L’autobus parte dal centro di Torino; il pubblico è seduto a coppie, corridoio e sedili creano una ordinata platea. C’è chi chiacchiera e chi aspetta con attenzione e serietà il primo segnale dalla strada; nessuno di noi sa dove verremo portati o cosa ci aspetta: una cinquantina di persone che ignora cosa succederà nelle prossime due ore ma che ha scelto di immergersi in questa performance che, dal 2007 ad oggi, sta “rapendo” spettatori per tutta Europa.
Stiamo viaggiando già da un po’ quando un vociare delle prime file fa intuire che sta per succedere qualcosa. La porta anteriore dell’autobus si apre e lentamente sale una bambina biondissima dalla pelle diafana. Lunghe trecce le scivolano ai lati della testa e i suoi occhi azzurri ci scrutano tra serietà e indifferenza. Sembra quasi guardare oltre, come un fantasma che stia vivendo in realtà un’altra epoca.
Il pubblico, improvvisamente attento, osserva in silenzio. Dopo poco la bambina scende e noi riprendiamo, lentamente, il nostro tragitto verso l’ignoto. Qualche curva, un breve rettilineo e la stessa bambina, solo lievemente più arrossata dal caldo, è di nuovo all’entrata del pullman ad osservarci. Questa volta ci si aspetta un gesto, invece non accade nulla. La variazione avviene al terzo stop, dove a salire sono due bambine, pettinate in modo identico e inquietantemente simili. Le due si sistemano lungo il corridoio centrale. L’autobus riparte e noi capiamo che il gioco è cominciato: non possiamo scappare, non resta che prepararsi a tutto.
Le due bambine improvvisamente si mettono a fissare, con sguardo deciso e privo di timore, tutti i componenti del pubblico. La distanza fisica è minima, quella permessa dal corridoio di un autobus. “No photos!!!” urla una di loro non appena parte un flash. Il pubblico ammutolisce e attende.
Scopriamo ben presto di essere in arrivo al Parco Regionale della Mandria, e lungo una strada sterrata, circondata da campi e piccoli boschetti, ci accorgiamo che in lontananza alcune figure ci attendono. Sono altri bambini, quasi identici alle due ragazzine. Quando il pullman si ferma ci troviamo circondati. Ogni femmina ha due strette trecce laterali, tutti portano una camicia bianca e jeans sbiaditi. Sembra un’ambientazione a metà strada fra un racconto di Asimov e una serie tv U.S.A. sugli alieni. I bambini sono uniformati in tutto, nel vestire ma soprattutto nello sguardo, severo e duro.
Alcuni passi rimbombano, qualcuno sta salendo sul tetto. La tensione è palpabile; nonostante ci si senta protetti dal contesto teatrale, la sensazione è quella di essere stati rapiti. Tre bambini salgono sull’autobus, aprono delle buste bianche e in modo molto diretto ci chiedono di dar loro i nostri telefoni. Il pubblico tentenna, qualcuno prova a dire no, ma dopo poco tutti capitolano di fronte alla richiesta.
Il primo vero ribaltamento voluto da Alexandra Broeder, ideatrice e regista della performance, è stato compiuto. Gli adulti hanno obbedito ai bambini senza quasi fare domande. Di lì a poco il pubblico verrà ulteriormente sopraffatto da ordini chiari e precisi, impartiti forse con un po’ troppa rabbia, che fa trasparire probabilmente parte della tensione nascosta dietro quei piccoli visi impassibili.
Proprio questa eccessiva durezza renderà alla lunga il lavoro un po’ pesante e prevedibile. L’aspetto minaccioso verrà infatti stemperato dalla relazione umana che, nonostante tutto, si riuscirà ad instaurare, riducendo l’impatto del lavoro ad una performance solo parzialmente riuscita.
Lo straordinario paesaggio che fa da contorno a tutto il progetto contribuisce a dargli un senso di mistero e di inaspettato: camminare attraverso un bosco, seguendo un sentiero sconosciuto, richiama alla mente uno degli elementi simbolo dell’immaginario fiabesco.
Ma ciò che è più interessante osservare della performance è il rovesciamento del rapporto fra bambini e adulti, fino a farci diventare spettatori-prigionieri.
Nel silenzio del camminare, che intervalla una tappa della performance all’altra, il pubblico ha tempo di riflettere sulle dinamiche di potere tra il mondo adulto e quello infantile. Il punto di vista, improvvisamente rovesciato, permette di aprire nuove considerazioni sulla facoltà di controllo (anche quando è esercitata senza vederne il senso) e sulle sensazioni/reazioni altrui.
Una piccola comunità, fatta di adulti privati di qualsiasi potere, si sta quasi per creare, quando improvvisamente i nostri performer/carcerieri ci salutano con un fragoroso “Ciaoooo”, finalmente dal sapore infantile, e noi ci ritroviamo persi, quasi storditi.
Riprendiamo il cammino fino a trovare l’autobus. Le porte si chiudono. Il tragitto verso Torino ha inizio. E i nostri telefoni? Non possiamo svelarvi proprio tutto…
WASTELAND. And they will be let by a child
ideazione e regia: Alexandra Broeder
assistente regia: Jansje Meijman
amministrazione: Marc Meijer
produzione: Floortje Halters
guida per i bambini: Nikita Oldert
promozione Nora Maartense
foto: Kamerich & Budwilowitz / EYES2
produzione: Theaterzaken Via Rudolphi / coprodotto da TUK Leuven (BE), 30CC (BE), Theater Frascati
con il sostegno di: Performing Arts Fund NL,Dutch Performing Arts, Netherlands Embassy in Rome and Consulate General in Milan, Treaty of Utrecht Foundation, Gemeente Utrecht, Città di Torino
in collaborazione con Oerol Festival
durata: 2h circa
Visto a Torino, Parco della Mandria, il 21 luglio 2013