Charles Manson: Fanny & Alexander nei labirinti del delitto

Andrea Argentieri è Manson
Andrea Argentieri è Manson

In prima nazionale al Teatro LaCucina di Milano Andrea Argentieri alle prese con uno dei più grandi criminali della storia. E il pubblico diventa giuria

Uno dei criminali più efferati della storia: questo è stato Charles Manson (Cincinnati 1934 -Bakersfield 2017). Poco più che trentenne, alla fine degli anni Sessanta, fondò una setta in una comune hippy, con adepti disposti a tutto pur di compiacerlo. Erano ragazzi poco più che ventenni che commisero diversi omicidi. Tra i più feroci, quello nell’agosto 1969 a Los Angeles dell’attrice Sharon Tate, 25enne moglie di Roman Polanski, massacrata nella sua villa insieme ad altri tre ospiti e a un ragazzo di 18 anni. Sharon era all’ottavo mese di gravidanza.

Sebbene Manson non avesse commesso direttamente gli omicidi, gli assassini, simili ad automi, sembravano rispondere a ogni suo capriccio. Il processo sentenziò la condanna a morte di Manson. La pena fu commutata in ergastolo dopo che la California abolì la pena capitale.
Manson divenne un caso mediatico per quel mix di genio e follia, bellezza e maledizione, che ne caratterizzava il personaggio. Era una mente criminale magnetica, capace di condizionare persino i membri della giuria.

La sua biografia ha colpito il mondo dell’arte. Si sono occupati di lui editoria, cinema e TV. Occuparsene a teatro, è un altro conto. La compagnia romagnola Fanny & Alexander si accosta a questa figura eccentrica con un mix di introspezione e curiosità, senza semplificazioni o banalizzazioni.
Dopo l’anteprima al Mercurio Festival di Palermo, il debutto ufficiale di “Manson” avviene al Teatro LaCucina di Milano, ospite di Olinda, all’ex Paolo Pini. Gli spazi asettici di questo ex ospedale psichiatrico sono lo scenario più pertinente per accogliere una biografia alienata tra dolore e acidi, crimini e sangue.

In un luogo che è stato scenario di solitudine e pazzia, di tanfo di chiuso, orina e sudore, incontriamo Manson al buio.
Ebbe un’infanzia dura. Non conobbe il padre. La madre, una prostituta, lo partorì a sedici anni. Sesso, allucinogeni e musica, fughe e aggressioni, furono i fondamenti della sua educazione. Il carcere e i riformatori. E poi il culto di Satana, ma anche la devozione per i Beatles. Si definiva Cristo e Anticristo. Era un guru, un filosofo, un musicista, un pazzo. Era affascinato da Hitler, eppure preconizzava una bizzarra lotta purificatrice dei neri contro i bianchi.

A narrarci la biografia di Manson non è un attore, ma algide scritte bianche su fondo nero. Nelle tenebre fitte e palpabili davanti ai nostri occhi, si staglia la parola nuda, enucleata in forma drammaturgica da Chiara Lagani. Fredde le luci; glaciale e stridulo il progetto sonoro di Luigi De Angelis, curatore anche della regia. Sono cigolii distopici di urla e vetri rotti, di spari e frenate. Fremiti e affanni, rumori di passi nella ghiaia. Tra esplosioni e rumori metallici, fa capolino una musica onirica, suoni di campane e carillon.

La drammaturgia è un mix psichedelico di furia assassina e purezza. Tutto il lavoro è oscillazione vorticosa fra estremi.
Le luci si riattivano e sono glaciali. Il pubblico è chiamato a partecipare. Compare davanti a noi un uomo in tuta, sguardo scheletrito, capelli e barba scarmigliati.
Andrea Argentieri dà vita a un personaggio che è un’associazione schizoide di deturpazioni facciali e sussulti violenti. Il suo linguaggio è concitato. Le parole (in inglese sovratitolato) sono profluvi travolgenti e turbini, ma anche monosillabi centellinati e silenzi riflessivi.
Noi spettatori siamo giudici, psichiatri, cronisti e sociologi. Forse siamo solo una congerie di curiosi. Diventiamo giuria, e abbiamo in mano uno stock di una trentina di domande da rivolgergli.

Manson è mente istrionica, né pentimenti né sentimenti. Ma la sua abilità sta nel ribaltare le nostre accuse riversandole sul nostro perbenismo. Manson è macchina superba nella logica, carente nelle emozioni. Diverte e ferisce. Scaglia fendenti sulla nostra cattiva coscienza. Non è un “mostro” di malvagità perché manca di senso morale.
Non abbiamo davanti uno spauracchio con le mani artigliate o la maschera di gomma. Al contrario, Manson fa da specchio alle aberrazioni nascoste dentro di noi. Chi cerca in lui un colpevole, si limita a misurare la propria distanza dall’integrità. Manson è un angelo caduto nel labirinto delle nostre perversioni.
Uno dei dettagli più affascinanti nella carismatica prova attoriale di Argentieri è l’uso degli occhi. Le palpebre non battono quasi mai. È uno sguardo sinistro. Manson fissa di sbieco la nostra coscienza, legge le nostre menti, ci incatena a una serratura mentale. Potremmo sfuggire alla sua presa, ma siamo paralizzati. Quegli occhi allucinati ci inchiodano, captando ogni nostra parola.

Manson eviscera frasi scandite ritmicamente: una vertigine di suoni e significati che richiama poeti come Ginsberg e Ferlinghetti, ma anche Baudelaire o Verlaine. Con vigore, egli denuncia la logica del profitto, la cultura massificata, la vita degradata, un senso di disgusto e malessere. Di qui la ribellione contro Dio, la follia, il rifiuto del mondo attraverso la morte.
Proprio nel solco di Ginsberg e del suo celeberrimo “Urlo” («Ribellati contro i governi contro Dio, il cambiamento è assoluto, cogliti a pensare, ricorda il futuro, consiglia soltanto te stesso, l’universo è soggettivo, l’interno del cranio è vasto come l’esterno, la mente è spazio esterno, primo pensiero miglior pensiero, la schiettezza pone fine alla paranoia»), attraversiamo il labirinto.
Cerchiamo il mostro da distruggere. Sciaguratamente, scopriamo che quel mostro ristagna dentro ciascuno di noi.

MANSON
Fanny & Alexander
drammaturgia, costumi Chiara Lagani
regia, luci, progetto sonoro Luigi De Angelis
con Andrea Argentieri
cura del suono Andrea Gianessi
consulenza linguistica e fonetica David Salvage e Gabriella Gruder-Poni
organizzazione, promozione Martina Barison, Maria Donnoli, Marco Molduzzi, Francesca Volpato
amministrazione Stefano Toma e Marco Molduzzi
produzione e production / Fanny & Alexander
in collaborazione con Olinda onlus / Teatro La Cucina

durata: 1h
applausi del pubblico: 3’

Visto a Milano, Teatro LaCucina (Olinda), il 29 settembre 2023

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