roma, con la “Gaia Scienza”, il gruppo Fluxus, Strimbaci e Pedrotti di Milano. E, ancora, Teatri Uniti, Luca De Fusco, Mario Martone e Toni Servillo, che hanno cominciato proprio da qua.
Parliamo di ricerca non solo teatrale, visiva e soprattutto recitativa, ma anche di scelte culturalmente innovative e profonde. Facciamo allora un passo indietro e ricordiamo la realtà culturale e politica che, negli anni Settanta e Ottanta, era rappresentata dagli “scantinati”, luoghi in cui il teatro italiano distruggeva la propria tradizione e ad essa si ribellava. Se queste scelte artistiche colpiscono ancora oggi è perché sono legate ad un’avanguardia che ha modificato per sempre la struttura di base del nostro teatro. Come si faceva teatro, come si intendeva la scena in quei luoghi e in quegli anni? Ad essere diversi non erano solo gli spazi, ma soprattutto l’approccio con la gente: si parlava di pura interpretazione artistica, di cultura, di comunicazione, non dell’ossessiva e contemporanea ricerca del successo di pubblico.
Prima assoluta per il Sud Italia è “El Ultimo Hombre”, testo dell’autore spagnolo contemporaneo Leopoldo Maria Panero, poeta inedito in Italia e tradotto per l’occasione da Alessandro Di Francesco. Interprete atteso a Napoli, fortemente voluto dalla direzione artistica di Spazio Libero, Paolo Spaziani è un attore molto noto negli spazi off fin da quando, nel ’97, fondò con Letizia Corsini il Ginnungagap Teatro. Il suo lavoro si ricollega a un’avanguardia già passata ma che ha lasciato il segno, conquistando il semplice aggettivo di “contemporaneo”.
Il pubblico entra in una sorta di caverna, in uno scantinato di un quartiere elegante e ricco. Si respira aria di altri tempi e si osservano le pareti laccate da colori sgargianti. Dal fondo di questi cunicoli arriva Spaziani: il fumo delle sigarette, incessantemente accese e spente durante la performance, comincia ad avvolgerci. Capelli lunghi, pantaloni retrò, volto senza età, comincia a leggere fogli che strabordano da un leggio, scivolano per terra, riempiono il tavolino.
Unico compagno di scena di Spaziani è il microfono: l’attore lo tormenta, lo afferra, lo avvolge con le mani, lo respira, vi si avvinghia, dando inizio ad un immaginario rapporto sessuale.
I fogli sono un diario, quello dell’autore spagnolo, descrizione poetica di una vita segnata da follia, abuso di alcool, droghe e sesso estremo in un linguaggio senza dubbio esplicito.
Spaziani non si limita a immedesimarsi nel personaggio, a identificarsi con esso; piuttosto potremmo quasi parlare di possessione: come se Panero si servisse del corpo e della voce dell’attore per gridare i propri sentimenti.
L’impatto con sonorità vocali differenti, di alti e bassi, urla e sussurri è disorientante. Basta chiudere gli occhi per “vedere” e sentire l’autore. Riproducendo sonorità violente sia dal punto di vista fonetico che emotivo, Spaziani scuote, sconvolge, fa provare realmente dolore e comprendere la ribellione del protagonista. Non si tratta più di un semplice reading ma di ricerca, scoperta, analisi del pubblico e di se stessi.
Lo stesso Spaziani ha spesso affermato di voler stimolare il pubblico ma non con effetti particolari e ricercati, semmai con la scelta opposta: creare una drammaturgia in fieri che nasca e muoia in diretta.
Il pubblico viene guidato dall’attore senza però sembrarne schiavo; si crea invece una sorta di flusso che passa incessantemente dall’interprete agli spettatori e viceversa. Uno spettacolo inaspettato, da seguire con attenzione e con animo predisposto a lasciarsi trasportare.
EL ULTIMO HOMBRE
testi: Leopoldo Maria Panero
traduzione: Alessandro Di Francesco
produzione: ScenaOnirica, Teatro Spazio Libero
uno spettacolo di Paolo Spaziani
durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 2’ 30’’
Visto a Napoli, Teatro Spazio Libero, il 30 giugno 2010
Paolo è del ’65 e non credo che a 9 anni (nel ’74) abbia fondato con Letizia il Ginnungagap Teatro!
Per la liberarsi della filologia, bisognerebbe prima averla imparata!
Precisione, signori giornalisti, precisione!
Più che di filologia, in tal caso sarebbe più consono citare la cronologia. 🙂
Grazie per la segnalazione, abbiamo provveduto a correggere.